giovedì 31 maggio 2012

80 minuti di Hank III ( 1/2 )

Con l'appropoinquarsi del primo concerto italiano di Hank III (a Collegno il 30 giugno) la febbre per il nipote della leggenda country ha ripreso a salire vertiginosamente. Cosa può esserci dunque di meglio che una playlist antologica per tenerla a bada? E' semplice, due playlist antologiche. Quella che segue è la prima parte.


1) I don’t know
2) Smoke & wine
3) 3 Shades of black
4) Cecil Brown
5) If the shoe fits
5) Candidate for suicide
6) Dyin’ day
7) Ghost to a ghost
8) Fadin’ moon
9) D Ray White
10) Ridin the wave
11) Outlaw convention
12) Six pack of beer
13) Pills i took
14) P.F.F.
15) Straight to hell
16) Not everybody likes us
17) Dick in dixie

martedì 29 maggio 2012

MFT, maggio 2012

LA MUSICA

New stuff: Hank III, Long gone daddy. Afterhours, Padania. Counting Crows, Underwater sunshine. Jack White, Blunderbuss. Gossip. A joyful noise. Jeb Loy Nichols, The Jeb Loy Nichols Special. John Mayer, Born and raised. Marilyn Manson, Born villain. Slash, Apocalyptic love. The Cult, Choice of weapon. Rufus Wainwright, Out of the game. Joe Bonamassa, Driving towards the daylight.


Old stuff: Hank III, Live in Scotland. Girl Talk, All day. Steve Earle, The hard way. Wovenhand, 80 minuti. Dropkick Murphys, The meanest of time. Outkast, Speakerboxxx/The love below

LE SERIE TV

Da finire: Il trono di spade stagione 2. Dexter stagione 6
Da iniziare: Boardwalk Empire stagione 2. Homeland

lunedì 28 maggio 2012

Hey Joe!

Joe Bonamassa
Driving towards the daylight
(2012)

















Nell'ambito del rock-blues, un genere che probabilmente ha detto nel corso degli anni tutto ciò che doveva dire e che dalla prematura dipartita di Steve Ray Vaughan aspetta come il messia un nuovo guitar hero totale, Joe Bonamassa (che il novello Gesù Cristo ancora non lo è) si batte come un leone per affermare la sua identità e la sua musica.
Lo fa ormai da una dozzina di anni, nove album e diversi progetti, l'ultimo dei quali lo ha portato a partecipare insieme a Glenn Hughes, Jason Bonham e Derek Sherinian al progetto hard-rock dei Black Country Communion con un disco di studio licenziato giusto qualche mese fa ed uno live ancora più recente.

Lo fa in moto perpetuo, senza fermar
si mai a darsi pacche sulle spalle, come se l'ispirazione venisse alimentata da una dinamo che ha bisogno di movimento continuo per funzionare. Continua a farlo anche con Driving towards the daylight, decima release della sua discografia e lavoro composto perlopiù da cover. Sono infatti solo tre pezzi scritti da Joe: la veloce opener Dislocated boy, il lento che riprende il nome dal titolo dell'album e Heavenly soul.


Nel campo degli omaggi, i primi in tracklist non lasciano dubbi in merito ai padri artistici del newyorkese, sfilano infatti robuste ed elettriche versioni di Stones in my passway di Robert Johnson; Who's been talking? di Howlin' Wolf e il boogie blues I got all you need di Willie Dixon.
Qualche frammento dei Black Country Communion si percepisce in Lonely town lonely street mentre lo scatenato swing che contraddistingueva New coat of paint di Tom Waits nella lettura di Bonamassa si adegua allo stile del chitarrista, diventando un mid tempo blues.C'è anche un pezzo di Buddy Miller, si tratta di Somewhere trouble don't go, il più cantereccio del lotto, mentre Too much ain't enough love, in classico stile alla B.B.King chiude degnamente il lavoro.

E' impossibile per me muovere rilievi ad uno che ha la passione e la determinazione di tramandare ai posteri in maniera così tenace il blues elettrico. Certo, Joe Bonamassa si muove entro i confini prestabiliti del genere, senza slanci innovativi, ma lo fa con consapevolezza, umiltà (o almeno così si percepisce) e contagioso entusiasmo. Può bastare.








7/10

sabato 26 maggio 2012

Album o' the week / Girl Talk, All day (2010)



Greg Gillis aka Girl Talk aka il genio del mash-up l'avevo scoperto qualche anno fa, all'epoca dell'uscita del suo quarto lavoro, Feed the animals. Non trattandosi del genere musicale a me più consono ne avevo poi perso le tracce. Scopro che nel frattempo, più precisamente nel 2010, è uscito un altro suo album dal titolo All day.


Lo metto su e subito mi stende. Il primo sample utilizzato per Oh no, la traccia d'apertura, è infatti War pigs dei Black Sabbath. Più avanti spuntano i Ramones di Blitzkrieg bop, i Nirvana di In bloom, i Grateful Dead di Casey Jones, i Clash, Prince, i Rage against the machine, Springsteen, i Rancid, i Radiohead, gli U2, i Van Halen, gli Who, oltre chiaramente a decine di altri artisti trasversali ai generi musicali e a tutti i nomi più significativi dell'hip hop, del rap e della black.


Scopro anche che il disco, pubblicato dall'etichetta Illegal art è in download gratuito e che, per chi volesse togliersi ogni dubbio, esiste un'accurata lista con i nomi di tutti gli artisti che hanno "donato" samples dai loro pezzi.


Godimento puro.

venerdì 25 maggio 2012

Fire and Ice: il Trono di Spade stagione uno





Le Cronache del ghiaccio e del fuoco è una saga fantasy dello scrittore americano George R.R. Martin. La serie di libri, inaugurata in USA nel 1996, è arrivata al quinto di sette capitoli previsti (mi riferisco alle edizioni statunitensi, perchè in Italia la Mondadori ha ulteriormente frammentato le pubblicazioni) e i tempi di uscita degli ultimi due volumi sono solo ipotizzabili, data la lentezza con la quale Martin scrive.
La HBO, forse la più prestigiosa emittente via cavo americana, aveva da tempo acquistato i diritti per l'intera saga (che precedentemente era stata negata dal suo autore al cinema per la preoccupazione che venisse ridimensionata a causa dei tempi dei prodotti da sala) e finalmente l'anno scorso il pubblico ha potuto godere della prima stagione della trasposizione televisiva, Game of thrones, da noi il Trono di spade (dal titolo del primo libro di Martin tradotto in Italia).

Per semplificare al massimo, la storia ruota attorno ad un ipotetico mondo medievale diviso in sette regni, ognuno dei quali dominato da una precisa dinastia. Tutti sono però governati da un unico re, al quale, volente o (spesso) nolente, i regni devono fedeltà. Tra ambizioni nobiliari, vendette e spaventose minacce, veniamo introdotti ad un gigantesco affresco avventuroso, un'opera straordinariamente corale.

Uno degli elementi vincenti del serial è che molto poco nella narrazione è lasciato alla retorica,al romanticismo o ai luoghi comuni sull'eroismo: povertà, bassezze, violenza, sesso, spietata ambizione, inganni, lerciume e sopraffazione sono i fattori che emergono prepotenti, il tutto incastonato in una trama che, tra momenti avvincenti e inevitabili rallentamenti, appassiona lo spettatore anche in virtù di characters memorabili che evolvono insieme alla storia in maniera allo stesso tempo credibile ed imprevedibile.

All'interno di un ottimo cast (menzione d'onore per i micidiali villain e per i personaggi più ambigui) spicca il volto noto ed abbastanza abbonato al genere, di Sean Bean, dolente e quasi involontario eroe e Signore di Winterfall, il freddo regno del nord.

Anche se io l'ho vista recentemente, la prima stagione si è in realtà conclusa nel 2011 con un colpo di scena mozzafiato che a ripensarci ancora mi vengono le gambe molli, e con l'apertura di diversi rivoli di sottotrame tutti potenzialmente deflagranti. Ho appena iniziato la seconda che in America sta volgendo alla conclusione.

Un avvertenza all'incauto telespettatore che potrebbe avvicinarsi indifeso al Trono di spade: questa serie, già a partire dalla maestosa sinfonia sui titoli di testa, dà dipendenza.

mercoledì 23 maggio 2012

C'era una volta La Musica

Remember when the music
Came from wooden boxes strung with silver wire
And as we sang the words, it would set our minds on fire,
For we believed in things, and so we'd sing.

Remember when the music
Brought us all together to stand inside the rain
And as we'd join our hands, we'd meet in the refrain,
For we had dreams to live, we had hopes to give.

Remember when the music
Was the best of what we dreamed of for our children's time
And as we sang we worked, for time was just a line,
It was a gift we saved, a gift the future gave.

Remember when the music
Was a rock that we could cling to so we'd not despair,
And as we sang we knew we'd hear an echo fill the air
We'd be smiling then, we would smile again.

Oh all the times I've listened, and all the times I've heard
All the melodies I'm missing, and all the magic words,
And all those potent voices, and the choices we had then,
How I'd love to find we had that kind of choice again.

Remember when the music
Was a glow on the horizon of every newborn day
And as we sang, the sun came up to chase the dark away,
And life was good, for we knew we could.

Remember when the music
Brought the night across the valley as the day went down
And as we'd hum the melody, we'd be safe inside the sound,
And so we'd sleep, we had dreams to keep.

And I feel that something's coming, and it's not just in the wind.
It's more than just tomorrow, it's more than where we've been,
It offers me a promise, it's telling me "Begin",
I know we're needing something worth believing in.

Remember when the music
Came from wooden boxes strung with silver wire
And as we sang the words, it would set our minds on fire,
For we believed in things, and so we'd sing.


Remember when the music, di
Harry Chapin.
La potete ascoltare
qui

lunedì 21 maggio 2012

Ten years ago

Hank Williams III
Long gone daddy
(Curb) 2012






















Sembra che non si riesca a stare più di qualche mese senza uscite discografiche di Hank Shelton Williams III. Quando non è la sua inarrestabile prolificità a mettersi in moto, ecco che allora ci pensa la sua ex major a tenere desta l'attenzione di noi fan, con una raccolta di brani risalenti ad una decina d'anni fa.


L'antologia è composta da dieci tracce, due outtakes provenienti da Risin' outlaw e Lovesick broke and driftin' (disco d'esordio e secondo lavoro di Hank) delle quali la title track è un country-rockabilly con annesso finale yodel, mentre Sun comes up è un lento traditional country (più volte suonato live). Gli altri brani originali sono rappresentati da due versioni leggermenti differenti di brani pubblicati negli stessi album (What they want me to be altre non è che una Trashville sulla strada della definizione e If the shoe fits è sottoposta ad un futile trattamento definito shuffle mix).


Le sei cover invece omaggiano, tra gli altri, Merle Haggard e la sua The bottle let me down con risultati positivi, ma molto lontani dalla versione incendiaria fornita dai Mavericks con Flaco Jimenez, e Wreck of the old 97 di Johnny Cash stavolta molto riuscita, con un accelerazione centrale esaltante. Ancora, Joey Alcorn che non si limita a prestare la suggestiva This ain't Montgomery, ma la canta in duetto con Hank,mentre Good hearted woman della coppia Waylong Jennings/Willie Nelson non credo necessiti di molte presentazioni.


Serviva questa ennesima release di Williams 3? Beh, direi proprio di no. Il mercato è più che saturo di uscite del buon Hank, considerato che dal 2006 ad oggi sono usciti ben dieci dischi (senza considerare i due con gli Arson Anthem in compagnia di Phil Anselmo) tra country, metal e folli contaminazioni di vari generi. Long gone daddy è sicuramente un prodotto non imprescendibile e destinato esclusivamente ai die hard fans. Anche se, per la verità, l'ascolto del giovane Shelton prima che la sua musica si facesse malsana, oscura e borderline di questi tempi è una sana boccata d'ossigeno.


6,5/10

sabato 19 maggio 2012

Album o' the week / Sly and the Family Stone, There's a riot going on (1971)




Sono un fervente sonstenitore dell'applicazione in musica del motto biblico "c'è un tempo per ogni cosa", potrei citare decini di casi in cui un disco ha fatto breccia nelle mie emozioni dopo vari tentativi,spalmati magari nel corso di anni, andati a vuoto. There's a riot going on (risposta alla domanda What's going on? dell'omonimo album di Marvin Gaye) di Sly Stone e la sua Family l'ho comprato per "dovere" (trattandosi di uno dei dischi più significativi della storia), ma mi ha rimbalzato a lungo. Non è certo un'opera facile da assimilare, con la sua trasversalità funk, jazz, psichedelia, soul. Elaborato e realizzato sotto l'effetto di tonnellate di sostanze stupefacenti (e...beh, si sente!), l'ellepì è un viaggio stralunato nella musica, nella politica e nell'arte di quel frangente storico. Ad accompagnarci, oltre al genio tossico di Stone, anche Ike Turner e Bobby Womack alla chitarra e Billy Preston alle tastiere. Play it loud.

venerdì 18 maggio 2012

80 minuti di Woven Hand

Le compilation fondamentalmente dovrebbero, più che svolgere il compitino da greatest hits di pezzi e/o personaggi stranoti, veicolare le forme d'arte musicale meno immediate e accessibili , interpretate da artisti che si muovono seguendo un loro percorso preciso, fuori dalle mode e dal tempo e pertanto ad esse trasversali. E' questa premessa l'identikit ideale di David Eugene Edwards, già leader dei 16 Horsepower e da un decennio alla guida dei Woven Hand. Edwards trasuda carisma e personalità ad ogni sguardo, già a partire dai banali scatti fotografici destinati alla promozione discografica, sul palco poi è addirittura sciamanico, sacerdote di un culto che non è nè pagano nè cristiano, ma appartenente alla sua chiesa, che celebra le proprie funzioni attraverso un folk trasversale, talmente contaminato da altri generi (indie, country, world) da perdere meravigliosamente l'imprinting iniziale. Tra album originali e rielaborazione degli stessi, una decina di album dal 2002 ad oggi, partendo dall'opera omonima per arrivare a Threshingfloor del 2010.

1. Sinking hands
2. The threshing floor
3. A holy measure
4. Blue pail fever
5. Not one stone
6. Raise her hands
7. Orchard gate
8. Kingdom of ice
9. The speaking hands
10. Tin finger
11. Your Russia
12. Winter shaker
13. Whistlin girl


P.S. A voler essere pignoli la tracklist occupa sessanta minuti di tempo, volendo raggiungere la fatidica soglia di durata del titolo, è consigliabile aggiungere il recente mini live Black of the ink uscito a fine 2011.

mercoledì 16 maggio 2012

Avengers assembled!





Non sapevo esattamente cosa aspettarmi dal primo crossover cinematografico della Marvel, gli episodi precedenti incentrati sui singoli Avenger avevano raggiunto buoni/ottimi risultati, ma quello del supergruppo è un prodotto complesso da portare sul grande schermo, tant'è che sono davvero limitatissimi i precedenti (mi sovviene il recente Watchmen che è comunque di un profilo totalmente diverso) dai quali prendere le misure. In qualche modo questa incertezza mi accompagna anche adesso che il film l'ho visto e son qui ad esprimere un giudizio.




Sicuramente è da apprezzare lo sforzo fatto dagli sceneggiatori di costruire un'opera corale e di non privilegiare quindi un personaggio rispetto ad un altro. L'obiettivo è colto in parte, l'approfondimento del personaggio Vedova Nera ad esempio (verrebbe da dire nonostante la prova della Johansson) è molto congruo con quello dei comics, mentre con Hawkeye (che peraltro non viene mai chiamato con il suo nome di battaglia) si poteva fare sicuramente di meglio.


Il tentativo di equilibrare il contributo dei super-dudes non riesce comunque a contenere la leadership naturale di Robert Downey jr, che, caso più unico che raro, ha conferito al personaggio Tony Stark / Iron Man un fascino di gran lunga superiore a quello dell' originale a fumetti, che ho sempre trovato antipatico e, dopo la saga Secret Wars, addirittura odioso. Altro buon risultato l'hanno ottenuto con Mark Ruffalo/ Bruce Banner/Hulk (terzo attore chiamato ad impersonare il mostro dopo Bana e Norton) per il quale è stato ritagliato un ruolo da deus ex machina nell'ambito della storia, mentre Capitan America e Thor sono a mio avviso poco incisivi, probabilmente anche a causa della scarsa personalità di Evans ed Emsworth, gli attori chiamati ad interpretarli.


La trama è quel che è, inutile fare i sofisti: Loki scatena l'inferno sulla terra e gli eroi sono chiamati a salvarla. Siamo dalle parti del prodotto d'intrattenimento familiare, non delle saghe di Batman o degli X-Men che intraprendono la strada di un cinema più adulto e compiuto. In alcuni passaggi però (quelli disimpegnati) si segnalano dialoghi divertenti e battute ficcanti e insomma le oltre due ore di durata non annoiano. Come accennavo in premessa sufficienza raggiunta ma senza particolari slanci. Anche Stefano, che per la prima volta nella sua vita ha atteso febbrilmente l'uscita di un film, ha cominciato a realizzare che ogni tanto l'attesa è più eccitante dell'evento agognato.





Dal punto di vista delle prossime produzioni, a luglio sarà il turno del reboot di Spiderman, mentre sono in preparazione i sequel di Thor e Captain America e il terzo capitolo di Iron Man.



lunedì 14 maggio 2012

Macy's playlist

Macy Gray
Covered up
(429 Records) 2012
















Ho l'impressione che Macy Gray, dopo il promettente debutto, sia un pò uscita dall'olimpo delle cantanti black e abbia intrapreso una prematura parabola discendente. Le ragioni di questo impaludamento potrebbero essere diverse, a mio avviso però ne prevale una, e cioè che Macy pur essendo dotata di una voce particolare appare debole dal punto di vista della personalità e dell'immagine, aspetto cruciale nell'ambito in cui si muove.E di certo in questa condizione non è certo d'aiuto farsi vedere in giro a Sanremo con gente del calibro di Gigi D'Alessio e la Bertè.
Nel tentativo di risollevare le sue sorti l'artista ricorre ad un disco di cover nel quale riesce a spiazzare l'ascoltatore in quanto non seleziona brani della tradizione black ma pezzi pop-rock-indie bianchi che davvero si fatica a credere possano far parte delle playlist sul suo ipod.
Si parte con una versione molto evocativa di Here comes the rain degli Eurythmics, eseguita solo con piano e voce e capace di una suggestione desertica, mistica, pastorale. Anche Creep dei Radiohead si muove su coordinate simili, ma personalmente ne ho talmente le tasche piene di questa canzone che non riesce a scalfirmi.

Un pezzo che non conoscevo è I smoke 2 joints dei The Toyes, irriverente e cazzaro. Sorprendenti sono le scelte di omaggiare i My Chemical Romance, i Metallica e gli Yeah Yeah Yeahs, rispettivamente con Teenagers (riuscita), Nothing else matters (vale lo stesso discorso fatto per Creep, non si capisce il senso di rifare un pezzo strasentito come questo) e Maps (ottima).
Bisogna arrivare alla traccia dodici per scovare un tributo ad un artista dello stesso campo da gioco della Gray. Si tratta del contemporaneo Kanye West e il pezzo è Love lockdown. La chiusura, al netto dei numerosi skit presenti, è per un'altra sorpresa, una gustosa versione caraibica/gospel di Wake up degli Arcade Fire.

Covered up è in ultima analisi un disco anche interessante, ma che già a partire dalla copertina sembra un pò buttato lì, con scarsa convinzione e impegno minimo sindacale, realizzato magari negli scarti di tempo dell'artista puntando tutto sul valore dei pezzi e sulla capacità interpretativa della singer. Un ascolto o due non glielo si nega, ma è facile prevedere una brevissima longevità.


6/10

sabato 12 maggio 2012

Album o' the week / Big Country / Fields of fire, The ultimate collection (2003)




Lo so che quando m'incisto su di un argomento divento (più) noioso, però c'è poco da fare, la riscoperta dei Big Country, avvenuta occasionalemente qualche settimana fa mi ha risucchiato in un mulinello di emozioni, ricordi e profonda empatia con il loro sound. Si può dire che il gruppo del povero Adamson mi sia entrato sottopelle più oggi che quando lo scoprii al tempo della loro affermazione.



Gran parte del merito va a questa antologia estremamente esaustiva, che raccoglie ben trentacinque tracce, suddivise su due cd. La parte del leone la fanno giustamente l'esordio The crossing e il successivo Steeltown, ma il rock n' soul di Republican party reptile, il country di Beautiful people e il pop di I'm not ashamed sono propredeutiche a comprendere il tentativo di mutare pelle messo in atto dai cinque scozzesi. Ad ogni modo, ancora oggi dopo un quarto di secolo dalla prima volta, è ancora la marcia marziale di Come back to me, a farmi esplodere puntualmente il cuore in mille pezzi.

venerdì 11 maggio 2012

80 minuti di Mastodon

I più credibili traghettatori dell'heavy metal nel nuovo millennio. Così sono definiti da molti i Mastodon, combo di Atlanta. La band, attiva dal 2000 ha rilasciato cinque full-lenght, il più recente dei quali è l'ottimo Hunter, del 2011, che alterna lo stile ormai consolidato del gruppo a composizioni più accessibili. Playlist di venti pezzi.



1) Dry bone valley

2) Black tongue

3) Crystal skull

4) I am Ahab

5) Capillarian crest

6) Colony of birchmen

7) Megalodon

8) Blasteroid

9) Sleeping giant

10) Ghost of Karelia

11) All the heavy lifting

12) Curl of the burl

13) Bedazzled fingernails

14) Spectrelights

15) Aqua dementia

16) Crack the skye

17) Where strides the Behemoth

18) Iron tusk

19) March of the fire ants

20) Blood and thunder


mercoledì 9 maggio 2012

Asleep at the wheel

The wind come silent through the windshield
All i could see was snow, sky and pines
I close my eyes and i was running
I was runnin' then i was flyin'
(Bruce Springsteen, Highway 29)



Ho un sogno ricorrente. Sono al volante della mia auto, presumibilmente di notte perchè la strada è buia. Sono colpito da una spossatezza intensa, ho sonno, non riesco a tenere gli occhi aperti. All'inizio il sogno è realistico e perciò lotto per evitare di addormentarmi alla guida, poi però decido di abbandonare ogni resistenza e mi lascio trasportare in un meraviglioro oblio, scivolando come una barca alla deriva in un mare piatto, godendomi una leggerezza sconfinata.


Ora, non sono alla ricerca dei significati reconditi della cosa (due o tre potrei ipotizzarli pur essendo privo di lauree in psicologia), ma piuttosto della pericolosa analogia tra queste dinamiche oniriche e quanto mi succede davvero in giorni di particolare stanchezza, dopo aver fatto dodici, quattordici ore fuori casa e magari macinato tre-quattrocento chilometri tra un impegno e un altro, quando davvero casco dal sonno e nè radio, nè sigarette, nè aria gelida dal finestrino aperto anche d'inverno mi destano dal torpore. Sono degli istanti, dei frangenti, delle frazioni di secondo nei quali la realtà non è poi così distinguibile dal sogno e l'abbraccio di quest'ultimo è molto più invitante degli sforzi che reclama la prima.

lunedì 7 maggio 2012

La stella d'argento

The Del Fuegos
Silver star

















Esce in sordina, disponibile solo per il download digitale, nenache fosse il debutto di una tra le tante garage band della provincia USA, il nuovo capitolo della saga The Del Fuegos. E invece il gruppo di Boston, capitanato dai fratelli Dan e Warren Zanes è stato un vero e proprio heartbreaker, a metà anni ottanta, per tutti gli amanti della musica roots americana grazie ad album quali Stand up e sopratutto l'acclamato Boston, Mass.



Dopo un quarto di secolo durante il quale si erano sostanzialmente perse le tracce del progetto d'assieme dei fratelli, all'alba del 2012, inaspettatamente, i due tornano timidamente a far parlare di se, con un disco che cerca di riannodare i fili delle sonorità che erano stati in grado di amalgamare più di un quarto di secolo fa.



Con successo? Beh, otto brani per meno di mezzora di durata forse non sono il banco di prova più impegnativo per capire quanto gli Zanes facciano sul serio, ma bastano per apprezzare il ritorno ad un songwriting di qualità, nel solco pieno del loro stile. Pezzi come Time slips away, la traccia di apertura (in odore di Tom Petty), Friday night che richiama i Creedence o la stonesiana Don't go down in the hole sono lì ad affermare tenacemente che stavolta i Del Fuegos ci sono e sono belli carichi. Personalmente ne sentivo la mancanza.


7/10

sabato 5 maggio 2012

Album o' the week / Beastie Boys, The sounds of science (1999). In loving memory of Adam Yauch




Non è molto che ho dedicato questa rubrichetta ai Beastie Boys, e più precisamente a Licensed to ill, torno a farlo oggi per una nefasta notizia, quella della dipartita di Adam Yauch, uno dei tre membri fondatori della posse, malato da tempo. Per celebrarlo ho scelto questa lussuosa antologia che raccoglie in quarantadue tracce il loro meglio dagli esordi alla fine dei novanta.


Oggi appare un pò beffarda la scelta di raffigurare i tre sulla copertina truccati da vecchietti. Per un crudele scherzo del destino infatti non sapremmo mai quanto quell'immagine posticcia del povero Adam potesse avvinarsi alla realtà.

venerdì 4 maggio 2012

80 minuti di Erykah Badu

Playlist di oggi dedicata a Erykah Badu, regina del nu-soul che ad oggi ha pubblicato cinque album in studio, dal debutto di Baduizm all'ultimo New Amerikah Part Two e che è molto attiva anche sul fronte dei diritti civili. Ho cercato di compensare al meglio la sua opera in sedici tracce.
1) Didn't cha know
2) On & on
3) The healer
4) Window seat
5) Apple tree
6) Back in the day featuring Puff Daddy
7) Otherside of the game
8) Turn me away
9) Cleva
10) Soldier
11) Next lifetime
12) Danger
13) Love of my life worldwide
14) Bag lady
15) Tyrone
16) Honey


mercoledì 2 maggio 2012

Il ritorno dei morti viventi, seconda stagione - conclusione

A volte penso che farei volentieri a meno di tutto l'eccesso di informazione che, volente o nolente, frequentando forum, blog e/o social network ti travolge. Chissà quale giudizio complessivo avrei dato della seconda stagione di The Walking Dead se non avessi saputo ad esempio del grosso taglio di budget della produzione rispetto alla prima e dell'allontamento dell'autore Frank Darabont durante la pausa programmata a metà season. Conoscere questi elementi ha indubbiamente condizionato la mia valutazione dell'opera conducendomi a spiegazioni più tecniche degli avvenimenti, togliendomi un pò di sospensione dell'incredulità.

Il mio giudizio complessivo della seconda stagione è comunque positivo. Ad una prima parte molto lenta ( ma con una conclusione devastante) e priva di quelle magnifiche immagini che avevano caratterizzato la stagione uno insieme alle sequenze nelle metropoli spettrali e alle scene di massa, nella quale, come già scritto, spiccava nettamente la metamorfosi di Shane Walsh, ha fatto seguito una seconda che ha ripreso a premere sull'acceleratore dell'azione, con conseguenze molto significative sulla dinamica della storia e sui personaggi.


Senza entrare troppo nel merito degli sviluppi, mi sembra di poter dire che gli sviluppi più rilevanti riguardano il profilarsi all'orizzonte di un gruppo di sopravvissuti violento e senza scrupoli e la conferma di un ulteriore, micidiale effetto del virus che trasforma gli uomini in zombie. Non ho particolare rimpianto per i personaggi che hanno abbandonato la serie eccezion fatta per Jon Bernthal (Shane, nella foto), senza dubbio la marcia in più della stagione appena conclusasi. Dovessi esprimere un desiderio per la terza annata di programmazione, mi piacerebbe rivedere sullo schermo lo psicopatico razzista Merle Dixon, magistralmente interpretato da Michael Rooker, fino ad ora tornato solo nelle allucinazioni del fratello Daryl.

martedì 1 maggio 2012

uno cinque duemiladodici

In Italia le fabbriche sono quasi sparite, come spazio fisico ma anche come luogo culturale, e in questo Primo Maggio del 2012 i problemi del cottimo e del crumiraggio sono lontani, rispetto alla mancanza strutturale di posti di lavoro. Ma nel caso esistesse al mondo qualcuno che non avesse ancora visto La classe operaia va in paradiso (film del 1971 di Elio Petri con Gian Maria Volontè) può farsi un recupero concentrato di storia attraverso tre minuti di questa epocale sequenza dalla pellicola.
Buon Primo Maggio.