mercoledì 30 settembre 2009

L'unico sciopero che non farò


No, ammettiamolo, questi uomini sono dei geni della strategia mediatica. Intelligenze superiori, senza alcun dubbio. Sono un passo avanti. E noi invece sempre dietro a rincorrere.

Cioè stai a vedere che adesso la campagna per lo sciopero del canone della tv pubblica la fanno loro. Hanno in mano il 90% dei programmi d'informazione, fanno e disfano palinsesti per blindare il prime time al Cav., i programmi di Raiuno sono "la casa" del premier, le notizie nei tiggì di Rai Uno e Rai Due sono addomesticate che nemmeno il commissario Rex e LORO propongono, quale forma di protesta, di non pagare la tassa televisiva.

I politici della grande coalizione di sinistra abboccano in pieno, e da bravi realisti dicono che no, è un dovere civile pagarla, perchè in tutte le nazioni europee bla bla bla. Così diventiamo quelli che sostengono i contenuti di questo schifo di televisione pubblica. Attenzione, non è un problema di merito, ma solo di mera propaganda. La questione è posta in maniera capziosa. Io la tassa Rai la pago da sempre, anche se ogni anno più faticosamente, ma davvero, non smette mai di stupirmi l'abilità innata che hanno questi qui nel girare le frittate. Oplà! "Con la nostra azione di Governo abbiamo portato la moralità in Parlamento" Non l'ha detto Berlinguer, ma Berlusconi (geniale a ricordarlo ieri Crozza a Ballarò).

Il merito concreto è che senza il canone Rai e con l'attuale tetto agli spot sulla tv pubblica, si verrebbe a creare una situazione per cui resterebbe solo un gruppo a razzolare spazi e introiti pubblicitari . Che, per una bizzarra combinazione di eventi, frutto esclusivamente del caso, è anche l'azienda del Premier. Quel premier editore del giornale che ha lanciato la campagna contro il canone. Lo stesso che: "quando vuole la Rai è casa sua..."


lunedì 28 settembre 2009

Time is on their side?!?

Tempo fa, quando nelle discussioni mi trovavo nella posizione di dovere difendere un personaggio dileggiato da tutti, usavo dire: “vabè, voi non lo capite, ma tanto poi il tempo è sempre galantuomo”.


Il mio intendimento era quello di evidenziare come, con il trascorrere degli anni e il diradarsi degli steccati ideologici o d'opportunità, la storia avrebbe premiato la persona solo ed esclusivamente per il suo valore. Non so esattamente da chi sia stata coniata la frase, ma avevo in mente molti esempi di artisti, politici e uomini storici che sono stati rivalutati solo dopo molti anni e in genere successivamente alla loro morte.


E’ già qualche anno però che questo assioma comincia a mostrare delle crepe preoccupanti.


Certe volte infatti ho l’impressione che nel mondo della esposizione mediatica, riuscire ad invecchiare restando in qualche modo aggrappati alla notorietà, riesca a cancellare automaticamente qualunque critica e perplessità inerente alla carriera o alla storia del personaggio in questione.


Mike Bongiorno, ultimo in ordine di tempo, ne è la dimostrazione. Se c’era un personaggio che incarnava tutto il contrario degli ideali della sinistra, dell’essere attivista politico (in genere comunista) di quegli anni, ecco, quello era lui. Ci appariva prevaricatore, sciocco, inutilmente offensivo nei confronti dei suoi subalterni e di alcuni concorrenti dei suoi programmi, maschilista e volgare nella sue “gaffes” (vere o presunte che fossero).


Tutto questo oggi, di fronte alla sua dipartita, è miracolosamente sparito. Sono tutti lì a scappellarsi di fronte alla sua figura, gli appellativi si sprecano, omaggi, tributi, nessuna voce fuori dal coro (quella di Paolo Villaggio è stata bacchettata das Aldo Grasso per reato di “indelicatezza”).


Boh, sarà anche che, come la storia insegna, la sinistra in quegli anni non ha capito la massiccia avanzata della cultura di massa, veicolata in primo luogo dalla televisione, e ha perso così terreno rispetto alle persone che si poneva di rappresentare, arroccandosi su posizioni snob e saccenti, ma personalmente su di uno come Mike io non ho mai cambiato opinione.


Continuo a leggere e sentire in giro cose inaudite. Si rivalutano come grandi statisti gente come la Thatcher o Reagan, politici che hanno spaccato in due il proprio paese, le classi sociali e i sindacati, operando sempre a favore delle classi più abbienti, che hanno stretto alleanze con dittatori sanguinari in giro per il mondo, che hanno ridotto alla povertà un numero mostruoso di persone.


Uno come Lino Banfi diventa l’attore delle famiglie italiane, e si permette pure di tirarsela, manco fosse Mastroianni, Lando Buzzanca se ne va in giro a sostenere che la sua carriera di attorone è stata penalizzata dalla sua militanza di destra. Sgarbi è passato un paio di volte da là a qua negli schieramenti politici (no dico, Vittorio Sgarbi!). Ci manca solo Baudo che si candida per il centrosinistra e poi il quadro è completo ( come dite, lo ha già fatto?!? ).


Okay, solo gli stupidi non cambiano idea. Va bene anche che Montanelli (persona onesta, perbene e libera) , incarnazione dell’uomo di destra, nella sua battaglia contro il Cavaliere sia diventato un’icona della sinistra, nonostante la sua strenua battaglia contro il P.C.I. nei settanta/ottanta e la paternità della frase sul turarsi il naso e votare DC (quella della corrente Andreottiana, dei rapporti con Cosa Nostra, della Strategia della Tensione), però le cose sono due: o il discorso del tempo galantuomo è una solenne cazzata, oppure il concetto ha davvero valore e della gente che ho citato (ma ce ne sarebbe altra…) non ci ho mai capito una benemerita cippa, ed è pertanto giusto che vengano rivalutate come personalità di enorme spessore culturale ed alto valore storico.



Solo avvisatemi un po’ in anticipo quando il leader del centro-sinistra di turno nel 2029 rivaluterà Bush jr, Pinochet, Belpietro, Ferrara, Feltri, Vespa e magari pure Emilio Fede, additandoli ad esempio di lealtà, correttezza e indipendenza. Dovesse accadere vorrei essere da un’altra parte. Fanculo, stavolta per davvero.

Le dimensioni non contano


Dev'essere un pò preoccupante per gli attori di action-movie il fatto che un manipolo di porcellini d'India, una talpa, una mosca e altri graziosi animaletti creati al computer abbiano dato luogo ad uno dei più divertenti e movimentati film d'azione dell'anno, no?

Diamine, se ne dovranno fare una ragione, G-Force è proprio un prodotto riuscito. Tra l'altro la versione originale dev'essere stata ancora più esaltante, con il doppiaggio di Sam Rockwell, Jon Favreau, Penelope Cruz, Nicolas Cage e SteveBuscemi.

Continua invece a non convincermi 'sta nuova moda del 3D. Gli appositi occhiali che fornisce la sala sono scomodi da portare sopra a quelli da vista, il loro affitto è oneroso e il risultato finale che producono è poca cosa, visto che il loro uso è giustificato giusto da un paio di cosette in un ora e mezza di film.

Purtroppo G-Force, a differenza dell' Era glaciale, lo si può vedere solo così.
Non fatevi scoraggiare e portateci i bambini (dai 5-6 anni in su, direi).


P.S. Fa una certa impressione vedere recitare Zach Galifianakis, che in Una notte da leoni interpretava uno strafattone, in un prodotto Disney per bambini...

sabato 26 settembre 2009

Appetite for criticism

Vi ricordate dei Prefab Sprout? Il gruppo inglese guidato da Paddy McAloon, singer che cantava come Viola Valentino? A me piacevano, o perlomeno mi piaceva il loro delizioso Steve McQueen, del 1985. Conteneva delle composizioni pop eteree e zuccherose, come i singoli Appetite e When love breaks down, che in qualche modo affermavano una certa personalità nell'ambito della musica commerciale del momento. Nell'arco della loro carriera si sono poi orientati su scelte musicali più indipendenti e meno mainstream, allontanadosi sempre più dai riflettori e aderendo progressivamente allo status di cult band, diradando sempre più le uscite discografiche.


Ma questo non è un post monografico sulla band, è piuttosto un reminder su di un loro singolo. Nel 1988, tre anni dopo il successo (e la causa intentata dalla vedova dell'attore americano) di Steve McQueen, viene annunciato il nuovo ellepì, dal titolo From Langley Park to Memphis. Il disco viene anticipato da un quarantacinque giri dal titolo Cars and girls (qui il video). Il titolo è poco da band inglese, e in effetti dietro a quelle due semplici definizioni (ed a una splendia copertina, postata sotto) si nasconde una sferzante critica nei confronti dei temi (ab)usati da Bruce Springsteen nelle sue canzoni. I primi versi del brano fanno così:


Brucie dreams lifes a highway too many roads bypass my way
Or they never begin. innocence coming to grief
At the hands of life - stinkin car thief, thats my concept of sin
Does heaven wait all heavenly over the next horizon ?

But look at us now, quit driving, some things hurt more much more than cars and girls.

Just look at us now, start counting, what adds up the way it did when we were young ?

Look at us now, quit driving, some things hurt much more than cars and girls.

Bruce all'epoca era all'apice della notorietà, dopo il successo planetario del tour di Born in the USA, era in giro per stadi per l'attesissimo seguito di Tunnel of love. Ovviamente non condividevo l'analisi semplicistica che facevano gli inglesi dell'opera di Springsteen, però tutto sommato un fondo di verità c'era (e se lo pensavo allora da ottuso die-hard fan...), ed è ovvio che un disco non è un trattato accademico, devi andare subito al sodo, e i PS l'hanno fatto con stile, e perchè no, coraggio, viste le sproporzioni delle forze in campo.

Non so se il Boss sapesse dell'esistenza del brano, se si fosse offeso o ne abbia fatto tesoro. Fatto sta che da li a poco (ma probabilmente centra l'essere entrato nei quaranta ed essersi formato una famiglia) il suo songwriting è maturato, ha ampliato i temi, ha raggiunto vette di lirismo in precedenza solo sfiorate.


No, probabilmente non centra nulla Paddy McAloon, ma ogni tanto serve qualcuno che ti rifili qualche calcio nel culo e ti riporti sulla terra, anche se ti chiami Bruce Springsteen.


P.S. Esce proprio in questi giorni, dopo sei anni dall'ultima fatica, il nuovo ciddì dei Prefab Sprout: Let's change the world with music. Bentornati!

venerdì 25 settembre 2009

Le origini di un outlaw


Confesso che avevo trascurato questo lavoro di Hank 3. Ma d'altro canto preso com’ero dalla full-immersion di Straight to Hell prima e di Damn Right Rebel Proud poi, rischiavo veramente l’overdose e la crisi di rigetto. Adesso che lo sto ascoltando con la dovuta calma, mi presento davanti alla tastiera con i miei worn-out boots e lo Stetson bianco calato in testa per tentare di recensire quello che considero un disco dannatamente valido.

Anzi, limitarsi a dire che è valido è molto riduttivo. Non ho elementi probatori, ma sono convinto che Broke, Lovesick and Driftin’ abbia fatto un bel po’ di casino alla sua uscita, diciamo che lo immagino come una bomba che ha provocato un bel cratere su Nashville, la mecca del mainstream country.

Il disco (del 2002, seconda opera dopo il debutto di Rising Outlaw) già dal titolo, contiene in embrione tutti gli elementi che contraddistingueranno in seguito l’asset industriale del Williams del ventunesimo secolo. L'indipendenza dal pop country, cantata con irriverenza in Trashville, la deriva sociale dell’outlaw (la title track, Whiskey, weed and women, Cecil Brown, One horse town),le ballate per i broken hearts (Callin’ your name, Walking with sorrow ) , il cowpunk di Nighttime Rambling man, il divertimento molesto e sfrenato (beh, tutto il resto dell’album). Tra l’altro questo è anche l’unico disco nel quale Hank utilizza lo yodel ( lo stile country introdotto a metà anni venti da Jimmie Rodgers, che trae ispirazione dalla musica delle alpi svizzere) in
Walking with sorrow e One horse town.

Ci sono almeno sei capolavori qui dentro. Mississippi mud è il primo. Scanzonata e alcolica, con un testo e un ritornello che si stampano in testa, e lì mettono radici. Le malinconiche Cecil Brown e Broke, lovesick and drifter, poi Trashville, una specie di prova generale per il definitivo anthem Dick in Dixie,che arriverà da lì a poco, l’honky tonk di 7 months,39 days e la cover, presente anche su di un album di tributo a Nebraska, di Atlantic City, di Springsteen, qui presentata in una versione giocata su violino e dodici corde, che nella parte finale rallenta in maniera drammatica, lasciando il posto alla slide e creando un bel pathos (a voler esser pignoletti, unica pecca è l’eliminizione da parte di Williams di un pezzo di strofa – l’originale fa down here it's just winners and losers / and don't get caught on the wrong side of that line mentre il rifacimento toglie, probabilmente per un problema di metrica, la seconda parte - ).

In definitiva, un bel disco country, un segnale di personalità e indipendenza, un avvertimento lanciato a chi lo voleva vendere come un prodotto preconfezionato pronto per essere collocato negli scaffali dei negozi, magari tra Keith Urban e Billy Ray Cyrus. A questo punto il quadro d'insieme mi autorizza a dire che il buon vecchio Hank, fin qui, non ha sbagliato un colpo.
Sempre damn right rebel proud.

mercoledì 23 settembre 2009

Owners of a lonely heart


Trovo che Manhattan sia principalmente un film sulle solitudini collettive (plurale). Poi certo, anche sulle scelte di vita (giuste o sbagliate), sul coraggio, sulle crisi esistenziali, sulle psicosi dell'uomo moderno, sulle aspettative insite in ognuno di noi e su come le reverberiamo sugli altri, sugli inganni, sulla sincerità, sui tradimenti e sulla purezza dei sentimenti. Tutti questi elementi messi assieme lo rendono inevitabilmente anche un film sull'amore.

Semplice ma efficace la regia, convincenti i personaggi, ispirata la fotografia. Si sorride amaro, ma sopratutto si naufraga dolcemente nella malinconia.


Monty's 115th dream

Beh, sì, a posteriori devo ammettere che forse avevo un pò esagerato. Ma la giornata era stata davvero tremenda, ero stato sommerso da quintali di problemi altrui, ero esasperato e fuori di me. In quei casi, quando finalmente salgo in auto per tornare a casa, non posso fare a meno di sfogarmi mettendo su heavy metal a volume talmente alto da far vibrare le portiere della Clio, e guidare violando tutti i limiti di velocità presenti sul percorso.

E' un pò primordiale, lo so. E immaturo. E pericoloso. Ma, per usare una battuta di Guzzanti/Funari, è anche "tanto libberatorio..."
Perciò sono lì che sfreccio a 75 all'ora in un centro abitato mentre ascolto War Nerve dei Pantera, con Phil Anselmo che più che cantare sta cercando di fondere il microfono a forza di urla, quando vedo la paletta della stradale che mi fa segno di accostare. Beh, in una giornata di merda come questa mi sembra l'epilogo più consono possibile.

Manco fossi Homer Simpson, mi metto a discutere con il mio cervello. Lui mi dice "abbassa il volume prima di fermarti", io dico "fanculo". Così mi fermo facendo stridere le gomme. Abbasso il finestrino, la musica è così forte che il cappello dell'agente quasi gli cade dalla testa.

"Patente e Librettooooo" urla lui sopra il frastuono. Glieli passo con un ghigno tra la strafottenza e la rassegnazione. Si allontana con i miei documenti, immagino per fare un controllo. Tutto il centro del paese sta ascoltando Drag the waters, la traccia numero tre di The great southern trendkill: il suono copre perfino le campane della chiesa.

Ecco che torna il poliziotto. Lo guardo in faccia, è giovane, i tratti del viso non stanno bene con la divisa, sembra uno capitato lì per caso. Mi aspetto che mi arresti per una mezza dozzina di reati. Invece mi restituisce i documenti e mi dice che posso andare. Non credo alle mie orecchie, resto qualche istante con le carte in mano e la bocca spalancata.

Lui fa un paio di passi verso l'auto di pattuglia, poi torna indietro, mi fissa dritto negli occhi e mi dice: "i Pantera mi piacciono fino a Far beyond driven, poi sono diventati troppo autocompiacenti. Non lo senti come sbraca Anselmo? E i riff di Dimebag, Dio l'abbia sempre in gloria? Prendi Walk o Mouth for War: devastanti ma pulitissimi, in The great southern trendkill invece si perdono, si banalizzano, dentro tutta quella potenza senza controllo. Una bella fortuna averli visti dal vivo quando erano i migliori, a Milano nel novantacinque".

Senza aggiungere un'altra parola, si gira e se ne va. Io mi sento all'improvviso svuotato di ogni energia o forza di reazione. Quasi per inerzia stoppo la riproduzione del ciddì, lo tiro fuori e inserisco The best of Gerry Mulligan with Chet Baker. Abbasso il volume, parto a velocità "gita domenicale" e percorro gli ultimi chilometri che mi separano da casa formando una coda di automobili strombazzanti alle mie spalle.

domenica 20 settembre 2009

Roll over everything

Una volta, un'incauto giornalista chiese a Chuck Berry qual'era la canzone del suo repertorio a cui fosse più affezionato.

Charles Edward Anderson Berry, nato a St. Louis il 18 ottobre del 26, creatore di uno stile chitarristico epocale, fonte di ispirazione per tutti gli artisti rock più importanti del secolo, autore di alcuni tra i più grandiosi inni rock and roll di sempre, nonchè inventore dell'imitatissimo duck walk, ebbe a rispondere: " Vedi man, non ho un pezzo preferito, ma se proprio dovessi scegliere, beh allora direi My-Ding-A-Ling".

Per la cronaca, My-Ding-A-Ling (qui il testo) è una canzone del 1972 giocata sui doppi sensi riguardo, si insomma, il pistolino di Chuck.

Insofferente,presuntuoso, sfrontato, egocentrico, intrattabile, Chuck, dal 1955 e per una decade, ha sfornato una serie impressionante di capolavori dell'epoca, che già metterne in fila solo una piccola parte fanno venire gli sgrisoli:

Maybelline, Roll over Beethoven, Too much monkey buisness, Thirty days, Rock and roll music, Little sixteen, School days, Memphis Tennessee, Around And Around, Back In The USA fino al cumshot artistico/autobiografico di Johnny B. Goode, You never can tell, No particular place to go. Se Elvis Presley (grande interprete) ha influenzato la cultura e il costume prima americano e poi mondiale, lui (autore, compositore e cantante) ha inciso così profondamente sullo stile rock da lasciare fino ai giorni oggi la sua traccia sul pop (Beach Boys, Beatles), sul rock (Stones, Springsteen) e sull' hard rock improntato al boogie (beh, AC/DC su tutti).

Scrivendo questo post mi è tornato in mente un episodio che mi è accaduto a Memphis una vita fa. Mentre facevo il mio tour musicale della città (la Sun Records, Graceland), da perfetto turistello ho chiesto ad un nero incontrato per strada, dove fosse la statua dei Elvis Presley. Ricordo che lui mi fissò come se fossi una cacca e rispose "Elvis who?!?".

Ecco, sono certo che se qualcuno chiedesse a Chuck Berry del King risponderebbe esattamente allo stesso modo.


sabato 19 settembre 2009

L'esercizio del punk


Non sono nuovi del mestiere i milanesi Minnie's, tra una vicessitudine e l'altra sono in giro infatti da quasi quindici anni (e sei dischi). Io li ho scoperti con quest'ultimo L'esercizio delle distanze, al quale sono arrivato attraverso qualche recensione pizzicata qua e la.

L'idea che mi sono fatto è che i ragazzi cerchino la via italiana al punk più commerciale e pop, il che non è un'intuizione sbagliata, se vogliamo. Certo che poi bisogna avere la capacità di raggiungere questo obiettivo e loro secondo me si fermano un pò a metà del guado.

Da ascrivere sotto la voce tentativo riuscito sicuramente l'open track Per cosa si uccide (a parte un fastidiosissimo bridge "parlato" che fa un pò Bambolina & Barracuda di Ligabue), Hey, Lasciatemi, Milano è peggio (con "parlato" anche questa, purtroppo), Mai più fiori scuri.

La scrittura, diciamolo, non è eccezionale, anche se si apprezza un certo gusto per le aperture di gas dei ritornelli, che cercano di adempiere con disciplina al compito di restare in mente. La parola d'ordine insomma è immediatezza, la longevità delle composizioni non è forse nei programmi della band.

Alla fine non si evince chiaramente cosa vogliano fare i Minnie's da grandi, sospesi come sono tra la strada mainstream e l'indie, tra i Ministri e i Lunapop.
Time will tell.

venerdì 18 settembre 2009

MFT, settembre 2009


ALBUM

Pearl Jam, Backspacer
Hank III, Broke, Lovesick and Driftin'
Eels, Hombre Lobo
Muse, The Resistance
Arctic Monkeys, Humbug
Minnie's , L'esercizio delle distanze
Juliette Lewis, Terra Incognita
Pantera, Vulgar display of power
Brian Eno, Music for Airports
Elton John, Goodbye Yellow brick road
Marlene Kuntz, The Best
Assjack, omonimo 2009
Eric Clapton & Steve Winwood, Live Madison Square Garden



LETTURE

Giorgio Scerbanenco, Racconti Neri

Stieg Larsson, La regina dei castelli di carta

mercoledì 16 settembre 2009

88 Minuti di troppo

Sono sicuro che Al Pacino potrebbe trovare un modo più dignitoso di arrivare alla pensione, piuttosto che prestarsi a produzioni inqualificabili come 88 Minuti.
Potrebbe ad esempio, chessò, fare Pluto a Dysneyland, la letterina a Passaparola, il presidente del consiglio in Italia...
Qualunque cosa Al. Ma ti prego risparmiaci altri film dove la tua recitazione è così fluida che sembra tu ti muova sott'acqua. Dove i dialoghi sembrano scritti da Pippo Baudo e la sceneggiatura da Giancarlo Magalli.
Se non vuoi farlo per te, fallo almeno per chi ti ha voluto bene.

martedì 15 settembre 2009

Pizzini

In occasione dell'uscita di Blood's a rover il 22 settembre, James Ellroy ha inviato una missiva, umile e misurata, ai librai americani:

“Cari librai, ecco in tutta la sua magnificenza il mio nuovo romanzo, in cui si parla di uomini offesi, Blood’s A Rover . La casa editrice Knopf lancerà questo libro bomba il 22 settembre. Fino a quella data avete il compito di creare un’ attesa presentandolo come un libro profondo e coinvolgente. Poi inizierete a propinarlo ai lettori, e allora io arriverò nelle vostre librerie e farò impazzire legioni di fan; verrà un sacco di gente e comprerà il mio e altri libri e, nonostante il periodo di magra, faremo tutti una barca di soldi. Chiaro, no? Leggete il libro. Apprezzatene la grandezza. Cercatemi su Facebook e fatemi sapere cosa ne pensate. Vostro, James Ellroy”

In altre occasioni l'autore si è espresso così:

"E’ un preeeeeeepotente romanzo storico – grandioso nello scopo, profondo nell’esplorazione dell’era, colmo della paaaazza merda che è il mio marchio di fabbrica e soffuso di un esaltato senso di fede e delle conseguenze della rivoluzione e conversione politica. Oh, sì, questo è un libro per questi tempi".

L'attesa è finita.

lunedì 14 settembre 2009

La parola allucinante

Da giovinastro c'erano tutta una serie di parole tremende che facevano costantemente parte del gergo comune dei ragazzi. Non ci si stava troppo a girare intorno, quando non si trovava un aggettivo adatto a descrivere un contesto o una situazione, si faceva ricorso a due o tre definizioni, che alla fine, in qualche modo, hanno caratterizzato tutto un periodo.

La palma della più abusata spetta indubbiamente ad "allucinante". Allucinante si adattava a qualunque conversazione: "hai sentito di quello che ha sterminato la famiglia? Cazzo, A-L-L-U-C-I-N-A-N-T-E! " " ieri sera ho visto un film troppo ALLUCINANTE!" "Minchia, ALLUCINATE, ieri i miei quasi mi beccano che mi facevo una sega davanti alla televisione!" E così via dicendo.

Una discreta alternativa era usare il "CHE STORIA!". In genere lo si formulava per lo stesso utililizzo dell'aggettivo precedente. Quindi, per esempio: "CHE STORIA OH, gli sbirri hanno blindato il Faccia!" oppure: " cazzo CHE STORIA, ho visto la mia ex in piazza..." o anche " ieri con la Uno di mio padre ho toccato i 140 in fondo a viale Olanda, figa CHE STORIA!"

I più arditi osavano di più, enfatizzando la frase attraverso aggiunte fantasiose, ad esempio "che storia MALATA" oppure : "che storia ALLUCINANTE". In genere però questo impressionante sforzo mentale aggiuntivo finiva per esaurire le loro facoltà di parola per una settimana o due.

Poi c'era da quantificare. Emozioni o situazioni al limite venivano tutte raccolte dietro il semplice termine espresso da UNA CIFRA! "Oh, ieri mi sono divertito UNA CIFRA!" ; " ho provato UNA CIFRA di volte a chiamarti" ; " Cazzo, l'Aprilia costa UNA CIFRA!" e via discorrendo.

Se ho cominciato a disintossicarmi da questa deriva linguistica un pò in anticipo rispetto agli amici devo ringraziare esclusivamente a Patrizio, che mi prendeva regolarmente per il culo per quel modo di parlare, accelerando così il processo di maturazione linguistica ("una cifra?!? E quanto cazzo? dieci, cento, mille, milleeuuno???").

Ancora oggi, quando devo usare la parola allucinante lo faccio con timore e ritrosia, sapete com'è, agli ex-alcolisti basta un goccetto per precipitare nel baratro...



domenica 13 settembre 2009

I migliori della vita, Creedence Clearwater Revival, Willy and the poor boys

Creedence Clearwater Revival, Willy and the poorboys, 1969

I miei facevano la spesa grande una volta al mese, nell'unico, enorme (per i criteri di cinque lustri fa) supermercato che c'era in zona. Io mi univo alla trasferta perchè mi era concesso l'acquisto di un 33 giri, e così mentre loro giravano le corsie, stazionavo al reparto dischi per scegliere il mio acquisto. Il più delle volte loro facevano in tempo a riempire a dismisura il carrello e io ero ancora lì indeciso, a pesare in mano artisti e titoli.



Quella volta invece ero partito bello deciso. Avevo scoperto che Bruce Springsteen adorava un gruppo chiamato Creedence Clearwater Revival, di cui suonava anche delle cover, e avevo deciso che dovevo ascoltarli.
Mi sarei buttato su di una raccolta, ma erano su doppio vinile e andavano decisamente fuori dal budget imposto. Allora, senza una ragione che riesca a ricordare, scelsi Willy and the poorboys, nonostante la copertina poco rock e anzi piuttosto artigianale e uncool.

Più tardi dei CCR sono arrivato ad assemblare l'opera omnia in cd, a farmi come si dice una cultura, a scoprire che sono tra i più sputtanati in assoluto nelle colonne sonore dei film americani dei 60/70, che sono adorati da quel personaggio icona dei fricchettoni che risponde al nome di "Dude" Lebowski, che quasi tutti, critica e fans, individuano in Cosmo's Factory la loro opera migliore.
Ma io beh, sono rimasto affezionato a questo album da molti considerato di transizione, poco compreso e schiacciato tra due masterpiece come Green River e Cosmo's Factory, appunto.


I Creedence furono una fottuta cometa che sconvolse in soli due anni e sei dischi la musica americana fino alle fondamenta.
Non inventarono niente John Fogerty e compagnia, si limitarono ad assorbire tutta la storia musicale USA, dalle radici ai frutti, e la rielaborarono attraverso una fulgida ispirazione nei testi e nella composizione, che gli permisero di scrivere canzoni che sopravvivono ancora oggi nella cultura e nella memoria di un intero popolo.


Ogni disco spaziava dal folk al blues al rock'n'roll al country (in qualche caso persino all'errebì). Anche se, a mio avviso ogni album aveva un suo carattere predominante, pur contenendoli sempre tutti. Così in Green River prevale il blues, in Cosmo's Factory il rock e in Willy and the poorboys il folk e i traditional.

Torniamo a me ragazzino. Arrivato a casa pieno di aspettative e di eccitazione, metto il vinile sul piatto del mio Pioneer . Per sbaglio comincio dal lato B (trattasi davvero di pura casualità). Il primo pezzo del secondo lato è Fortunate's son. Merda, che grande canzone. Parte la batteria e subito si sovrappone un semplice riff di telecaster che si ripterà per tutto il brano, poi arriva il cantato di John, così rauco e americano (in un testo a suo modo anti-americano, considerata l'epoca): "Some folks are born made to wave the flag/ Ooh, they're red, white and blue. And when the band plays "Hail to the chief" / Ooh, they point the cannon at you / Lord, It ain't me, it ain't me / I ain't no senator's son, son / It ain't me, it ain't me; I ain't no fortunate one, no" , e io sono già bello che conquistato.
Tanto per dire, non è stato quello di Smoke on the water il primo riff che ho tentato con la chitarra, ma proprio questo.

In seguito lo ascolto nell'ordine giusto, senza che il mio entusiasmo adolescenziale ne venga minimamente intaccato. Down on the corner apre il lavoro con le chitarre acustiche a menare le danze. Anche qui c'è un tema portante, un riff costruito sulle corde basse, che è un gioiellino. It came out of the sky è più rock'n'roll, mentre Cotton fields è il primo, stupendo omaggio al seminale bluesman Leadbelly, l'altro, Midnight special, è piazzato nella stessa posizione (traccia numero tre) del lato due.

Si prosegue con lo strumentale Poorboy shuffle e quindi la facciata si chiude con una ballata poco considerata, ma che andrebbe rivalutata: Feelin' blue. Oltre a me di certo è piaciuta ai Gov't Mule, che l'hanno suonata sulla prima parte del loro Deep End.

Di Fortunate son, che è diventato un solido inno anti-militare ho già scritto, restano da segnalare il tipico sound creedenciano di Don't look now, poi Side o' the road un altro strumentale ( questa volta elettrico) e la conclusione di Effigy, il pezzo più lungo del lotto, una ballata tesa, con un lungo bridge chitarristico nella parte centrale e in quella conclusiva. Altra composizione poco considerata, ma di grande livello, con il suo crescendo drammatico e intenso.
Dovessi razionalmente consigliare un titolo dei CCR ad un neofita suggerirei forse un altro album, ma Willy and the poorboys ha poco a che fare con la ragione e molto più con il sentimento. E non è questo che conta davvero, alla fine?

sabato 12 settembre 2009

Blood on blood

Con la fine dell'estate riprendono da dove le avevamo lasciate alcune tra le serie televise più interessanti. E' il caso di The Shield (22 settembre) , magnifico poliziesco americano che è arrivato alla settima e ultima stagione e di Dexter (18 settembre), il serial killer dei criminali, che è giunto alla terza tornata di episodi.
Entrambi i telefilm sono sostenuti da ottimi cast e straordinari attori protagonisti, il realismo esasperato (anche nei movimenti di macchina da presa) regna in The Shield, mentre Dexter si fa apprezzare per l'originalità della storia e perchè le cose raramente sono come vengono mostrate.

Devo però onestamente ammettere che il mio cuore batte molto più forte per il detective Vic Mackey che per l'ematologo Dexter Morgan, ma è solo perchè sono un romantico e con Vickey è amore di luuunga data...

venerdì 11 settembre 2009

Liars


Ho cominciato a seguire Lie to me, nuovo (per chi non l'ha seguito in originale) serial americano in onda in Italia per ora solo sul satellite.

Non nascondo che la ragione principale della mia curioità è indotta dal fatto che il protagonista principale è interpretato da Tim Roth, attore inglese che, a partire da Le iene, ho sempre apprezzato.

La trama del telefilm è intrigante, e sicuramente stimola la curiosità del pubblico (sopratutto quello maschile, secondo me).

Roth è infatti Cal Lightman, studioso del linguaggio del corpo e sopratutto delle espressioni facciali. Lightman in sostanza è in grado di capire, attraverso i micromovimenti dei muscoli del viso se una persona sta mentendo o se sta dicendo la verità. E' un eccentrico, un imprevedibile, spesso con le sue decisioni improvvise porta lo scompiglio anche tra il suo stesso staff.

Questa vera e propria scienza è messa a disposizione di polizia, F.B.I. e delle altre forze dell'ordine, per risolvere crimini di varia natura.

Al pari di un telepate che non può fare a meno che i pensieri altrui gli entrino nella testa, Lightman quando gira per strada intercetta brandelli di conversazioni altrui. In breve il dottore è in grado, grazie a degli elementi quasi impercettibili e di brevissima durata, di capire l'onestà di una persona.

Per lo spettatore è indubbiamente interessante seguire le spiegazioni ai vari movimenti involontari di bocca, sopracciglia, fronte, spalle, mani degli indiziati posti in osservazione. Spesso le teorie vengono accompagnate da foto o filmati di personalità storiche o attuali, colte nell'atto di mentire.

Per il resto, come di norma le prime puntate servono agli autori per introdurre i personaggi, i loro caratteri, la loro personalità, per cominciare l'opera di fidelizzazione del pubblico.

Devo dire che, fatto salvo lo spunto, sicuramente originale e appassionante, già dalla visione delle due puntate mi sembra che la serie sia a grosso rischio ripetitività. Ho provato la sensazione di vedere una sorta di C.S.I. (il capo genio assoluto, i casi studiati minuziosamente) basato però esclusivamente sulla capacità dell'uomo di mentire, e di altri uomini di scoprirlo.

Staremo a vedere (ma anche no, eh). Intanto, bentornato mr. Roth, it's been a long time...


mercoledì 9 settembre 2009

La vita e il calcetto

Da ragazzo, e fino a qualche anno fa, pur nutrendo una passione insana per il gioco del calc(etto)io , non amavo unirmi a squadre che non fossero la mia, cioè quella della compagnia storica di amici. Ci si conosceva a meraviglia, i ruoli erano ben definiti, nella buona e nella cattiva sorte in campo si giocava a memoria.
Con il passare degli anni, e con gli amici che per diverse ragioni ad uno ad uno appendevano le scarpe al chiodo, ho dovuto fare una scelta: o diventavo meno schizzinoso riguardo ai compagni di campo, o smettevo di giocare. Ovviamente ho scelto la prima opzione.

La situazione oggi è che riesco a giocare almeno una volta a settimana, grazie ad una sorte di wild card che due o tre squadre che ho bazzicato recentemente mi hanno concesso. Perciò quando manca un uomo all'appello, mi chiamano. E io naturalmente vado.

Cerco anche di non saltare gli allenamenti del mercoledì su campo a sette, anche questi tra gente che mi è più o meno sconosciuta (e si sa che non sono uno che fa amicizia easily...).

Lunedì,in una di queste calcettate last minute, ho avuto una piacevole sorpresa. Ho trovato fuori dagli spogliatoi un amico della vecchia comitiva storica, compagno di mille battaglie sul sintetico. Ho scoperto che anche lui è nel giro dei convocabili di questa squadra e che non l'avevo visto prima perchè si era fatto male ed era rimasto fermo per qualche mese. Fantastico, penso. Ci aggiorniamo sulle rispettive esistenze, più o meno va tutto bene. Per ironia della sorte lui fa il dirigente di un'azienda di logistica, mentre io... beh lo sapete.

Così mentre facciamo una corsetta di riscaldamento mi trovo a chiedergli come sopravvive la sua azienda alla crisi e lui mi risponde che sono stati costretti a non rinnovare i contratti agli interinali e che hanno usato la cassa integrazione per un tot di indeterminati. Io gli rispondo che da noi è più o meno la stessa cosa, speriamo che sto periodo di merda passi.

Senza voler essere eccessivamente pesante o patetico, confesso che non ho potuto fare a meno di pensare come sia in queste situazioni, più che nei graduali decadimenti fisici giornalieri, i capelli bianchi o l'entrata negli anta, che misuro come e quanto sia passato il tempo. Quando non vedi una persona da tempo, e i primi argomenti di discussione sono i figli e il lavoro sembra di vedere tuo padre che parla in piazza coi suoi amici quando tu avevi dieci anni.
Anche se poi, in verità, non è che siamo così tanto cambiati, io e l'amico ritrovato. Sin da giovanissimi lui si era disinteressato a politica e ideali, ha cominciato a lavorare e a guadagnare presto, e ancora più presto si è sposato e ha avuto un figlio, mentre noi altri abbiamo continuato a fare i pirla (e qualcuno l'idealista) ancora per un bel pò. Ha sempre avuto il mito del lavorare tanto per raggiungere una posizione nella società, e beh, credo che abbia raggiunto il suo scopo.
Nel calcio a cinque fa il difensore, l'ultimo uomo. Roccioso, caparbio, instancabile. Spesso si porta in avanti e non è raro che segni dei gol. Io gioco davanti, mi muovo molto, concretizzo poco, spesso risulto effimero, cerco la giocata ad effetto, i tacchi, i tocchi di prima.
Nel calcio come nella vita? (cit)

So what?


Secondo me i Coen hanno perso il loro tocco. La loro ironia dissacrante, l'humor nero, le commedie al vetriolo, resta davvero ben poco di tutto questo dentro Burn after reading, che sembra una brutta copia dei loro titoli più riusciti.

Il cast è quasi sfarzoso. Clooney, Pitt, Malkovich e la McDormand sono bravi (vabbeh, i personaggi sono talmente enfatizzati da risultare "facili"), mentre ho trovato un pò sprecato l'utilizzo di un eccellente caratterista come Richard Jenkins.

Una di quelle tipiche occasioni (sprecate) nelle quali, mentre scorrono i titoli di coda, ti sorprendi a pensare: "embè?!?"...

martedì 8 settembre 2009

Baby i'm a star



Paolo Sorrentino ci conduce nell'esistenza del più mitologico politico italiano attraverso trent'anni di politica italiana. Stragi, inganni, decisioni oscure, ma anche i momenti familiari e quelli, frequenti, di profonda solitudine e sofferenza.

Il regista inizialmente crea empatia tra lo spettatore e il senatore democristiano, facendolo apprezzare per la sua intelligenza, la sua sagacia, le sue battute fulminanti. Poi, lentamente, come un movimento di mdp, cambia punto d'osservazione, facendo mutare la visuale anche al pubblico, quando emergono tutte le implicazioni di Andreotti nella sciagurata stagione dello stragismo di Stato, dei rapporti con la mafia, della gestione, al pari di un cartello criminale, della sua "corrente", via via fino alle fasi finali del processo per associazione mafiosa.

Che film meraviglioso, Il divo. Onirico, divertente, inquietante, sorprendente, appassionante, realistico e surreale insieme. Grande cinema, recitato con maestria teatrale. Su Toni Servillo ormai non si può dire più niente che non sia già stato detto. Epocale. Dà quasi fastidio, ad un saccentello snob come me, accodarsi al coro di complimenti che riceve da ogni parte, critica alta e bassa inclusa, ma tant'è.

Mi è sembrata efficace anche l' interpretazione di Cirino Pomicino da parte di Buccirosso, e a chi lo ha trovato fuori dalle righe consiglio di leggere un pò le indiscrezioni sulla vita del ministro, donnaiolo e festaiolo instancabile.

Anche Flavio Bucci offre con Evangelisti un'interpretazione che lascia il segno, come quella meravigliosa di Giulio Bosetti che fa Scalfari, in uno dei momenti più riusciti dell'opera (l'intervista ad Andreotti).

Trent'anni di vita della Repubblica Italiana passano tra le immagini del film e nella gelida intervista di Scalfari al Divo. Trent'anni nei quali il democristiano è stato protagonista principale assoluto, una scatola nera vivente, come ha ironizzato Grillo in un celebre monologo televisivo, al quale Andreotti/Servillo assistono, nella parte finale del film.

E chissà se la parte in cui la moglie del democristiano (interpretata da Anna Bonaiuto) confida al marito che, tutto sommato, secondo lei la gente lo sopravvaluta perchè "tutti pensano tu abbia un intelligenza superiore, ma si sbagliano, alla fine tu sei solo uno che ha sempre la battuta pronta", rappresenta il messaggio finale del regista Sorrentino.

Come dire, la nemesi storica di mezza Italia, l'intoccabile e mefistolico politico, il rappresentante della politica di scambio e di connivenze, in ultima analisi non ha niente di sovrannaturale, ma è solo un uomo come tanti altri. Perdipiù mediocre. Cazzo, fosse davvero così, sarebbe una beffa tremenda.

sabato 5 settembre 2009

Country hero!

Diamine se ne è valsa la pena. Rifarei i trecento chilometri da qui a Lucerna anche ora, tanto ne è valsa la pena. L'idolatria pagana che ho nutrito per Hank Williams Terzo non è stata vana. L'uomo mi ha ripagato. Ci ha ripagato tutti in una messa solenne di quasi tre ore. Non posso banalizzare quello che ho visto con una recensione affrettata. Lascio decantare ancora un pò le emozioni e poi provo ad esprimerle.
So già che non sarà semplice.


P.S. Il titolo è in ossequio a Country Heroes, uno degli omaggi più sinceri ed emozionati di Hank III all'outlaws ed ai suoi protagonisti

giovedì 3 settembre 2009

(Ghost) Writers


Take the Duke train

Non voglio passare per intenditore di jazz, cosa che sicuramente non sono, ma desidero consigliare a tutti una bella raccoltona di Duke Ellington. Una qualunque antologia va bene, purchè l'audio renda. La mia, doppia, abbastanza esaustiva per un neofita, la pagai 6.90 alla Fnac, qualche anno fa (è nell'immagine del post).

Se sei nel mood giusto è un gran bell'ascoltare.
Sophisticated Lady, Take the "A" train (nota per i miei coetanei: quelli dell'ANICAGIS la usavano come sigla per Andiamo al cinema, e gli Stones ci aprivano i concerti di una turnè di qualche lustro fa); Ko-Ko; I got it bad and bad ain't good; In a sentimental mood, Caravan: una vera bellezza. Lenisce e ti rimette al mondo che nemmeno un blister di aspirine.

Tra l'altro, aspetto piuttosto raro nella musica, gli effetti benefici si manifestano sia sentendola come sottofondo a cena, che con il volume a balla mentre si lavano i piatti. Normalmente invece ogni genere ha il suo volume, Songs for the deaf dei QOTSA per fare un esempio l'ho "capito" solo sfondando le casse dello stereo (e le orecchie dei vicini).

Vabbeh, io ve l'ho detto.

The final curtain?


L'affaire Berlusconi, innescato con la festa di compleanno della Noemi a Casoria, propagato con la richiesta di divorzio della moglie Veronica (e con le sue lapidarie dichiarazioni), deflagrato con la D'Addario e le altre di villa Certosa, nonostante la censura di cinque reti televisive su sei e di più di un quotidiano, non accenna a sgonfiarsi (ahaha), al punto che diversi opinionisti, ultimo in ordine di tempo Gad Lerner, ipotizzano che a breve sarà proprio la coalizione del presidente a smarcarsi da lui, e a chiedergli di farsi da parte.

Il Cavaliere, che in pubblico continua a dimostare indifferenza, in privato ha metaforicamente lanciato una tibia (di Boffo) da spolpare al fido Feltri e ha radunato intorno a se il suo stuolo di legali per cominciare la sua campagna d'autunno a suon di querele all'Unità e a Repubblica. Sull'infame iniziativa del foglio di famiglia Berlusconi non ho nulla da dire. Un pò perchè si commenta da sola ("noto omosessuale"? cos'è, un crimine?), un pò perchè mi piacerebbe che trovaste cinque minuti per leggere questo magnifico articolo del sempre più epico Giuseppe D'Avanzo.

Sulle denunce ai quotidiani invece. Ma ci ha pensato benebene il (sigh) nostro premier? No, perchè mi sembra che il primo effetto di questa sua iniziativa sia quello di aumentare le già ottime tirature del quotidiano di Ezio Mauro e quelle un pò meno buone dell'Unità (lo stesso è successo con l'Avvenire).

Come secondo effetto ha dato indirettamente il via ad una raccolta firme contro la censura della stampa, che ha visto partecipare nomi illustri della cultura.
Infine ha riportato sulle prime pagine di suddetti quotidiani tutto il "ciarpame" che era stato proprio oggetto della denuncia di Silvio.
Basta leggere questo articolo di oggi su Repubblica per capire quanto i giornalisti della testata romana non si siano fatti intimorire dalle iniziative del Cav.

Riflessione finale. Secondo me Berlusconi non si dimetterà mai. E' troppo orgoglioso e si sente troppo unto del Signore e predestinato per farlo. Se è vero però quello che da anni filtra dalle stanze del potere e cioè che l'obiettivo di mr. B. è quello di diventare Presidente della Repubblica alla fine dell'attuale mandato di Napolitano (ovviamente previo un'accrescimento dei poteri della massima figura istituzionale), beh, questi scandali probabilmente costituiscono già da oggi un ostacolo quasi insormontabile ai suoi progetti. Da qui forse la sua irritazione? O davvero è la sua immagine internazionale ad essere stata messa irrimediabilmente alla berlina dagli articoli di Mauro & co.?

Due parole infine sul Partito Democratico. Noi potenziali elettori del centrosinistra lo sappiamo bene. Il partito di Franceschini è il soggetto più preoccupato dell'eventuale caduta del premier. Non sono pronti (lo saranno mai?) ad affrontare una tornata elettorale, nemmeno contro uno che non sia il cavaliere. Lo vedete come sono cauti? Come sparano qualche battuta ad effetto ma non fanno mai male? Come non chiedono mai formalmente le dimissioni del Berlusca, e probabilmente aspettano che sia Letta (come ipotizza Lerner), in privato, a farlo?


Staremo a vedere.



mercoledì 2 settembre 2009

Boia dè!


Periferie di Livorno?
No. Bassa bergamasca.

Ghiaccio tre



Nella terza parte dell'Era Glaciale irrompe l'amore e si allargano le famiglie. I mammuth Mannie ed Ellie diventano genitori e Scrat s'invaghisce della prescoiattolina Scrattina, accantonando per un pò il suo spasmodico inseguimento all'ultima ghianda esistente.

Il branco allargato degli eroi digitali finisce in un mondo nascosto, una terra selvaggia e rigogliosa irta di pericoli e nella quale vivono ancora i dinosauri. E' qui che fanno la conoscenza del furetto Buck, il personaggio nuovo arrivato, un misto tra Jena Plissken, Tarzan e il Capitano Achab. E' lui il vero protagonista dell'episodio, a lui vengono assegnate le battute migliori del film e le azioni più spettacolari.

Come uso e costume moderno, diverse parti del film sono preparate già in funzione della versione videoludica del titolo, fonte questa di enorme guadagno per gli studios. Immagino infatti che la scivolata di Sid sulla neve ad inseguire le uova di dinosauro e la battaglia volante sulle ali degli pterodattili intratterranno di certo milioni di bambini e le loro consolle.

Il film è divertente anche se non fa sganasciare dal ridere, diversi sono i riferimenti cinematografici e all'attualità (l'educazione dei figli, i telefonini, le crisi di mezz'età).
L'impressione finale è che questi prodotti siano sempre di più per i genitori e sempre meno per i figli...



martedì 1 settembre 2009

Una direzione giusta


Non sbaglia un colpo, Neffa. Anche Sognando Contromano, uscito un pò in sordina, senza grandi battage pubblicitari o clamori mediatici, va dritto allo scopo primario dell'arte, cioè emoziona.

Sembra che Giovanni si sia imposto, sin dall'inizio della sua carriera, di spiazzare i suoi ascoltatori cambiando approccio alla composizione, disco dopo disco. E' superfluo credo ricordare il bagaglio di esperienza che si porta dietro Neffa, eterno irrequieto della musica popolare moderna.

Con questo nuovo lavoro il musicista campano vira decisamente sulla malinconia e sul distacco. L'album parte magnificamente con un intro di chitarra claptoniano per Distante, che ci conduce all'ormai caratteristico cantato (molto sudista, quasi arabeggiante) dell'artista di Salerno. Il testo è vibrante e colpisce subito al cuore, il ritornello si apre in maniera molto soul. Un grandissimo pezzo.

A seguire Lontano dal tuo sole, scelto come primo singolo, anch'esso testimone di un momento probabilmente non felice della vita di Pellini. Questo secondo pezzo è meno immediato e ci mette un pò di più ad arrivare, ma tranquilli che arriva. La coda del ritornello "che ora non hooooo" penetra sottopelle dove nidifica per sempre.


Qualcosa di più è un altro pezzo convincente. Introspettivo e poetico, un testo sognante che si apre sull'armoniosa melodia del refrain . Il ritmo torna ad alzarsi con Solo così, traccia che spezza momentaneamente le atmosfere malinconiche del disco, che tornano con In un sogno e l'idealista Nessuno, a mio avviso uno dei due-tre pezzi meno riusciti della raccolta.


Sono riunite nel trittico La mia stella, Satellite e Bellissima le canzoni d'amore positive dell'album, con la Satellite a svettare sulle altre, in pure stile pop Neffiano.


L'album si chiude con Giorni d'estate, che ricorda nello stile qualcosa del folk progressive inglese dei sessanta e con The hill, cantata nella lingue della terra d'Albione.


Caso abbastanza unico nel panorama musicale italiano, Neffa riesce in qualche modo a coniugare l'internazionalità delle sue produzioni con la tradizione melodica nostrana. Originalità e coraggio non gli mancano, per essere più espliciti, secondo me se ne fotte abbastanza delle regole del mercato, segue imperturbabile i suoi umori e le sue traettorie artistiche.

Considerando queste premesse e ammettendo anche che l'ispirazione non è sempre allo zenith creativo, Sognando contromano resta comunque un gran bel disco.