venerdì 31 agosto 2012

Happy birthday Compact Disc


Ricorre in queste settimane il trentesimo anno di vita del compact disc (il primo dischetto degli Abba fu stampato il 17 agosto 1982) e mi sembra che il compleanno sia stato di quelli mesti, presi come sono stati tutti quanti a ricordare al festeggiato quanto sia poco chic, obsoleto ed esteticamente sgradevole a differenza dei suoi antenati vinili e perfino delle musicassette. 

Visto che, per ragioni meramente anagrafiche, ho cominciato a poter acquistare dischi autonomamente proprio in corrispondenza del boom del cd (fine ottanta inizi novanta), mi sento di dover cantare fuori dal coro, provando ad andare controcorrente su molte affermazioni che sento in giro da media e conoscenti che la sanno lunga.
Uno dei tormentoni più insistenti è quello che i vinili suonano meglio dei cd. Beh, non è vero. Non del tutto almeno. Vero è che alcuni LP suonano meglio dei Compact Disc. Sarebbe interessante quantificarne la percentuale. In compenso, se parliamo di qualità del suono su apparecchi di riproduzione (hi-fi) comuni (i più diffusi) e non d'eccellenza (appannaggio di pochi) la suddetta buona resa sonora era comunque vincolata dal timing degli album. Fino alla fatidica soglia dei quaranta-quarantacinque minuti era probabile che il disco suonasse bene. Oltre, scivolando in quella zona d’ombra per la quale di norma non si procedeva a stampare un doppio (cinquanta-sessanta minuti), il suono era una vera schifezza. Per limitarmi ad un solo esempio, chi, come me, ha acquistato nel 1986 la prima versione di Master of Puppets dei Metallica (lenght cinquantacinque minuti) può avere un’idea di cosa parlo.
E ancora. Il vinile si deteriorava neh. Sembra che sta cosa non la ricordi nessuno. Se mettessi su oggi la mia copia di Darrkness on the edge of town quello che uscirebbe dallo stereo sarebbero più fruscii che schitarrate. Per i poveri mortali che avevano uno impianto hi-fi modesto inoltre, c’era anche il problema della puntina che a volte saltava sui solchi, quanto incide ciò con il piacere dell’ascolto?
Poi certo, c’è il culto per tutto quello che è il nostro passato e per l’oggettiva bellezza delle copertine degli album a 33 giri. Lì non ci sono cazzi, anche un disco anonimo o kistch aveva un fascino particolare. Io stesso, quando capita e senza svenarmi, continuo a comprare vinili (ultimo acquisto Yellow moon dei Neville Brothers, un paio di settimane fa), però ho l’impressione che questo aspetto sia diventato più un affare da inguaribili nostalgici e collezionisti snob e patologici, più che tema vero, tant'è che ultimamente nella frenesia del revival sono tornate di moda anche le musicassette, che rivestono senza dubbio un valore emotivo incommensurabile (le prime compilation, i walkman, le autoradio...) ma che in quanto ad estetica e purezza del suono non sono nemmeno lontanamente comparabili col compact disc. 


Nessuno dice di quanto l’avvento del cd abbia invece esaltato allora gli appassionati di musica. I primi fortunati che se lo poterono permettere ne raccontavano meraviglie, via via ingigantite fino a divenire leggende metropolitane. In molti (hey, that’s me!) ricomprarono l’intera discografia dei loro beniamini sul nuovo formato digitale mentre le major incentivavano l’acquisto dei cd inserendo nelle nuove releases delle bonus track rispetto alle versioni degli album in LP e MC. Il cd, data la sua longevità e resistenza, è stato anche, in anticipo sull’era del p2p, il primo supporto che alcuni negozi presero ad affittare, dando agli assetati di musica la possibilità di farsi una copia su cassetta dei dischi che incuriosivano ma che non stavano nel ridotto budget degli acquisti. 

E che dire degli mp3, i supporti preferiti delle nuove generazioni? Da una parte il cd viene superato dalla maggiore classe e avvenenza dei vinili, dall'altro dalla modernità e dalla possibilità di accumulo infinito del file mp3. 
In conclusione sembrerebbe non ci sia futuro nell'ascolto musicale per il compact disc. 
Occhio però, si diceva lo stesso dei long playing. 

mercoledì 29 agosto 2012

MFT, settembre 2012

MUSICA

Gaslight Anthem, Handwritten. Ry Cooder Election Special. Club Dogo, Noi siamo il club. Joe Buck Yourself, Piss and vinegar. Down, Over the under. AA/VV, Tribute to Jimmy Martin. Kenneth Brian Band, Welcome to Alabama. Miles Davis, In a silent way.

LETTURE

Jim Thompson, Bad boy

SERIAL

Fringe, stagione due




lunedì 27 agosto 2012

Gossip, A joyful noise


Columbia, 2012

Sono davvero strane le vie dei media che gravitano attorno al mondo musicale. All'epoca dell'uscita di Music for men (2009)era stato creato un hype mica da ridere dietro ai Gossip e sopratutto alla singer, Beth Ditto, acclamata oltre che per le doti canore anche come liberatrice del corpo femminile dai rigidi requisiti di bellezza reclamati dalla società moderna. Oggi, a tre anni da allora, A joyful noise,il nuovo disco dei Gossip è uscito invece in pressochè assoluta sordina, quasi che la stampa sia già passata ad altro.

Quali che siano le motivazioni per cui i media abbiano voltato le spalle alla band di Washington, per una volta posso dire che la scelta non è così criticabile. I Gossip arrivano infatti al quinto album con le pile un pò scariche, sembra che tutta la rabbia (anche) punk degli esordi (fino a Standing in the way of control), ma anche i compromessi con il pop che avevano prodotto il più accessibile, ma ancora onesto Music for men (nei top five dell'anno, per bottle of smoke) siano roba vecchia. Quello che abbiamo tra le mani oggi è un'opera che brucia gli ultimi ponti col passato con l'opener Melody emergency e la successiva Perfect world per poi compromettersi con uno stanco synthpop, se non addirittura con Madonna (Get a job; Into the wild) o con la dance (Move in the right direction; Get lost) attraverso una raccolta di brani qua e là anche interessanti, ma alla lunga piuttosto anonimi e smarmellati. 

Azzardo. Ultimo disco del gruppo?

6/10


sabato 25 agosto 2012

Album o' the week / Duke Ellington & John Coltrane (1963)


Sono tornato di recente a mettere mano alla mia (limitata) collezione di album jazz. Non sono un esperto del genere, ma ho cercato di mettere insieme una collezione essenziale dei dischi più importanti, gli artisti più significativi e gli stili più rilevanti. Non volendo umiliare un masterpiece storico in questa rubrichetta insulsa, ci metto un disco che di norma non rientra nei top di sempre, ma che, dati gli interpreti, trasuda fascino da ogni microsolco. Duke Ellington che collabora con John Coltrane, mettendosi alla prova con un sestetto invece che con una grande orchestra. I pezzi sono in buona parte del repertonio del Duca, fatta eccezione per Big Nick, la cui paternità è di Trane. Tra l'altro l'album, data la sua brevità (trentacinque minuti), la sua grande atmosfera e la sua accessibilità può essere tranquillamente apprezzato anche da chi si affaccia con cautela alla musica jazz.

venerdì 24 agosto 2012

Batman begins



In occasione dell’imminente uscita del terzo ed ultimo episodio della saga di Batman targata Christopher Nolan mi sono deciso a recuperare i due film precedenti, andando così a colmare una lacuna che per me, incallito fan dei super-dudes,  era un'anomalia, per poi chiudere trionfalmente la trilogia con la visione in sala de Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno.

Premessa importante: nell’eterna disputa tra i fumetti Marvel e DC, ho sempre considerato i primi prevalere nettamente sui secondi. E’ fuori discussione però la straordinaria rilevanza che ha rivestito nei fumetti (grazie alle opere di Frank Miller,da solo e con David Mazzucchelli, e Bill Sienkewicz) nella televisione, nel cinema, insomma nella cultura pop in generale, l'uomo pipistrello creato nel 1939 da Bob Kane e Jerry Robinson.

I due film realizzati da Tim Burton nel 1989 e nel 1992 restano capostipiti insuperati del genere, e costituiscono un’ eredità da far tremare i polsi a chiunque non provenga da Marte. Nolan cerca di aggirare l’ostacolo della pesante eredità realizzando un film più moderno, un romanzo di formazione su Bruce Wayne e un documentario su Gotham city (la New York dell'universo DC Comics), prendendosi in questo il tempo che serve, anche a costo di sacrificare la compresenza di un villain noto che avrebbe alimentato l'interesse degli spettatori ma che avrebbe inevitabilmente eroso spazio all’introspezione e all’origine del cavaliere oscuro. Un criminale mascherato comunque c'è (Spaventapasseri),e seppur di minore importanza è comunque consono al clima di oscura decadenza di Gotham City.

Nolan se la cava bene anche rispetto alla consuetudine generale dei film d’esordio sui super-eroi, alle prese con mille spiegazioni ed inesorabilmente lenti e verbosi, distribuendo con sagacia (e ricorso ai flashback)  scene d’azione e dialoghi, pescando a piene mani dalle tavole di Mazzucchelli nel mostrare il controverso legame tra Bruce Wayne e i pipistrelli che sfocia nell'inconfondibile iconografia del volatile notturno. Magari strizza l’occhio anche ai film di 007 quando il miliardario eroe sceglie gli armamentari di cui dotarsi per la sua lotta al crimine, ma in questi casi è d’uopo parlare di tributo e non di plagio.

Un altro elemento che mi pare di aver colto è un utilizzo all’antica degli effetti speciali, e quindi un uso limitato dell’ormai onnipresente green screen, con una predilizoione per i combattimenti da strada rispetto a quelli in caduta dai grattacieli (ricordate lo Spiderman di Raimi?). Certo che per traghettare la sua nave verso l'ambito porto del successo, Nolan ha potuto contare su di un cast suntuoso: Christian Bale/Bruce Wayne/Batman,  Michael Caine nei panni di un Alfred mai così informale  e intraprendente; Gary Oldman nella parte del detective Gordon; Morgan Freeman in quella di un dirigente della Wayne’s Industries; Liam Neeson anello di congiunzione tra l’inizio e la fine della storia e persino Rutger Hauer anche se in un cameo piuttosto anonimo.

Premettendo che la mia speranza è che qualcuno trovi il coraggio, un giorno, di realizzare la trasposizione cinematografica di The Dark Knights Returns di Frank Miller, ho trovato Batman Begins un reboot riuscito.

mercoledì 22 agosto 2012

Don Winslow, L'inverno di Frank Machine



Da appassionato del genere letterario noir/poliziesco, riponevo molte aspettative in Don Winslow, considerato uno dei maestri del genere, e nel suo acclamato romanzo L’inverno di Frank Machine, incentrato sulle vicende di un sessantenne killer della mafia ritiratosi a vita onesta che si ritrova improvvisamente a scandagliare il proprio passato alla ricerca del motivo per il quale la mafia lo vuole morto dopo tanti anni di “pensionamento”.

Nonostante le premesse però, il feeling tra me e l’opera non si è mai acceso. All’inizio ho trovato il romanzo addirittura irritante, a causa del modo in cui Winslow tratteggia Frank Machianno (detto The Machine), il protagonista, delineato come uomo di gusto, di bella presenza, esperto di cucina, atletico, che a sessantadue anni pratica il surf e frequenta una cinquantenne “con il corpo di una trentacinquenne", bravo con i lavori manuali, premuroso verso la sua ex-moglie, appassionato di opera, benvoluto da tutti, gran lavoratore e ovviamente amante sopraffino. A me, che ho sempre prediletto i characters ambigui, sfaccettati, imperfetti e contraddittori (in una parola: reali), la scelta dell’autore di mettere il suo protagonista su di un altare inarrivabile ha provocato una crisi di rigetto che quasi mi fa mollare la lettura. Insisto, quello della caratterizzazione dei personaggi è un po’ il punto debole del romanzo. Sono tutti un po’ prevedibili in fin dei conti. I mafiosi grezzi e ignoranti, i politici lascivi e corrotti, il ruolo delle donne marginale e banalizzato ad un’insipida icona di femminilità da soft porno. Peccato perché nel complesso il ritmo non manca e l'idea di base della storia è interessante.

Volendo tirare le somme possiamo parlare di un’opera priva di realismo e a tratti troppo conciliante con i luoghi comuni del genere, che sembra costruita apposta per essere adottata dal cinema (si mormora da tempo di una trasposizione con De Niro diretta da Michael Mann), che grazie alla buona scrittura e alla scorrevolezza si legge senza sforzo, ma che mi ha lasciato pochino.


lunedì 20 agosto 2012

Jack White, Blunderbuss


Columbia (2012)


Arrivo a scrivere del debutto (!) solista di Jack White molto in ritardo, nonostante i primi ascolti risalgano all'immediata pubblicazione del lavoro. La ragione è presto detta, l'album non mi piaceva e dunque, come d'abitudine, ho concentrato la mia attenzione su altro. Non mi piaceva perchè lo trovavo molto dispersivo, quasi che il suo autore volesse metterci dentro almeno un pezzettino di ogni sua esperienza precedente, senza però riuscire a concentrarsi a fondo su un aspetto in particolare. Era un pò il concetto espresso da Filo nella sua recensione, lui però dava di questo elemento una valenza positiva, mentre io no. Mi ritrovavo molto di più in sintonia, per dire, con le perplessità espresse da Ale.

Ma gli album di musica rock sono animali strani e, come mi sono trovato a ripetere più volte, spesso hanno bisogno del momento giusto, della giusta predisposizione, per essere apprezzati. E' così Blunderbuss, con il suo galleggiare tra i generi della musica popolare americana (country, folk, hard-rock) in salsa seventies spesso incorniciati da un uso del pianoforte di matrice classica, col tempo cresce e diventa non il disco importante che mi aspettavo a questo punto della carriera di Jack White, ma quantomeno un lavoro interessante che vede nella titletrack, in Love interruption, in Missing pieces e Hypocritical kiss i suoi momenti migliori laddove Sixteen saltines e Freedom at 21 sarebbero anche tracce divertenti non fossero così derivative dei White Stripes. Curiosamente in Weep themselves to sleep il cantato di Jack risorda quello di Eminem. Copertina alquanto brutta.

6,5

sabato 18 agosto 2012

Che barba (3)

Questo agosto barbudos è giunto al termine. Ho resistito barricato dietro alla mia barba quasi un mese, è giunto il momento di deporre le armi. Anzi di prendere schiuma e lamette...


giovedì 16 agosto 2012

Nick Waterhouse, Time's all gone



Venticinque anni, americano della South California, faccia alla Buddy Holly  ed uno sconfinato amore per l'errebì e il soul dei sessanta, Nick Waterhouse farà sicuramente breccia nei cuori negli appassionati della musica vintage, che saranno solo portati a chiedersi quanto nella sua operazione di recupero sia sincero piuttosto che frutto di una calcolata strategia revivalistica.

Sì perchè gli undici brani che compongono Time's all gone, debutto di Nick, fanno l'effetto di una macchina del tempo ferma a cinquant'anni fa e alle incisioni di Ray Charles, Carla Thomas, Sam Cooke, The Animals, The Miracles e compagnia bella.I pezzi sono tutti originali, ma le registrazioni, effettuate in rigoroso analogico con tanto di imperfezioni e fruscii, sembrano davvero provenire da un polveroso vinile di un'altra epoca.

La musica invece, beh è una festa per gli adepti di questo genere. Fiati, coretti, dita schioccate, tanta attitudine vintage a partire dalla title track Say i wanna know. Convincono anche Don't you forget, I can only give you everything, Indian love call e la title track, posta in coda al lavoro e divisa in due parti, che divaga con improvvisazioni jazzistiche.

Disco molto breve che fa leva sull'effetto nostalgia raggiungendo l'obiettivo. Staremo a vedere come se la caverà il giovanotto una volta sfumate sorpresa e simpatia del debutto.

7/10





mercoledì 15 agosto 2012

X-Men - L'inizio


Il quarto titolo delle avventure degli X -men è un prequel ed è probabilmente, nonostante il buon livello della trilogia che l'ha preceduto, anche il più convincente fin qui prodotto. La storia, collocata agli inizi dei sessanta durante la crisi dei missili tra Stati Uniti e Cuba, pone le basi per l'intera saga, attraverso eventi e scelte di campo di alcuni personaggi cardine come Xavier, Magneto e Mystica.
Gli X-Men sono stati effettivamente creati quel periodo (come tutti i comics più leggendari di Stan Lee, del resto), ma, mentre nell' albo numero uno del 1963 il Professor X è già un uomo maturo sulla sedia a rotelle, qui la produzione ce lo mostra giovane, capelluto (su questo dettaglio ci saranno un paio di battute gustose), senza handicap fisici e al servizio di una CIA divisa tra lo sfruttamento delle doti dei mutanti e l’istinto di catturarli a scopo preventivo.

L’ossatura del plot è costituita dall’amicizia dell’imberbe Xavier con un altrettanto giovane Eric Lehnsherr (Magneto), che imparerà ad estendere l’utilizzo dei propri poteri proprio grazie agli insegnamenti di Xavier. Eric è alla ricerca dei nazisti che fecero esperimenti su di lui e che sterminarono la sua famiglia. All’apice della piramide di questi criminali c’è un altro mutante, il potentissimo Sebastian Shaw, che, attraverso corruzione e/o violenza, tenta di scatenare una guerra totale tra USA e URSS.
La storia è ben costruita e bilancia adeguatamente dramma e avventura, comicità (divertentissimo in questo senso il fulmineo cameo di Woverine/Hugh Jackman) e ritmo, dialoghi ed azione. Cast interessante (James McAvoy/Xavier; Jennifer Lawrence/Mystica; Nicholas Hoult/Bestia) anche se con la presenza di uno come Michael Fassbender per gli altri non c’è proprio partita, la sua interpretazione di Magneto, il personaggio più tormentato, sfaccettato ed affascinante del lotto, è magistrale. Da rimarcare anche la prova di Kevin Bacon che nei disinvolti panni di Shaw ci regala un villain davvero superbo.

Non c'è che dire, gli studios c'hanno proprio preso la mano coi super-eroi.


lunedì 13 agosto 2012

Jimmy Cliff, Rebirth


UME (2012)

Assecondando un trend che di recente si sta affermando, si pensi a Dan Auerbach (The Black Keys) con Dr John e Damon Albarn (Blur, Gorillaz) con Bobby Womack, c'è Tim Amstrong dei Rancid dietro il progetto che ha riportato in studio l'icona Jimmy Cliff.
Artista che viene considerato l'ultimo grande del reggae, ma che ha lasciato la sua impronta anche su generi come il soul (si pensi anche solamente alla splendida Many rivers to cross) e blaxpotation (il soundtrack di The harder they come è un riferimento primario di quel movimento), Jimmy (classe 1948) mancava dal mercato discografico da ben otto anni.

Vista la matrice della produzione (i Rancid sono un gruppo punk che si ispira chiaramente ai Clash e che dunque flirta in maniera consistente con i ritmi della Jamaica) a dominare sono il reggae con qualche spruzzata di ragamuffin e ska. Se il genere non provoca allergia (io a piccole dosi lo apprezzo), il disco risulta sicuramente piacevole, considerato anche che i testi sono, come si usava dire una volta, socialmente impegnati. Da segnalare il singolo One more,e poi World upside down, Children's bread, Ship is sailing. L'anima soul di Cliff viene emerge unicamente per Outsider, brano in stile Sam Cooke. Immancabile direi il tributo ai Clash con Guns of Brixton e alla band di Amstrong con Ruby Soho.

Un gradito ritorno.

7/10

sabato 11 agosto 2012

Squittino

Vi presento Squittino. 

E' un'arvicola campestre (in pratica un topolino di campagna) che abbiamo trovato un pò malandato qualche settimana fa in montagna. Figurarsi se potevamo lasciarlo lì, avendo in famiglia un bambino di otto anni che in un nanosecondo gli aveva già appioppato un nome. Così ce lo siamo portati a casa, l'abbiamo rifocillato, coccolato (e viziato, visto i grammi che ha messo su in questi pochi giorni) e tentanto di "addomesticarlo". 
Abbiamo dovuto però prendere atto che la sua indole non è quella di stare tra quattro pareti di plastica di una gabbia e perciò, con sommo dispiacere e dopo aver sentito un veterinario per essere certi di non fare danni, abbiamo deciso di liberarlo laddove l'abbiamo trovato.
Perciò Squittino, questo è per te che presto ritroverai la libertà, valore evidentemente prioritario rispetto alla montagna di noci, lamponi, mirtilli, cereali e frutta che hai accumulato in un mese nella tua casetta di plastica rossa.
Ciao neh.


venerdì 10 agosto 2012

Che barba (2)

Come avevo scritto sull'altro blog, da un pò di tempo a questa parte sto subendo il fascino delle barbe folte. Così, con la scusa di qualche giorno a casa nel quale sono stato troppo impegnato a spuntare la lista delle "cose da fare" in ambito domestico/familiare me la sono lasciata crescere come mai in precedenza (ad occhio e croce sono alla soglia delle tre settimane). La immortalo perchè qui cominciano a lamentarsene e non so quanto riuscirò ancora a resistere.


mercoledì 8 agosto 2012

80 minuti di Nine Inch Nails



   I Nine Inch Nails (vabbeh, Trent Reznor) sono proprio una di quelle band da album più che da best of. Ogni disco ha le sue allucinate sfumature e i suoi demoni, terrificanti e molesti. Però, volendosi avvicinare all'arte di Trentuccio nostro, si può lo stesso tentare di compilare un'ora e venti di musica con i pezzi più accessibili, scelti tra i sette album fin qui prodotti e magari andare a sfrucugliare anche qualche colonna sonora (Lost highway e Natural born killers) ed EP (Broken).
  Quello che segue è il risultato. Non me la menate che manca questa o quella canzone. Io adoro Heresy ma l'ho lasciata fuori per coerenza con il criterio di scelta. E se va bene a me...




1)      Head like a hole

2)      March of the pigs
3)      Happiness in slavery
4)      Burn
5)      The perfect drug
6)      The hands that feed
7)      Survivalism
8)      Closer
9)      The day the world went away
10)  Only
11)  Wish
12)  We’re in this together
13)  Down in it
14)  Starfuckers, inc
    15) Hurt




martedì 7 agosto 2012

Compiti a casa

Questo è l'attrezzo che sto usando da qualche giorno per cercare di porre un argine all'inarrestabile declino della mia condizione fisica (ne avevo cianciato qui).

Me l'ha suggerito un'amica sostenendo che su suo marito ha funzionato in fretta. E visto che costa relativamente poco e richiede solo una decina di minuti al giorno mi sono detto, perchè no? Sostanzialmente si tratta di fare i classici esercizi per gli addominali con in più la difficoltà di trovare un equilibrio su questa specie di margheritone, con il risultato di produrre ulteriore sollecitazione ai muscoli dell'addome. L'ho abbinato ad un pò di footing e vi saprò dire se la cosa darà un qualche risultato o se, superato l'entusiasmo per la novità, sarà umilmente accantonata.

lunedì 6 agosto 2012

New wave of american country music, 7


Purtroppo o per fortuna per certi aspetti l'America continua ad essere lontana e il country un genere completamente ignorato dai media italiani. In caso contrario la storia di Ray Lawrence jr avrebbe saturato le varie vite in diretta che impestano i pomeriggi della televisione italiana.
Già, perchè quella di Ray è una vicenda tutta da raccontare. Uomo comune con famiglia, casa e lavoro e solo occasionale musicista, dopo il fallimento del suo matrimonio e la perdita di una fonte di reddito finisce dentro quelle spirali che la società USA conosce piuttosto bene, e che portano lo sventurato di turno a perdere tutto e a diventare un emarginato. E' così che in un attimo Lawrence jr esce dagli ingranaggi produttivi della civiltà a stelle e strisce si diventa uno dei tanti homeless che fanno da cornice alle città degli states. Nello specifico, la città è Tempe in Arizona ed è lì che Ray continua a suonare ed a comporre,all'interno di una casa rifugio per senza tetto, fino all'incontro con Hank Williams III che rimane conquistato dalla sua musica al punto da registrargli due pezzi (l'incisione avviene sul tourbus di Shelton nel 2009) ed includerli in una sincera e disinteressata operazione promozionale, nel suo ultimo album country, Ghost to a ghost, uscito a settembre 2011 (nella mia recensione, senza conoscere i dettagli della collaborazione avevo incensato i due pezzi di Lawrence, When you lose all you had e Back in the day), pur essendo lo stile piuttosto distante da quello attuale di Shelton.

Poco dopo l'ospitata, Ray, oggi quarantottenne, è riuscito a strappare un contratto discografico ed a incidere (a quanto pare in tutta fretta) questo cd in totale presa diretta, solo con l'ausilio di chitarra e voce. Lo stile è un country folk abbastanza canonico, le melodie a tratti ricordano Willie Nelson ma in altri momenti anche Bob Dylan. Il disco è veramente raw, nel senso che sa tanto di incisione alla buona la prima, ma compensa qualche passaggio eccessivamente grezzo con tanta tanta passione, genuinità e onestà artistica. A partire dalla open track Check's in the mail per passare a She stopped lovin' me; Just kick my ass to Texas; You can hide your body but you can't hide your beauty e Stay with me tonight, i brani sono intimi e pregni di vita vissuta, attraverso una forma di scrittura che fa emergere qualche volta il songwriting di Townes Van Zandt.

In effetti è un pò un abusivo di questa rubrichetta, Ray Lawrence jr, non essendo nè lui giovane, nè la sua musica innovativa. Mi piaceva però celebrare il suo ritorno alla vita, grazie ad una second chance che non tutti hanno, attraverso una menzione con tutti gli onori.
Good luck Ray.



sabato 4 agosto 2012

Album o' the week / Specials, omonimo (1979)




Questo è per gli amici che sono partiti per le vacanze o stanno per farlo.
E un pò è anche per me, che resterò in città.
Perchè gli Specials suonavano assolate melodie ska-reggae pur appartenendo perlopiù alla grigia periferia inglese.
Ecco perchè la loro musica funziona bene come colonna sonora della spiaggia che si svuota al tramonto, così come nel traffico cittadino del rientro a casa.
A ognuno il suo agosto, a tutti gli Specials.


giovedì 2 agosto 2012

Meet me tonight in Atlantic City

Ogni volta che scrivo la recensione di un serial vengo colto dallo stesso dubbio. Entrare o non entrare nei dettagli della storia? In teoria andrebbe fatto, nella pratica si rischia di  rovinare la sorpresa al potenziale curioso. E questo porta alla questione cruciale: la review la scrivo per chi ha già visto il telefilm e vuole confrontarsi negli altrui pareri o per chi si vuole fare un idea di massima del titolo senza averlo visto? Di norma risolvo l'amletico dubbio  barcamenandomi democristianamente tra sottintesi, insinuazioni e strizzatine d'occhio a chi già sa e cercando di creare un ponte con gli altri. Ci provo anche a sto giro.

Empire Boardwalk è un affresco grandioso di un'epopea drammatica e affascinante, il primo dopoguerra americano. Più in particolare il periodo del proibizionismo ad Atlantic City, città considerata allora del divertimento e del peccato. La prima stagione era stata eccezionale ed aveva presentato le complesse personalità dei suoi protagonsti, il tesoriere/deus ex machina della città Nucky Thompson (Steve Buscemi), la moglie Margaret Shroeder (Kelly MacDonald), il fratello sceriffo Eli Thompson (Shea Whighan), il reduce Jimmy Darmody (Michael Pitt) e l'agente federale Nelson Van Alden (Michael Shannon).

La seconda ruota attorno alla congiura che mira a rovesciare il trono di Nucky, con le strategie ordite dal suo vecchio mentore, il commodoro Kaestner, Eli Thompson, Darmody (figlio del commodoro ma cresciuto Nucky stesso) e un manipolo di potenti lobbisti che si schierano per il "nuovo ordine" ad Atlantic City. Gli eventi porteranno ad una spirale di violenza sempre più profonda, e delineeranno la terribile personalità manipolatrice di Gillian Darmody (Gretchen Mol) madre di Jimmy.

Nonostante la stagione sia molto buona e di certo più dinamica della prima, ho registrato un leggero calo rispetto alla tenuta complessiva della storia rispetto alla stagione d'esordio. Alcuni passaggi a mio avviso potevano essere ridotti nella durata (l'angosciante gravidanza dell'amante di Van Alden o l'escursione nel bosco del reduce sfregiato Richard, ad esempio) mentre alcuni personaggi sono sviluppatti in maniera poco convincente (è proprio il caso di Van Alden/Shannon , straordinario nella sua doppia personalità durante la prima stagione e qui un pò frustrato, ma anche di un'azione che Buscemi/Anouki compie nel finale che mi è parsa davvero incoerente con il suo carachter), ma è chiaro che stiamo parlando del classico pelo nell'uovo, perchè Boardwalk Empire si conferma comunque produzione di livello superiore, anche grazie alle new entry del tuttofare (in ogni senso!) irlandese Owen Slater (interpretato da Charlie Cox) e della nuova procuratrice  Esther Randolph (Julianne Nicholson).

E di livello superiore è l'interpretazione di Michael Pitt. Ho riguardato di recente uno dei primi episodi della prima stagione ed ho avuto la conferma che il suo personaggio ha subìto, grazie alla bravura di Pitt, una trasformazione (fisica, posturale, di autostima) straordinaria. Jimmy Darmody è una figura in conflitto lacerante con se stesso, i suoi ideali ("sono morto in una trincea di guerra", afferma verso il finale) ed i suoi affetti (la moglie, il commodoro, Nouki, la madre). Questi scontri interiori gravano come massi pesanti sulle sue spalle, inducendo a pensare che siano loro, e non la ferita di guerra, a farlo zoppicare. Opportuno in questo senso il flashback che ci viene mostrato in una delle ultime puntate, una sorte di origine del Jimmy Darmody adulto.

Visti gli accadimenti conclusivi, mi sarebbe piaciuto che Boardwalk Empire fosse terminato qui, una magnifica opera unica divisa in due parti (un pò come Romanzo Criminale, paragone che qualcuno troverà irriverente), che si evitasse cioè  il proliferare di un numero indefinito di stagioni ed episodi, vincolati nella durata dal responso del pubblico.
Vi dico subito che questo mio desiderio non sarà esaudito, perchè nel buisiness televisivo, come in quello dell'alcol di contrabbando, i gusti della gente sono sovrani e dunque a settembre partirà la terza, nuova stagione.