In un periodo in cui il country andava in tutt'altra direzione (quella pop) e l'honky tonk non era considerato "vendibile" dalle major, Dwight Yoakam riesce a debuttare, nel 1986, con questo Guitar, cadillacs, etc. etc., un ten-tracks nel solco purissimo del true country e del Bakersfield sound (Jimmy Rodgers, Lefty Fritzzell, Bob Willis, Buck Owens), raggiungendo, a dimostrazione della discutibile competenza dei manager delle compagnie musicali, la vetta della classifica generalista USA. Con una voce che flirta costantemente con lo yodel ma senza andarci mai a meta, un sound pieno costruito sull'honky tonk guitar rhythm e, spesso, sulla slide e sul violino, Dwight (l'hai visto in Cry Macho di Eastwood: anche la sua carriera da attore, perlopiù caratterista, è corposa) giganteggia. Pezzi come Honky tonk man (di Jimmy Horton) e la title track restano momenti irrinunciabili nei concerti dell'artista, ma l'intera opera, per mezzora di musica, riascoltata oggi, appare un glorioso evergreen. Che gli vuoi dire ad una It won't hurt, ad una Bury me (featuring Maria McKee), ad una Heartaches by the numbers o alla versione di Ring of fire di Cash (scelta non scontata, a meta ottanta, con Cash ai margini)? Niente, appunto. Fondamentale per il movimento.
giovedì 27 aprile 2023
lunedì 24 aprile 2023
Nonostante le apparenze...E purchè la nazione non lo sappia...All'onorevole piacciono le donne (1972)
L'onorevole Giacinto Puppis, esponente di punta del partito cattolico di centro, dopo aver già occupato il posto di premier, aspira a diventare, sostenuto dagli alti prelati del clero, Presidente della Repubblica. Il politico è un fervente bigotto, ma negli ultimi tempi è assalito da incontrollabili raptus, vere e proprie pulsioni verso le donne, che non riesce a controllare nemmeno in pubblico. Per questo viene mandato in un convento per un periodo di esercizi spirituali. Nel frattempo mafia, vaticano, forze dell'ordine e servizi segreti deviati muovono ognuno i propri fili per un'occupazione occulta dei poteri dello Stato.
Innanzitutto, dietro il titolo da commedia scollacciata tipica del periodo si cela una satira politica feroce, che, se contestualizzata, mantiene la sua forza feroce nonostante le revisioni, le censure e i tagli imposti. Inoltre, anche in un film che doveva mostrare tette e culi un tanto al chilo per avere quel pruriginoso appeal da italico post bigottismo che riempiva le sale, Fulci si ritaglia alcune sequenze tecnicamente memorabili (su tutte la lunga parte onirica), da grandissimo quale egli era.
Lo stesso regista, per quest'opera, che per un periodo fu persino sequestrata con la scusa dell'oscenità, passò i suoi guai, sostenendo che subì un periodo di "sorveglianza" e che gli fu messo il telefono sotto controllo.
Quanta nostalgia per il cinema di quegli anni, per la libertà artistica di cui godevano gli artisti e per il coraggio dei produttori. Tutta roba oggi neanche lontanamente immaginabile.
giovedì 20 aprile 2023
Recensioni capate: Chris Offutt, Nelle terre di nessuno
Questo il denominatore comune dei nove racconti contenuti nella raccolta. Sia che ci si soffermi su bambini che crescono senza un supporto genitoriale, che su operai che svolgono lavori caratterizzati da fatiche disumane, oppure di miti e leggende del posto, l'impressione è sempre quella di trovarsi al cospetto di uno scenario laddove progresso, welfare state e conquiste sociali non sono mai giunte, e che continua a vivere miserabilmente assecondando la legge del più forte (o del meno sfortunato).
Una lettura che non rivela nulla che già non conoscevo attraverso altri libri, dischi o opere audiovisive, ma che mi ha fatto conoscere una voce interessante.
lunedì 17 aprile 2023
Francesco Guccini, Canzoni da intorto (2022)
Vero è che Francesco Guccini (83 anni tra poche settimane) aveva annunciato il suo ritiro dalle scene (dischi e concerti), dovuto principalmente al suo precario stato di salute, a seguito de L'ultima thule del 2012, tuttavia non mi sento di inserire il Maestro nel calderone di tutte le rockstar/artistucoli che usano questa dichiarazione perentoria per cercare un ultimo alito di successo e visibilità, visto che effettivamente Guccini non ha più inciso una nota nè calcato alcun palco da quell'impegno assunto, limitando la sua vena artistica alla letteratura (sono una decina, tra racconti e romanzi, le opere rilasciate negli ultimi dieci anni).
E infatti Canzoni da intorto (termine con il quale si indica l'arte oratoria di sedurre l'altrui sesso) è un'operazione davvero particolare e solo superficialmente un banale disco di cover, anche perchè, quando si parla di francescoguccini, di scontato non c'è mai nulla. Provare per credere. Le undici tracce più una ghost track contenute nell'album vanno infatti a pescare tra composizioni del passato che arrivano indietro fino al sedicesimo secolo, e che non disdegnano, oltre alla lingua italiana, il dialetto milanese, piemontese, l'inglese e perfino l'ucraino.
Da segnalare come, a differenza dell'opprimente malinconia che ammantava L'ultima thule, qui gli arrangiamenti dei brani, che pur non hanno quasi mai contenuti leggiadri, siano più improntati ad un suono pieno molto legato alle tradizioni italiane di paese, con qualche sorprendente richiamo a Capossela o al progressive folk. La canzone che apre il lavoro è una delle mie personali (e nostalgiche) top three dei viaggi in macchina verso il sud che facevo da bambino con la famiglia, quando la playlist di mio padre era racchiusa nella cassetta dei canti di protesta, da cui non mancava mai Per i morti di Reggio Emilia. La versione di Guccini è spiazzante per il contesto musicale proposto (di cui ho accennato sopra) e un pò mette tristezza per le condizioni della voce del cantautore, che mostra tutta la fatica dell'età e della salute incerta. Resta comunque un grande pezzo, così come Addio a Lugano, altra composizione immancabile in quei miei lunghi viaggi.
E allora Canzoni da intorto va preso per quello che è: un inaspettato regalo da parte di uno dei più grandi poeti/cantautori della storia, che di certo deve aver provato un enorme piacere a registrarlo.
venerdì 14 aprile 2023
The charts week, 3: i miei album da ricordare del 2022
mercoledì 12 aprile 2023
The charts week, 2: le mie serie da ricordare del 2022
lunedì 10 aprile 2023
The charts week, 1: i miei film da ricordare del 2022
Finale a sorpresa (21.04.2022)
The northman (21.04.2022)
Arthur Rambo (28.04.2022)
Argentina, 1985 (29.09.2022)
The menu (17.11.2022)
L'angelo dei muri (distribuito nelle sale dal 04/12/2021)
giovedì 6 aprile 2023
Recensioni capate: Tigers are not afraid (2017)
Un film messicano, scritto e diretto da una regista, Issa Lòpez, che usa il genere sovrannaturale per accendere un riflettore enorme su temi quali la violenza, ottusa e spietata, dei territori in mano ai narcos e l'infanzia negata dei bambini di strada, spesso abbandonati dalla famiglia o resi orfani dalla criminalità. Un'opera breve ma intensissima, che funziona sotto ogni punto di vista: emotivo, angosciante, sociologico. Indimenticabili i bambini protagonisti, in costante, pericoloso equilibrio tra innocenza e durezze della vita di strada. Narrativamente siamo dalle parti di Stephen King, che infatti ha apprezzato.
lunedì 3 aprile 2023
The Troops of Doom, Antichrist reborn (2022)
E così, a partire dal monicker della sua nuova band (Troops of doom è un brano di Morbid visions) , passando per l'avatar che campeggia sulla cover dell'album (il demone alato che figurava sull'EP Bestial devastation), dal "sequel" di una delle prime tracce della band (Antichrist) scelto come titolo del lavoro e finendo, ovviamente, con un mood sonico discendente diretto di quelle sonorità, il buon Guedz prova a quotarsi tra i nostalgici di quel periodo che, probabilmente, non hanno ancora metabolizzato a dovere tutto il casino che ha portato i Sepultura lontano dal loro zenith artistico.
E, a giudicare dalle reazioni più che positive all'uscita di questo album, l'obiettivo si può dire centrato. Antichrist superstar è un disco nostalgico che però gliela ammolla, l'ottusa devastazione che regna lungo le dieci canzoni (per quaranta minuti scarsi di durata - nella versione deluxe due bonus che nulla tolgono o aggiungono - ), assieme al congruo cantato di Alex Kofer, fomentano al punto giusto, lasciando dietro di se (oltre a morte e distruzione) una manciata di composizioni meritorie, a partire dal trittico iniziale composto da Dethroned messiah / Far from your god / Altar of delusion giù giù lungo tutta una tracklist che sorride anche agli Slayer e dalla quale si fanno prepotentemente notare The rebellion e A queda.
Ogni tanto ci vuole, dai.