lunedì 8 agosto 2022

Una squadra (docuserie, 2022)



Le gesta sportive della squadra azzurra di tennis composta da Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Antonio Zugarelli che ha raggiunto, negli anni settanta, i migliori risultati sportivi di sempre nell'ambito della coppa Davis.

Nell'anno in cui le celebrazioni della vittoria al Mundial 82 hanno sfrangicato le palle perfino a me, che sono emotivamente legatissimo a quell'evento, esce per Sky questa serie che racconta un'altra storia, per certi versi dimenticata. Attraverso le interviste ai quattro tennisti e ad altri importanti comprimari di quell'epoca, Domenico Procacci, qui regista oltre che produttore, riesce a ricostruire un'intera epoca, un'Italia che non c'è più, riuscendo a bilanciare come raramente mi è capitato di vedere, emozioni e leggerezza. 
Il centro del racconto dovrebbe essere la vittoria dell'unica coppa Davis in bacheca azzurra, conquistata nel 1973 sul suolo cileno brutalizzato dalla dittatura di Pinochet, tuttavia, mano a mano che ci si inoltra nella visione, ci si appassiona in misura superiore all'intera carriera dei quattro, la cui importanza nel tennis tricolore è tutta nei numeri, con quattro finali conquistate sulle sette complessivamente disputate in tutta la storia del torneo (1973,1977, 1979  e 1980), senza contare quelle del capitano non giocatore Nicola Pietrangeli (1960 e 1961) con le quali arriveremmo a sei su sette. 

Ma, come accennavo, la carta vincente della docuserie è rappresentata dalla personalità dei quattro tennisti, che emerge tra ironia, commozione, amarezza, ma anche vanità, indomito spirito di competitività, e financo con qualche battuta feroce nei confronti degli amici/rivali di quel periodo. La star è il romano Panatta, che, tra ammiccamenti, battute e tanto understatement, è perfettamente a suo agio davanti alla camera così come il suo concittadino Bertolucci. Anche il piemontese Barazzutti se la cava senza timidezze, ma la vera sorpresa è Zugarelli, riserva della squadra che raramente assaggia le luci della ribalta e che ha un background molto meno mondano dei due romani. Tonino è quello che più si commuove ricordando l'infanzia in estrema povertà, la via d'uscita dal tennis che però era anche l'unica forma di guadagno, con tutta l'enorme pressione che ne conseguiva, per lui che già da giovanissimo si fece una famiglia. Forse la testimonianza più genuina ed empatica di tutti i protagonisti.

La serie, come da regola, si muove tra interviste registrate per l'occasione ed immagini di repertorio di partite, servizi dell'epoca e pagine dei quotidiani, lasciando anche qui, attraverso la riproposizione di contesti e personaggi di una RAI che fu (Galeazzi, quando faceva il giornalista), un'intensa traccia emotiva in quanti erano bambini negli anni settanta.

Concludo il post tornando alla partita cilena, con tutto quanto la accompagnò, tra chi sosteneva che non si dovesse andare per protestare contro Pinochet (il P.C.I., ovviamente) e chi invece era dell'idea opposta (più o meno tutti gli altri). Nel ricostruire quello scenario, Procacci intervista un giornalista scrittore cileno che, tra i tanti purtroppo avvenuti, racconta un episodio terrificante: la visita della FIFA (l'organo mondiale del calcio) allo stadio di Santiago per verificare che non ci fossero detenuti al suo interno, come la stampa aveva riportato. Ebbene, questi buffoni al soldo del business fecero solo il giro del campo, mentre negli spogliatoi e negli spazi interni migliaia di oppositori politici imprigionati e costretti al silenzio dalla minaccia delle armi vedevano passare codesti alti papaveri sorridenti e compiaciuti che tutto fosse perfettamente in ordine. Alla fine anche il P.C.I. si convinse dell'opportunità di giocare la finale di Davis. A persuaderlo furono proprio gli esuli e gli oppositori cileni, che pensarono di avere così una finestra di visibilità del loro martirio verso il mondo esterno.

In programmazione e on demand su Sky.

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