lunedì 31 gennaio 2022

Gang, Ritorno al fuoco (2021)


Partiamo da un aspetto che ben fotografa l'incontenibile affetto dei fans nei confronti dei fratelli Severini: per la realizzazione di Ritorno al fuoco (titolo mutuato da un saggio di Gary Snyder) i Gang sono ricorsi per la terza volta (dopo Sangue e cenere e Calibro 77) al crowfounding. Ebbene lo strabiliante risultato ottenuto ha proiettato questa band, da anni fuori da qualsivoglia riflettore mediatico, a conseguire il record italiano di fondi raccolti (in ambito musicale), quasi settantremila euro (garantiti da millecinquecento donatori) che Marino ha così commentato: "grazie a così tanti co-produttori abbiamo a disposizione le risorse necessarie per realizzare un disco di gran qualità, che nessuna etichetta indipendente o casa discografica ci avrebbe messo a disposizione. E questo crea di conseguenza le condizioni per lavorare completamente in libertà, senza alcuna costrizione dettata da regole del mercato e del profitto, nemiche di ogni creatività". Una passione incontenibile, quella dei follower dei marchigiani, che il gruppo ha riversato pienamente negli undici brani, dieci inediti e una cover, che compongono il disco. 

Come spesso accade per ogni nuovo lavoro dei Gang, non basterebbero dieci post per analizzare gli spunti letterari, le profonde riflessioni politiche e sociali che caratterizzano la scrittura dei brani. Me la cavo rimandando quanti volessero approfondire a questa bella intervista a Marino pubblicata su duels.it. 
Tornando invece alla parte artistica, quando Severini parla di disco di gran qualità lo fa con cognizione di causa. Dietro alla produzione dell'opera, infatti, ci sono ancora la competenza e la passione di Jono Manson, che tesse la tela musicale con preziosi fili di americana, coadiuvato da un gruppo di musicisti che, complessivamente, supera i trenta elementi - di cui fino a dieci/quindici impiegati in alcuni singoli brani - , a dar vita ad un sound pieno, arioso e trascinante, prepotentemente esplicitato nella traccia d'apertura. 

Da un punto di vista filosofico, con La banda Bellini i Gang continuano la propria ostinata divulgazione di nuovi banditi senza tempo, cioè di personaggi che anarchicamente hanno rifiutato di seguire la strada nella quale la società voleva ingabbiarli  ("nessuno di loro è iscritto a Statale / e all'Innocenti non vogliono crepare"). In questo caso ad essere decantate in uno strepitoso tripudio di fiati, violini, banjo e fisarmonica sono le gesta di una banda che ha agito nella Milano dei settanta, protagonista di un romanzo di Marco Philopat. Anche grazie ad un ritornello irresistibile che si chiude con uno "scion scion" di morriconiana memoria, siamo al cospetto di uno dei migliori brani di sempre dei Gang. Al termine dell'ascolto dell'album, di canzoni di questo livello, ne annovereremo altre. 

E' chiaro che la cifra stilistica della band non può e non potrà mai esulare dall'accendere potenti (ma sempre poetici) riflettori su attualità, politica e diseguaglianze, ricordando ai più distratti conflitti dimenticati, come quello del Kashmir (Azadi), celebrando tentativi di instaurare governi laici, liberi e ispirati a valori socialisti (Rojava libero) dentro dittature liberticide (la Siria, in questo caso), ma anche regalare un "inno alla gioia" dedicato a Pepe Mujica, ex presidente dell'Uruguay (Pepe), o di rievocare un massacro dimenticato subìto da undici italiani rinchiusi in prigione e lì linciati da migliaia di persone, a New Orleans nel 1891 (Dago),  così come quotidiane tragedie italiane (Concetta) e, infine, scatenandosi in un'inebriante e festosa dedica mariachi a Mimmo Lucano, con quella bellezza che è Un treno per Riace, una canzone che è baciata dalla migliore ispirazione e che omaggia De Gregori in un paio di passaggi (non serve che indichi quali, basta ascoltarla), anche se il vero tributo al cantautore romano arriverà più in là nella tracklist.

Tuttavia, come mi sembra di aver già scritto, ciò che distingue i Gang dai tanti gruppi "combattenti" loro contemporanei è una sensibilità e una capacità di scrittura che li pone se non ai livelli dei più grandi, di poco sotto. Una sensibilità che, sarà la non più giovanissima età, li porta a comporre canzoni d'amore mature e non banali, come Amami se hai il coraggio, un pezzo autenticamente emozionate. Una composizione che traccia un solco incolmabile tra chi pensa che bastino quattro slogan giusti per chiudere un pezzo e chi sa essere di poesia e di lotta senza snaturarsi mai. 

Tornando a De Gregori, dopo aver registrato per Calibro 77 una scatenata versione di Cercando un altro Egitto, i Gang rivolgono la propria attenzione al repertorio ottantiano (Scacchi e Tarocchi) del cantautore romano. 
Con la cover, struggente ed evocativa, di A Pà, oltre all'omaggio musicale si consegna all'ascoltatore anche un ricordo speciale e doloroso, visto che il brano fu dedicato a Pier Paolo Pasolini.

Insomma, siamo testimoni dell'ennesima rinascita di una delle più importanti band italiane, che sembra aver trovato in questi anni devastati e vili nuova forza, vigore e ispirazione artistica. 

lunedì 24 gennaio 2022

Monterossi (serie tv)

Carlo Monterossi è un autore televisivo benestante - tendente al ricco - che vive però con sensi di colpa il suo successo, in quanto raggiunto con prodotti trash. Pur avendo da anni interrotto la sua più importante storia d'amore con Lucia, reporter di guerra, continua ad essere innamorato di lei. La sua rete di amicizie è composta principalmente da Nadia e Oscar, due giovani che ha fatto assumere nell'ambito proprio del programma tv da lui detestato. In una Milano attuale e piena di contraddizioni, a sconvolgere il malinconico tran tran di Carlo, arriveranno omicidi e situazioni pericolose.

Monterossi è una serie tv recentemente rilasciata da Prime Video, che, nei suoi sei episodi, dà vita ai romanzi Questa non è una canzone d'amore e Di rabbia e di vento di Alessandro Robecchi. Complice una trasferta di lavoro a Roma e le relative, tristissime, notti da solo in albergo, me la sono bevuta d'un fiato, andando molto vicino al (da me) tanto detestato binge watching. 

Chiariamoci subito, Monterossi non è certo True Detective, piuttosto si inserisce nel recente, felice, filone di "giallisti" nostrani prestati alla tv che, sull'esempio di Montalbano, legano strettamente le vicende narrate al territorio, pensiamo ai casi de L'alligatore o Rocco Schiavone. Ecco, Monterossi si colloca in questo contesto, forse con giusto un pelo di linguaggio esplicito in più, ma niente per cui mettere a letto i bambini moderni. 
La serie è pulitina, scritta bene, i personaggi non necessariamente suddivisi in maniera netta tra buoni e cattivi, e ha dalla sua alcune linee di dialogo davvero divertenti. Infine c'è lui, Fabrizio Bentivoglio, che sembra nato per la parte di un disincantato uomo di cultura che aveva ideali (di sinistra) e pensa di averli svenduti per il successo; che ovviamente si vergogna di essere ricco, che beve costosi whiskey single malt ed è fanatico di Bob Dylan, al punto di citare in continuazione i testi delle sue canzoni (presenti nella colonna sonora con, immagino, un notevole sforzo economico della produzione per acquisire i diritti). 

L'altro punto di forza della serie sono alcuni comprimari. Non tanto l'entourage di amicizie del protagonista, quanto alcuni personaggi di contorno, come l'ispettore Carella (un grande Tommaso Ragno), la conduttrice televisiva trash (una Carla Signoris che fa fischiare le orecchie a Barbara D'Urso) e, soprattutto, la coppia di killer del primo trittico di episodi (Questa non è una canzone d'amore), davvero strepitosi (non sarebbe male uno spin-off dedicato solo a loro). 

Insomma, se volete una serie breve, in pratica due film divisi in tre puntate, leggera e divertente, se siete legati a Milano, vi piace Bob Dylan e se, soprattutto, come il sottoscritto, siete froci per Bentivoglio, Monterossi potrebbe fare al caso vostro. 

lunedì 17 gennaio 2022

Diabolik (2021)




Per una volta posso tranquillamente evitare la sinossi del film visto che i Manetti Bros riportano sul grande schermo le gesta del mitologico e stranoto criminale, nato giusto giusto sessant'anni fa dalla fantasia delle altrettanto epiche sorelle Giussani. Il personaggio era stato protagonista finora di un unico film, realizzato nel 1968 con affascinante gusto pop, ma lontano dalle atmosfere delle tavole, da Mario Bava. Pare che, da allora, siano pervenute altre proposte ai responsabili del "marchio", ma che siano state tutte rifiutate, proprio in quanto troppo divergenti dalle aspettative di chi detiene i diritti.

Tutto questo fino alla proposta dei Manetti, il cui progetto è stato immediatamente accettato, dando il via alla produzione di un film coinvolto purtroppo nel giro di rinvii  causa covid (pronto per le sale nel dicembre 2020, è uscito un anno dopo).

Vedendo il film (al cinema, un attimo prima che fossi bloccato a casa per venti giorni per un giro sulla variante omicron del covid) ben si capisce perchè questa versione cinematografica sia piaciuta agli editori. I registi romani infatti realizzano qualcosa di spiazzante e inedito, facendo letteralmente vivere le pagine del fumetto sullo schermo, in un'operazione fideistica e filologica, nella quale i bravi Luca Marinelli (Diabolik), Valerio Mastandrea (Ginko) e Miriam Leone (Eva Kant) sono chiamati ad un'espressività da fotoromanzo (o da fumetto, appunto), dove i dialoghi sono quelli che starebbero nella nuvoletta sopra la testa di una tavola disegnata e dove la fisicità, o meglio l'action ipertrofica dei comic movie è compressa. L'unico parallelo che mi sovviene, sebbene con esiti opposti, cioè pop e rumorosi, ma con la medesima volontà di riportare fedelmente le strisce fumettistiche sullo schermo, è il Batman televisivo degli anni sessanta, quello con Adam West.

I Manetti, partendo dallo spunto dello storico numero tre dell'albo, ricreano anche luoghi e tempi di fantasia del fumetto (le città di Clerville e di Ghenf, gli anni sessanta di una realtà alternativa), regalando ai fan attempati di Diabolik (non quindi ai bambini che l'hanno scoperto con l'operazione di sdoganamento che fu fatta attraverso i cartoni animati) la realizzazione di un sogno. La pellicola, per sua peculiarità, è chiaramente divisiva. Difficile tracciare giudizi nel mezzo. O piace o respinge. Personalmente, nonostante non sia mai stato un lettore del fumetto (giusto qualche numero rubato alla collezione di zii o cugini più grandi) al film ho assegnato un voto di 4/5, apprezzando il coraggio dei registi, l'originalità della proposta e la prova attoriale del cast, in particolare quella di Miriam Leone, una Eva Kant bellissima, indipendente e risoluta.

Il film non è partito benissimo (d'altro canto Spider-Man: No way home ha spazzato via la concorrenza), ma poi si è ripreso, al punto che, ad un mese dall'uscita, è ancora in programmazione. Non dovrebbe quindi essere messo in discussione il progetto che prevede la realizzazione di altre due pellicole, a formare una trilogia (senza però il protagonista Marinelli).

lunedì 10 gennaio 2022

John Mellencamp, The good samaritan tour 2000 (2021)


Nell'estate del 2000, John Mellencamp assunse un'iniziativa più unica che rara, nello show business del suo livello: senza concordare nulla con le autorità, quindi in assenza di qualsivoglia permesso, e senza annunci ai fans, improvvisò una decina di veri e propri concerti acustici nelle strade, nelle piazze, nei parchi di alcune città americane, sorprendendo e deliziando le decine/centinaia di fortunati passanti che si fermarono a vederlo. Gli show furono ovviamente realizzati in modalità unplugged (due chitarre acustiche più quella dello stesso Mellencamp, un violino e una fisa) ed è lo stesso cantautore, al termine di Smalltown, la traccia uno, a spiegare il senso dell'operazione ("giveback" l'affetto e l'amore ricevuto dai fans). 

L'anno prima (il 1999), John era tornato alle sue radici con un album, Rough harvest, nel quale riprendeva alcuni suoi brani di repertorio ed interpretava una manciata di cover. L'operazione, fatta da altri, sarebbe risultata una mera operazione commerciale magari dovuta alla major per ragioni contrattuali, l'artista dell'Indiana invece, ci regalò un disco tra i migliori di una decade ancora di alto livello (Human wheels, Dance naked, il self titled, Mr happy go luck). Bene, lo spirito roots di Rough harvest permea completamente questi show, che suonano in maniera splendida, appassionata e coinvolgente attraverso una scaletta che per nove dodicesimi è composta da cover. Gli unici tre pezzi del repertorio del "coguaro" sono infatti deputati ad aprire (Smalltown, con un verso modificato in una citazione alla moglie), a chiudere (Pink houses) e a inframezzare (Key West intermezzo) la gig.

Per il resto, sulle ali dell'inconfondibile voce "ruggine e terra" di John, si viaggia tra folk, blues e rock and roll omaggiando Dylan (All along the watchtower e una fantastica versione del traditional In my time of dying), Woody Guthrie (Oklahoma hills), gli Stones (The spider and the fly, Street fighting man), Manfred Mann (Captain Bobby Stout), Jerry Hahn Brotherhood (Early bird cafè) e persino Donovan (Hey Gyp) e Rod Stewart (Cut across shorty). Nonostante l'improvvisazione degli spettacoli e la limitatezza dei mezzi tecnici questo disco dal vivo ha una caratteristica che ormai si è persa nelle megalomani registrazioni di concerti riviste e corrette in fase di post produzione: ti immerge completamento nel momento, sembra davvero di essere lì ad assistere all'esibizione della band. Una vera fortuna che Mellencamp (nella cui discografia manca colpevolmente un disco dal vivo celebrativo dell'intera carriera o del periodo a lui più favorevole, tra gli ottanta e i novanta) abbia deciso di pubblicare questi nastri.

Certo, appare davvero imprevedibile, e non è la prima volta, la personalità di questo personaggio, capace di farsi aspettare quasi trent'anni dai suoi fans italiani per poi concedersi in modo rapido e bizzoso (qui il post sul concerto incriminato) e, al tempo stesso, "regalare" una decina di show meravigliosi ad una manciata di inconsapevoli, fortunati e non paganti spettatori improvvisati.

A giorni (21 gennaio) uscirà il suo nuovo disco (Strictly a one-eyed Jack), con una collaborazione che negli ottanta avrebbe fatto tremare l'industria discografica americana fino alle fondamenta, e che oggi passa invece sostanzialmente inosservata. Delle dodici canzoni che comporranno l'album, tre saranno infatti eseguite assieme a Bruce Springsteen. Staremo a vedere.

P.S. A corredo del Good samaritan tour è stato realizzato un mediometraggio che si può vedere gratuitamente su youtube a questo link

sabato 1 gennaio 2022

MFT, novembre/dicembre 2021

 ASCOLTI

WarlockEarth shaker rock
Banda BassottiAvanzo de cantiere
Bachi da Pietra, Reset
Vasco RossiSiamo qui
Cody JinksMercy
Bridge City SinnerUnholy Sinners
L.A. GunsCheckered past
Gov't MuleHeavy load blues
Nathaniel Rateliff & The Night SweatsThe future
Hayes CarllYou get it all
Il quadro di TrosiS/T
Radical, Every time I die
Massimo PrivieroEssenziale
Miles Davis:
The birth of the cool
A tribute to Jack Johnson
You're under arrest
Tutu
Milestones

John Coltrane:
Ballads
Blue train
Giant steps
A love supreme
Zac Brown BandThe comeback
Jousha Ray WalkerSee you next time
DublinersThe very best of
MastodonHushed and grim
Joe Bonamassa, Time clocks
SIXX A.M, Hits
Massimo PericoloSolo tutto
Blood IncantationHidden history of the human race
EclipseWired
Wayward sonsEven up the score
Mike and the Moonpies, One to grow on
Dion, Stomping gound
Dave Gahan & The Soulsavers, Imposter
Vincente Neil Emerson, ST


VISIONI

Freaks out (5/5)
Una storia senza nome (2,5/5)
Bac nord (3,75/5)
Vicky Cristina Barcellona (2,75/5)
Drive angry (2,5/5)
Ai confini del male (3/5)
Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli (2,5/5)
Good time (3,75/5)
Last night in Soho (4/5)
Codice criminale (2016) (3,75/5)
Mirage (1965) (3,75/5)
Il figlio di Chucky (3/5)
Draft day (2,75/5)
La legge del cartello (The evil that men do, 2015) (3/5)
Il giorno della vendetta (Axed) (2,75/5)
La comunidad (3,5/5)
Red notice (2/5)
E noi come stronzi rimanemmo a guardare (3,5/5)
The most dangerous game (2,75/5)
Copshop - Scontro a fuoco (3/5)
Diabolik (2021) (3,75/5)
Blood (2012) (3/5)
House of Gucci (2,25/5)
Thelma (4/5)
Come un gatto in tangenziale - Ritorno a Coccia di morto (2,5/5)
School of mafia (2/5)
Miles Davis - The birth of the cool (3,5/5)
The last duel (4/5)









Visioni seriali

Squid Game (3,25/5)
Vita da Carlo (3/5)
The office (USA), stagione 1 (3,5/5)
Gomorra, 5 (2/5)


LETTURE

Eric Nisenson, Ascension
Colson Whitehead, Il ritmo di Harlem