giovedì 29 settembre 2016

Monty's Favorite Tips, settembre 2016


ASCOLTI



Gojira, Magma
Shawn Colvin & Steve Earle, Colvin & Earle
Cody Jinks, I'm not the devil
Sturgill Simpson, A sailor's guide to earth
Willy Deville, Collected
Airbourne, Breakin' outta hell
Neurosis, Fires with fires
Parker Millsap, The very last day
Palace of the King, Valles marineris
Black Sabbath, Past lives
Nick Cave and the Bad Seeds, Skeleton tree
Twisted Sister, Metal meltdown - Live
The Orchid, The zodiac sessions
Dogs D'Amour, In the dynamite jet saloon
Sam Cooke, A prortait of a legend
Jimi Hendrix, Are you experienced?
New York Dolls, self titled

VISIONI



Mr Robot, stagione 1
The Affair, stagione 1
Power, stagione 3


LETTURE



Michele Serra, Gli sdraiati

lunedì 26 settembre 2016

The Dead Daisies, Make some noise


Se ci fosse una giustizia in questo fasullo mondo del rock business, allora uno come John Corabi, classe 1959, avrebbe meritato almeno una volta nella vita di raggiungere quel tipo di successo che garantisce non solo la celebrità ma anche, perché no, un po' di soldi in banca.
E invece l'ottimo singer, che ha avuto la sfiga di essere chiamato nei Motley Crue nel momento più atroce per la storia del gruppo, continua ad arrabattarsi tra un progetto e l'altro, nella speranza di intercettare prima o dopo quello giusto.
Noi tutti gli auguriamo che quello giusto possa essere i The Dead Daisies, vero e proprio collettivo sulle scene dal 2012, i cui componenti sono in continua rotazione e il membro fondatore, il chitarrista australiano David Lowy, ha la particolarità di essere, prima che un musicista,  un milionario, CEO di un fondo di investimento e un pilota di aerei.
La formazione attuale, oltre a Corabi (che si unito alla banda già l'anno scorso con il precedente album Revoluciòn) e Lowy, vede al basso Marco Mendoza (ex Thin Lizzy), alla chitarra solista Doug Aldrich (Whitesnake, Dio, House of Lords) e Brian Tichy alla batteria (Ozzy, Whitesnake, Foreigner). Insomma, la classica all star band che prova ad ottimizzare l'esperienza dei suoi componenti sfruttando ovviamente il ventre sempre gravido della retromania.
Nel caso di specie Make some noise , a differenza del precedente Revoluciòn, molto orientato a suoni hard rock/blues anni settanta, baricentra il proprio stile attraverso una combinazione di sleaze e arena-rock potente ed energetica, che non fa niente per nascondere le principali fonti d'ispirazione (Hanoi Rocks, Aerosmith, Faster Pussycat) senza tuttavia disdegnare richiami a  Van Halen (Mainline), Def Leppard (Make some noise) o interpretazioni di cover che rivitalizzano grandi classici (Fortunate son, dei Creedence Clearwater Revival). Stranamente, visto il genere proposto e l'arma non convenzionale rappresentata dalla voce pastosa di Corabi, manca all'appello la classica ballatona glam.
Un lavoro tanto divertente nel breve quanto (presumiamo) effimero.
Temo che Corabi dovrà rimandare al prossimo giro il suo vitalizio pensionistico.

giovedì 22 settembre 2016

Lilyhammer, stagione 3

Spiace dirlo, ma nella terza stagione di Lilyhammer il livello scende molto rispetto alle precedenti. La causa principale è probabilmente da attribuire ad un plot un po' fiacco, compensato dagli autori con un eccessivo ingorgo di storylines secondarie e sottotrame francamente poco convincenti. Ma soprattutto si perde per strada il giusto equilibrio tra commedia e dramma fin qui raggiunto, con diversi scivoloni verso la tragedia che fanno perdere quella sensazione di prendersi poco sul serio, elemento fondamentale quando si tocca il tema mafia in produzioni leggere.
La stagione si salva, oltre che per un sempre godibile Steven Van Zandt, grazie ad alcune ospitate illustri. La prima è quella dello scoppiettante Gary U.S. Bonds nei panni di sé stesso, che interpreta This little girl al Flamingo (il locale di Frank). La seconda, molto più fragorosa, è nientepopodimeno che quella di Bruce Springsteen, in veste di fratello di Frank Tagliano (Little Steven) ma soprattutto nel ruolo di un mitologico killer mafioso che conduce una parallela attività come...becchino.
Bruce non è un fenomeno d'attore, ma sua la parte, per quanto breve, è perfetta: abito elegante, coolness, occhiali scuri anche di notte, poche battute che esaltano l'inconfondibile timbro di voce.
La serie dovrebbe essere conclusa anche se ultimamente si stanno rincorrendo voci di una nuova stagione con un protagonista diverso da Little Steven, che si è chiamato fuori.

lunedì 19 settembre 2016

Death Angel, The evil divide


Dominatore incontrastato delle mie recenti sessioni di footing, The evil divide è l'ottavo album dei Death Angel, band di thrash metal che ha debuttato con il seminale The Ultra-Violence nel 1987, quando molti dei suoi componenti non erano nemmeno maggiorenni.
Il gruppo si è successivamente diviso nel 1991 per poi riformarsi nei primi anni zero attorno al nucleo storico composto dall'axeman Rob Cavestany e dal singer Marl Osegueda (entrambi di origine filippina) ma è con gli ultimi due lavori, The dreams call for blood e l'ultimo, oggetto di questa recensione, che il combo sembra aver raggiunto un'autentica seconda giovinezza, se possibile ancora più luminosa della prima.
Le dieci composizioni (più una bonus track) che compongono l'album rispondono ai classici stilemi del sottogenere metal di riferimento, ma a fare la differenza, oltra alla qualità delle canzoni, è l'ottima resa sonora, l'essere cioè riusciti, da parte dei Death Angel, a concentrare entro massimo cinque minuti le proprie cavalcate elettriche, gli strappi, i rallentamenti acustici, evitando di perdersi in fronzoli e nelle ormai inutili tattiche dilatorie nelle quali troppo spesso il thrash onanisticamente si specchia.
La tracklist di conseguenza non ha cedimenti, avanza compatta e stentorea potendo contare su brani potentissimi come The moth, lezione universitaria di thrash metal, esercizi di classic hard rock come Lost o featuring corroboranti, come quello di Andreas Kisser (chitarra dei Sepultura) in Hatred united/United hate.
Insomma, una bella botta di adrenalina.

giovedì 15 settembre 2016

80 minuti di Norah Jones

A pochi giorni dall'uscita del sesto disco in studio (Day breaks, previsto per il 7 ottobre), vengo con questa mia a proporre una playlist monografica di Norah Jones.
La cantante americana di padre indiano (il celebre suonatore di sitar Ravi Shankar) ha folgorato pubblico e critica con il suo emozionante esordio Come away with me (2002) ma successivamente ha dato l'impressione di non riuscire più a trovare la giusta alchimia per sprigionare l'incantevole suggestione di quelle composizioni.
Nella mia raccolta ovviamente l'album d'esordio ha un ruolo predominante con sei tracce, a seguire gli altri, compreso il disco di duetti ...Featuring (2010) e l'ospitata nella produzione rurale-acustico di Billie Joe Amstrong (Green Day) del 2013.


01. Don't know why
02. Cold cold heart
03. Feelin' the same way
04. Come away with me
05. Turn me on
06. I've got to see you again
07. Sunrise
08. What am I to you
09. Those sweet words
10. Until the end
11. Thinking about you
12. Not too late
13. Chasing pirates
14. Young blood
15. Virginia moon (feat. Foo Fighters)
16. Baby it's cold outside (with Willie Nelson)
17. More than this (with Charlie Hunter)
18. Happy pills
19. Miriam
20. Long time gone
21. Silver haired daddy of mine (with Billie Joe Amstrong)
22. Here we go again (with Billie Joe Amstrong)

lunedì 12 settembre 2016

I Soprano, stagione 6


La sesta e conclusiva stagione dei I Soprano l'ho custodita gelosamente per anni, come un buon vino che vuoi consumare solo al momento propizio. A quel punto però restava da capire quale fosse il momento davvero propizio: cosa sarebbe mai dovuto succedere per terminare una saga che ho iniziato a seguire con la prima messa in onda italiana, nel 2001, sull'onda delle recensioni che arrivavano da oltreoceano e per la curiosità di vedere all'opera nelle (allora) inedite vesti di attore Little Steven.
Alla fine ho deciso di rompere gli indugi e chiudere il cerchio, anche perché, per una serie conclusasi ormai da nove anni, è praticamente un miracolo non essere ancora incappato in qualche spoiler. E poi, hai visto mai che dovessi lasciarci le penne improvvisamente senza essermi goduto la conclusione dei Soprano?!?

Così, a tre anni dalla visione della quinta stagione, mi sono immerso di nuovo in questo angolo di provincia americana (il New Jersey) e nelle vicende di Tony Soprano, sempre sospeso tra le difficoltà dei rapporti di subalternità con la più rilevante mafia newyorkese e la gestione di famiglia e affiliati.
La prima parte della sesta stagione (complessivamente composta da ventuno episodi, divisi però in due sezioni separate, originariamente trasmesse a circa un anno di distanza una dall'altra) procede con un ritmo estremamente lento, ma non per questo meno suggestivo. Tony resta infatti gravemente ferito da un colpo partito dalla pistola dello zio Junior, che affetto da demenza, non riconosce il nipote e gli spara scambiandolo per un avversario. Il ricovero di T. in ospedale permette a Chase e agli sceneggiatori di misurarsi con la realizzazione di episodi in gran parte onirici, nei quali assistiamo ai sogni di Tony durante il suo periodo di coma. Già nel corso delle precedenti stagioni l'aspetto onirico (e dunque psicologico) aveva sempre avuto il suo spazio, ma qui si prende interi spezzoni di puntate diventando quasi il centro della narrazione.
 
Sullo sfondo una storyline controversa e struggente: viene infatti sviluppato il tema dell'omosessualità del luogotenente di Tony, Vito Spatafore, da lui tenuta accuratamente nascosta.
Spatafore, una volta scoperto, per eludere la vergogna e le conseguenze che il suo orientamento sessuale comporterebbero nell'organizzazione mafiosa, fugge dal New Jersey e trova occasionalmente rifugio nel New Hampshire, dove riesce a vivere la sua condizione in maniera quasi serena. Purtroppo i sensi di colpa, l'affetto per la famiglia e la volontà di essere di nuovo accettato dai suoi sodali mafiosi lo portano a tornare sui suoi passi e così verso il proprio inevitabile destino.
La seconda parte della stagione ci mostra invece gli aspetti più meschini di Tony Soprano, quasi che gli autori volessero cancellare ogni forma di identificazione dello spettatore verso il personaggio interpretato da James Gandolfini.
T. ci viene mostrato allora al suo peggio: egoista, narcisista, spietato, egocentrico, irascibile, dissoluto, totalmente privo di empatia verso le altre persone, comprese quelle più care (come le decisioni che assume per vendicarsi dell'amico di lunga data Hesh, verso in quale era in forte debito, o addirittura verso il figlioccio Chris Multisanti, in ultima analisi considerato uno sfigato, uno iettatore, stanno a dimostrare). E poi c'è sempre la depressione, a cui la terapia con la dottoressa Melfi non sembra trovare rimedio.
Sullo sfondo di episodi nei quali, per la grande abilità degli showrunner, sembra non succedere mai niente, in un'apparente placida routine che va dalle nottate al Bada Bing ( per i curiosi qui l'origine del curioso nome) alle giornate trascorse fuori da Satriale's Pork Store, si muove invece, strisciante ma inarrestabile, anche la tensione con i vertici mafiosi ora gestiti da Phil Leotardo, un tipo che ha seri motivi di rancore nei confronti di Tony.
 
Il finale lascerà molti cadaveri a terra, letteralmente decimando personaggi storici della serie, oltre a introdurre un nuovo, pericoloso processo penale per il protagonista. La sequenza conclusiva, come tradizione, mostra una riunione di famiglia, ma stavolta i presenti sono solo Tony, la moglie Carmela e il viziatissimo figlio A.J. (apparentemente guarito da una depressione che l'ha anche portato a tentare il suicidio) seduti in un locale. L'altra figlia Meadow è in ritardo. La macchina da presa indugia sul particolare irrilevante, e proprio per questo allarmante, di lei che ripete più volte una manovra per parcheggiare l'auto all'esterno del ristorante. Nel locale uno sconosciuto osserva compiaciuto la famiglia Soprano. Sembrano le classiche situazioni che precedono eventi tragici. La figlia entra di corsa nel locale, lo schermo diventa nero per diversi secondi e poi partono i titoli di coda. Un finale subdolamente aperto, micidiale e coraggioso, che lasciava la porta aperta a qualunque interpretazione dello spettatore e, chi lo sa, magari nelle intenzioni degli autori, anche ad un sequel (per un po' si è parlato di un film), prima che l'improvvisa morte di James Gandolfini mettesse fine ad ogni speculazione in merito.

A David Chase, autore, sceneggiatore e occasionalmente regista della serie, andrebbe eretto un monumento per il concepimento e la realizzazione di questa enorme saga che ha influenzato in maniera incisiva la cultura (e non mi riferisco solo a quella pop) americana. The Sopranos è stata tra le primissime serie televisive moderne, adulte, di qualità, con niente da invidiare a molto cinema, ad essere prodotta e ancora oggi è un punto di riferimento per molteplici produzioni televisive. La figura tragica, tremenda e contraddittoria di Tony Soprano, la cui immagine in boxer, canottiera e accappatoio di spugna bianco intento a scrutare nel frigo per cercare qualcosa che soddisfi il suo pantagruelico appetito è ormai entrata nella leggenda, così come alcune sequenze, modi di dire e atteggiamenti, irrimediabilmente bollati come: "alla soprano". 
 
I Soprano doveva finire prima di perdere spessore e credibilità, ed è stata chiusa al momento giusto con una final season praticamente perfetta, ma ciò non toglie un grammo alla tristezza e alla nostalgia che si prova per la perdita. Anche e soprattutto per il destino amaro e maledetto che si è portato via James Gandolfini. 
 
Capolavoro assoluto.

giovedì 8 settembre 2016

80 minuti di thrash metal

Non è che posso mettermi qui, all'alba del 2016, a spiegare cosa è stato e cosa ha rappresentato il thrash-metal, soprattutto per generazioni attempate come la mia che hanno vissuto in pieno il fragore del suo avvento.
Per i non avvezzi al metallo pesante è sufficiente sapere che l'emersione di questo genere, progenie più aggressiva e brutale dello speed-metal, ha immediatamente pensionato gran parte dell'hard rock preesistente, asfaltando la strada a molti dei generi estremi che ci avrebbero infestato le orecchie da lì a poco.
La playlist che ho preparato cerca di fotografare principalmente quel periodo, comprendendo tutte le band seminali per il genere , oltre ai "big four": Metallica, Slayer, Anthrax, Megadeth, le altrettanto importanti Testament, Annihilator, Voivod, Death Angel, Exodus e Kreator e una piccola selezione delle nuove leve che tengono "viva la fede" (Vektor, King Parrot).
A differenza di quanto si possa pensare, il thrash non è un genere totalmente mono-tono e pertanto nella selezione ho cercato di tenere conto di questo aspetto, includendo le tracce che celebrano lo stile alla sua massima espressione, assieme alle derive hardcore punk (Nuclear assault, Hang the pope), techno prog (Voivod, Tribal convinction), o proto-death (Sodom, Outbreak of evil). 
La supremazia territoriale è ovviamente americana, ma la Germania tiene bene la posizione del vecchio continente.

01. Floatsam and Jetsam, Hammerhead
02. Nuclear Assault, Hang the pope
03. Testament, Into the pit
04. Anthrax, Caught in a Mosh
05. Annihilator, Alison in hell
06. Metallica, Creeping Death
07. Slayer, Angel of Death
08. Voivod, Tribal conviction
09. Overkill, Rotten to the core
10. Coroner, Masked jackal
11. Death Angel, Evil priest
12. Megadeth, Peace sells
13. Exodus, Strike of the beast
14. Paradox, Paradox
15. Sodom, Outbreak of evil
16. King Parrot, Shit on the liver
17. Kreator, Pleasure to kill
18. Vektor, Black future


martedì 6 settembre 2016

Hayes Carll, Lovers and leavers

 http://www.music-bazaar.com/album-images/vol29/1069/1069743/2935252-big/Lovers-And-Leavers-cover.jpg

Prima ancora di ascoltarlo, è bastato uno sguardo alla copertina del nuovo disco di Hayes Carll per captare la distanza tra l'atmosfera delle nuove composizioni e quanto fin qui inciso dall'artista texano. Laddove, nelle immagini delle precedenti cover, aveva sempre trovato posto la figura dell'artista, che, fosse con l'espressione acerba degli esordi o quella scanzonata di KMAG YOYO , era quasi onomatopeica rispetto ai contenuti ironici, allegorici, hillbilly delle canzoni, con Lovers and leavers a campeggiare è un quadro astratto che privilegia i colori freddi e che comunica immediatamente malinconia.
E infatti bastano i primi arpeggi di Drive, l'opener del disco, per vedere confermate le nostre sensazioni: la traccia che serve ad introdurci nel nuovo lavoro è introspettiva e delicata, interpretata con il solo ausilio di chitarra e voce, così come saranno la maggior parte delle restanti nove composizioni.
 
Carll non è certo un personaggio da prima pagina, per cui non è dato sapere cosa gli possa essere accaduto a livello personale nei cinque anni che separano Lovers and leavers da KMAG YOYO che possa aver così influenzato le sue composizioni. L'unico elemento di vita privata trapelato è la quello relativo alla sua prima paternità, efficacemente documentato in musica da The magic kid, uno dei brani più emozionanti del pattern.
Complessivamente però le liriche mandano segnali contrastanti sullo stato d'animo dell'autore. Se The magic kid scalda il cuore per il non banale testo sul rapporto padre figlio, Good while it lasted, altro highlight dell'album, con rassegnazione riflette invece su una bella storia arrivata al capolinea e You leave alone si spinge addirittura a riflettere con ineluttabilità sull'ultimo viaggio che tutti noi dovremmo affrontare. Ancora, Love is so easy, il pezzo più movimentato e leggero dell'opera, introdotto da tastiere quasi cajun, riporta l'orientamento delle liriche sugli aspetti più spensierati e positivi del rapporto di coppia.
Qualunque sia la ragione emotiva che ha portato il buon vecchio Hayes a modificare il suo stile posizionandolo su un mood così introspettivo ed essenziale, guardando indietro possiamo verificare come altri grandi, ad un certo punto della loro carriera, abbiano compiuto la medisma scelta, lavorando per sottrazione. Per limitarci ai primi che mi sovvengono, l'ha fatto Springsteen con Nebraska, Steve Earle con Train a comin', i R.E.M. con Automatic for the people.
Lungi da me voler affermare che Lovers and leavers sia su quei livelli, ma di certo la suggestione che emerge dal suo ascolto lo colloca senza meno tra i lavori più interessanti dell'anno.

giovedì 1 settembre 2016

Monty's Favorite Tips, agosto 2016

 ASCOLTI

Zac Brown Band, The foundation
H.E.A.T. , Live in London
New York Dolls, New York Dolls
Testament, The new order
Hayes Carll, Lovers and Leaves
Death Angel, The evil divide
Steven Tyler, We're all somebody from somewhere
Roy Orbison , In dreams
Scour, Scour
Usher, Confessions
Gojira, Magma
Shawn Colvin and Stev Earle, Colvin & Earle
The Dead Daises, Make some noise
Simo, Let love show the way
Cody Jinks, I'm not the devil
Alek Solnick Trio, Goodbye to romance
Sturgill Simpson, A sailor's guide to earth

MONOGRAFIE/DISCOGRAFIE PARZIALI

Bruce Springsteen, discografia 2007/2014
Six Feet Under, Graveyard classics I/IV
Twisted Sister, discografia completa


LETTURE



Michele Serra, Gli sdraiati


VISIONI



Billions
Mr. Robot
Treme, season 2