lunedì 28 settembre 2020

Hank Von Hell, Dead

 

A meno di due anni dal precedente esordio solista (Egomania), torna Hans Eric Dyvik Husby, l'ex frontman dei Turbonegro che si è scelto il nome d'arte di Hank Von Hell. Il solco stilistico tracciato con quel lavoro, un rock-metal con poche asperità, costanti aperture melodiche, ritornelli a presa rapida, viene confermato in pieno in questo Dead e anzi, in qualche modo la componente ruffiana è forse ancora più calcata del recente passato, elemento questo che mi ha fatto apprezzare in misura inferiore il disco. Dentro le tredici tracce che compongono la tracklist (dieci canzoni e tre "skit") ritroviamo il grande talento pop di questo divertentissimo istrione ma, forse, una voglia eccessiva di avvicinarsi al celebrato suono dei Ghost, dai quali Hank prende in prestito il produttore Tom Dalgety che calca un pò troppo la mano rispetto al mood vincente di Egomania

Dead ad ogni modo si fa ascoltare più che volentieri, sopravvive il coraggio di contaminare generi lontani (la disco-metal, con Disco) e il gas del rubinetto dei ritornelli marpioni è sempre aperto al suo massimo, con la title-track (la mia preferita); Blackned eyes; Crown (ospite Guernica Mancini delle Thundermother) e Forever animal, solo per citare gli episodi più clamorosi.

Insomma un altro disco divertente ma a mio avviso, contrariamente alle opinioni della critica che ho letto in giro, un passo indietro in personalità rispetto ad Egomania.

giovedì 24 settembre 2020

The host (2006)

 


A chi fosse interessato a comprendere il significato più virtuoso di "film di genere", assieme ai noti classici di Carpenter, Romero, Friedkin, Melville o del nostro Di Leo, suggerirei convintamente di vedere The host, terzo lavoro di Bong Joon-ho, uno dei registi più interessanti e poliedrici della sua generazione. Dentro una vicenda che richiama quella di Godzilla, cioè di un mostro creato dall'inquinamento causato da mano umana, Joon-ho inserisce una spietata critica agli effetti nefasti del sistema capitalistico sudcoreano, in relazione agli ampi strati della popolazione che vive per strada, ai bambini abbandonati, alle famiglie povere che ricorrono alla pratica diffusa, del "seo-ri" , vale a dire il furto di generi alimentari necessari alla sopravvivenza. In questo senso c'è una scena molto efficace, con due fratelli, uno adulto e l'altro bambino, che si introducono in un chiosco per rubare del cibo e, di fronte al bimbo che trova del denaro e vorrebbe tenerselo, il fratello gli dice che quello non si fa, quello è rubare, mentre procurarsi il cibo per sopravvivere non lo è. Non mancano critiche feroci agli USA, responsabili dell'inquinamento massivo nel prologo del film, e del trattamento disumano riservato al protagonista (Song Kang-ho, autentico feticcio del regista, presente in quasi tutti i film di Bong Joon-ho, fino a Parasite, dove interpreta il padre/autista) nei laboratori in cui è stato portato.

Per tutti quelli che vogliono invece semplicemente godersi l'intrattenimento di un thriller con mostri, The host (campione assoluto di incassi in Corea del Sud) resta comunque una produzione senza rivali (di sicuro non ne ha nella Hollywood attuale), con una creatura anfibia spaventosa e spettacolare, nonchè un utilizzo della computer grafica realistico e non invasivo, una perfetta creazione della tensione, che flirta in maniera efficace con il tono leggero, e tutti gli aspetti tecnici (regia, fotografia e montaggio) superlativi. La trama, infine, con il suo crescendo ad orologeria ed un finale al tempo stesso amaro e poetico, sono la classica ciliegina sulla torta che suggella, da una parte il momento di grazia e di superiorità di gran parte del cinema orientale, ricco di idee, innovazione, coraggio, su quello del resto del mondo occidentale, e dall'altra il talento trasversale ai generi di un grande regista.

lunedì 21 settembre 2020

Dee Snider, For the love of metal - Live!


Nulla può togliere a Dee Snider la sua immensa statura di entertainer guadagnata sudandosi i palchi di tutto il mondo per quasi mezzo secolo, nemmeno un'ultima fatica discografica un pò meh. Tuttavia bene ha fatto l'ex leader dei Twisted Sister a ricordarcelo con un disco dal vivo (doppio CD più DVD) elaborato dal tour del 2019.

I diciotto pezzi contenuti (nella versione deluxe) sono salomonicamente suddivisi tra il repertorio della Sorella Svitata (per un totale di otto brani, tra i quali gli immancabili I wanna rock e We're not gonna take it, ma anche la sorpresa di The fire still burns, uno dei miei preferiti in assoluto), la nuova carriera di Dee (sette) e tre chicche: Highway to hell degli AC/DC, Ready to fall, proveniente dall'effimero progetto parallelo dei Widowmaker ed infine Prove me wrong, un inedito.

Ad accompagnare Snider una band che risponde ai nuovi criteri stilistici (un modaiolo groove metal) di questa fase della carriera del nostro. Quindi sezione ritmica che picchia duro (batteria a doppia cassa) e chitarra cattiva. Lascio da parte la nostalgia per il sound dei vecchi TS e affermo che se il disco è degno di nota lo si deve alla istrionicità del frontman, che cerca continuamente lo scambio col pubblico, tra provocazioni, esaltazione e divertimento puro, come nell'occasione in cui insegna ai metalheads come si fanno le "metal-horns" , cioè con il pollice chiuso e non aperto e "fanculo a quello che dice Gene Simmons", o ancora quando, presentando il mood della serata, anticipa che saranno suonati pezzi della Sister (boato), e anche pezzi nuovi (un pò di indifferenza), precisando: "non fate che quando suono le canzoni del nuovo album andate a pisciare. Fate come me, andateci sull'assolo di batteria".

Insomma un grande, non solo nelle perfomance e nei pezzi storici (ma qualcuno dei nuovi, dal vivo, gliel'ammolla) ma anche nell'autorionia. 

Preservatecelo così ancora un pò, vorrei avere la possibilità di vederlo dal vivo, sperando si possa ancora farlo, prima o poi.

lunedì 14 settembre 2020

Fine dei giochi per la generazione Compact Disc

Avessi scritto questo post una decina d'anni fa, sarei senza dubbio stato più perentoriamente adolescenziale, indignandomi sul merito della questione come se fosse un tema da cui dipendessero le sorti del mondo intero.
La disillusione di oggi porta con sè la consapevolezza che la società (in tutti i suoi aspetti) sta andando da tutt'altra parte e che non sempre è così figo crogiolarsi nella nicchia di minoranza.
L'argomento è presto detto: sembrerebbe essere giunta ad una data certa la fine della produzione dei supporti fisici per la riproduzione audio, in soldoni i compact disc.
Dopo tanto parlare del sorpasso della musica liquida su quella solida, ecco dunque che ci siamo. Dopo il 2022 (pare) non si produrranno più i dischetti di plastica, un compleanno/funerale a quarant'anni di età dalla nascita di questo supporto, a suo tempo rivoluzionario.
Curiosamente, ma nemmeno tanto, a dare propulsione a questa svolta sarà il commercio non della musica (o dei film), ma dei videogiochi. La PS5, nuova consolle di casa Sony, infatti, verrà commercializzata entro l'anno in due versioni: con o senza disco, questa opzione ovviamente prevederà unicamente la possibilità di scaricare i giochi attraverso il negozio virtuale Sony.
Perchè sostengo che questo evento darà l'abbrivio all'operazione stop-CD? Perchè nei consumatori delle cento milioni di playstation vendute (dato relativo alla PS4) stanno buona parte dei giovani che impongono i trend alle aziende, e che già oggi usano le piattaforme per ascoltare musica o guardare serie (soprattutto) e film.

Sulla mia relazione amorosa con il compact disc mi ero già dilungato in questo post, e oggi lo riscriverei esattamente allo stesso modo, per cui sorvoliamo sulla mia personale liason con un pezzo di plastica col buco in mezzo, anche perchè, nel dibattito tra "liquido" e "fisico", mi sono sentito addirittura rimproverare di essere "borghese", in quanto legato al possesso dell'oggetto, laddove invece lo streaming sarebbe proletario, perchè mette a disposizione tutto a tutti.
Vorrei invece porre l'attenzione su un altro aspetto dell'utilizzo che soprattutto i giovanissimi fanno della musica delle piattaforme in streaming, ed è quella dell'ascolto esclusivo dei singoli brani o delle playlist di un determinato genere, a danno dell'ascolto dell'opera-album, quella sì destinata a restare un'abitudine per dinosauri. 
Non una tendenza inedita, se si pensa che dall'avvento del rock and roll (che per comodità collochiamo con il 1956, anno di uscita del disco di Presley, Elvis 1956, ben sapendo che il germe della nascita del genere è antecedente a quella data) alla metà dei sessanta circa, il formato singolo (il 45 giri) era la modalità più diffusa, attraverso la radio, di approccio alla musica popolare, resta però il fatto che oggi, questa è sicuramente una dinamica più usa e getta rispetto al passato e al successivo approfondimento di un singolo album, nel quale continuavamo a trovare spunti nuovi anche a mesi di distanza dal primo ascolto.

Ma va bene così, non è una guerra di religione. D'altro canto oggi, rispetto al passato, sono tante (troppe?) le distrazioni (videogiochi, serie tv con annesso binge-watching, social, smartphone) a disposizione rispetto alla nostra giovinezza, quando la musica aveva un ruolo irrinunciabile, oserei dire vitale, nella quotidianità. 
E, tutto sommato, probabilmente sempre l'avrà, anche senza supporti fissi.


giovedì 10 settembre 2020

Candidato a sorpresa (2012)

Poster 1 - Candidato a sorpresa

Nel North Carolina, i fratelli Motch (Dan Akroyd e John Lithtgow), poteri forti dell'economia locale, decidono di affidarsi ad un candidato politico diverso da Cam Brady (Will Ferrell), esperto senatore locale del Partito Democratico, ma gaffeur impenitente. A pochi mesi dalle elezioni passano quindi, con indifferenza, ai Repubblicani  rivolgendosi ad un totale outsider, il folkloristico Marty Huggins (Zach Galifianakis), figlio però di un anziano politico ora in pensione (Brian Cox).

Candidato a sorpresa, attraverso la lente deformante del grottesco mostra tutti i clichè più abusati della politica americana e soprattutto delle sue campagne elettorali (il titolo originale, The campaign, è evidentemente più efficace della traduzione nostrana). Cam Brady è la perfetta caricatura del senatore americano: spudoratamente donnaiolo, ipocrita e dedito ad ogni vizio. Nell'incipit del film, al responsabile della sua campagna elettorale che gli chiede cosa significhi continuare a citare nei comizi Dio, l'America e la famiglia, Ferrell risponde che non ne ha idea, ma che quando lo fa, la folla impazzisce. E' dunque subito chiaro il tiro che sceneggiatori e regista, Jay Roach (una carriera anomala, divisa in due: la prima parte orientata alla commedia, spesso demenziale, con titoli come la trilogia di Austin Powers, due film della saga Ti presento i miei, e la più recente dedicata invece ai film drammatici ispirati ad episodi della recente storia americana, come L'ultima parolaLa vera storia di Dalton Trumbo e Bombshell) hanno impresso al film: portare a galla tutte le pantomime della tronfia attività politica a stelle e strisce.

Vengono quindi sputtanate tutte le ipocrisie dei candidati e dei più cinici responsabili di campagna elettorale, in una devastante escalation di inverosimili colpi bassi che, invece di decretare la sconfitta dei candidati, li fanno volare nei sondaggi. Se pensiamo che la pellicola è stata girata ben prima dell'avvento di Trump, è incredibile come abbia anticipato il folle imbarbarimento del dibattito. 
Ma Candidato a sorpresa non si limita a questo, mettendo in discussione con una sola, efficace inquadratura, anche il sistema di voto elettronico da tempo vigente negli States.
Film dunque che appartiene decisamente alla categoria delle commedie intelligenti, tuttavia se vogliamo trovargli un difetto, esso va individuato nello spreco del sontuoso cast, visto che Dan Akroyd, John Lithgow e Brian Cox (C'è anche John Goodman in un brevissimo cameo) sono davvero sotto-utilizzati, risultando quasi in imbarazzo.

Peccato veniale per un film divertente e corrosivo, da vedere.

lunedì 7 settembre 2020

MFT, luglio-agosto

ASCOLTI

Akurion, Come forth to me
Arlo McKinley, Die midwestern
Baroness, Yellow and green
Blues Pills, Holy Moly!
Bob Dylan, Rough and rowdy days
Deep Purple, Whoosh!
Dissection, Storm of the light's bane
Enuff Z'nuff , Strenght
Fontaines D.C., A hero's death
Green Day, Father of  all mothefuckers
Hellbound Glory, Pure scum
Joan As The Police Woman, Cover 2
John Legend, Bigger love
Liberato, ST
Old 97's, Twelfth
Pearl Jam, Gigaton
Poppy, I disagree
Protest The Hero, Palimpsest
Rage, The missing link
Ritmo Tribale, La rivoluzione del giorno prima
Steve Earle and the dukes, Ghosts of West Virginia
Waterboys, Good luck, seeker
Tokyo Motor Fist, Lions
Ulcerate, Stare into death and be still

PLAYLIST MONOGRAFICHE

Manowar 1982/1992
Miles Davis, 1957/1959


VISIONI

First reformed (4,5/5)
Il profeta (3,75/5)
Il sorpasso (5/5)
Infernal affairs (4/5)
Cut Bank (3/5)
Sulle mie labbra (3,5/5)
Paterson (5/5)
I guerrieri della palude silenziosa (4/5)
Jason Bourne (2/5)
Border - Creature di confine (4/5)
Prison escape (The escapist) (3/5)
A better tomorrow (4/5)
Pinocchio (2019) (3/5)
E' per il tuo bene (1/5)
Bombshell - La voce dello scandalo (3,5/5)
Finchè c'è prosecco c'è speranza (3/5)
Default (3,5/5)
Rififì (5/5)
A better tomorrow II (4/5)
1981: indagine a New York (2,5/5)
Fuori controllo (2/5)
L'angelo del crimine (3/5)
La truffa del secolo (3/5)
Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa? (3/5)
Polar (3/5)
The last days of american crime (1/5)
Old Boy (Park Chan-Wook) (4,5/5)
Arkansas (3,25/5)
A Tor Bella Monaca non piove mai (3/5)
L'infernale Quinlan (5/5)
Hammamet (1,5/5, 4/5 a Favino)
Election (Hong Kong, 2005) (3,5/5)
Brutti e cattivi (3/5)
L'albero del vicino (3,25/5)
Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma (3,75/5)
Metti una notte (3/5)
6 Underground (2/5)
Candidato a sorpresa (3,5/5)
Tenet (3/5)
Manhunt (John Woo) (2/5)
L'assassina (4/5)
Ready or not - Finchè morte non ci separi (3/5)
Il gioco di Gerard (3,5/5)
Lolita (4,5/5)
L'amico americano (4/5)

L'amico americano [Der Amerikanische Freund], Wim Wenders, 1977 [filmTv79]  – 8 | RUDI


VISIONI SERIALI

Ozark, st. 1 (3,5/5)
Gangs of London (3,75/5)
Absentia (3,25/5)

LETTURE

James Ellroy, Perfidia

giovedì 3 settembre 2020

Ritorno al cinema, parte 2 (+ Tenet)

Qualche settimana fa avevo raccontato il mio entusiasmo nel poter rivedere un film su grande schermo, grazie all'arena allestita nella mia città.
Il 19 agosto invece le sale hanno riaperto per davvero, e si è tornati a respirare quella che per me resta la grande magia della condivisione collettiva di un'opera cinematografica.
Grande merito del rilancio dei film proiettati dove gli compete è di Christopher Nolan, che ha tenacemente rifiutato, a differenza di altri (che certo,  avevano meno potere contrattuale), di diffondere la sua ultima opera, Tenet, attraverso lo streaming. Si è invece limitato a ritardarne di qualche settimana l'uscita, scommettendo sugli spettatori paganti. Azzardo vincente (anche grazie alla pressochè totale assenza di concorrenza di altri titoli nuovi, va detto), se nei primi giorni di programmazione il film ha incassato, solo in Italia, più di due milioni di euro. 

Detto del valore salvifico per l'intero "sistema cinema" di Tenet, dovrei fare due parole anche su quello artistico, e qui la faccenda si complica. Diciamo che aiuterebbe una seconda visione per assimilare il gran lavoro degli effetti speciali e delle folli scene d'azione, con i personaggi e le esplosioni che agiscono simultaneamente sullo schermo, ma andando qualcuno in avanti e qualcuno indietro, per effetto di una complicatissima teoria sull'entropia del tempo, alla base dello spunto della storia.
L'impressione è tuttavia che questa spy story non sia l'opera migliore di Nolan e che il gran lavoro di spiegazione dietro i viaggi nel tempo non equivalga ad un analogo impegno sulle psicologie dei personaggi, tagliate con l'accetta, e sui dialoghi, abbastanza scontati.
Molto buone le interpretazioni di Kenneth Branagh (il villain) e Robert Pattinson (co-protagonista), mentre è fin troppo schematica quella del lanciatissimo John David Washington (figlio di Denzel) novello James Bond nero, reduce dall'invece convincente prova di Blakkklansman.
Di certo si tratta di un film da vedere per apprezzarne regia, montaggio e spettacolarità oltre che per farsi un'idea propria, al netto che, con budget enormemente inferiori a Tenet (costato oltre duecento milioni di dollari), sul tema paradossi temporali, sono stati girati negli ultimi anni dei gioiellini totalmente ignorati, che mi tolgo lo sfizio di segnalare, così, tanto per fare lo snob: Regression (USA, 2015, di Alejandro Amenàbar) e Timecrisis (Spagna, 2007, di Nacho Vigalondo).

Buona visione in sala.


Tenet: ecco il poster italiano del film in uscita il 26 agosto