mercoledì 25 febbraio 2015

Blind Guardian, Beyond the red mirror


Il power è uno dei pochi sotto generi del metal che non mi ha mai appassionato. I tentativi di avvicinamento operati in passato si sono sempre conclusi per abbandono causa insostenibile noia. Poi, sapete come vanno queste cose: il tempo passa, i pregiudizi si attenuano, leggi qualche articolo che ti intriga su metallus.it e arriva un giorno in cui da MediaWorld compri l'ultimo disco dei Blind Guardian.
E peraltro il primo il primo impatto della prova d'ascolto ti si rivela anche positivo, merito della complessità degli arrangiamenti di un concept che, dal punto di vista delle liriche, prosegue la narrazione delle gesta del protagonista di Imaginations from the other side, album licenziato dal combo tedesco nel 1995.
L'utilizzo di un coro di duecento elementi (messo insieme attraverso l'unione di tre distinti cori, Praga, Budapest e Boston) nell'avvolgente opening The ninth wave è infatti suggestivo e d'impatto, così come la presenza di un'orchestra (di Budapest) di novanta elementi indubbiamente conferisce all'opera una accattivante allure sinfonica, mentre gli arrangiamenti e l'uso delle voci spostano frequentemente l'indicatore dello stile verso il progressive e, a mio avviso, anche verso una certo retrogusto da musical.
Detto dunque che il disco è tutt'altro che banale e improvvisato, resta da capire quanto la complessità del lavoro avvicini o allontani l'ascoltatore medio, al quale sono richieste dedizione e impegno per familiarizzare con le tracce (tra le quali emerge per accessibilità Twilight of the gods, non a caso primo singolo estratto).
Il mio giudizio conclusivo di Beyond the red mirror è dunque una mediazione tra il discreto entusiasmo iniziale  e la successiva scarsa tenuta sul breve/medio periodo.
Insomma, bene l'esperienza in un campo da gioco avverso, ma per un po' anche basta.

lunedì 23 febbraio 2015

Hayseed Dixie, Hair down to my grass


Dal 2001, con quattordici album in quattordici anni, gli Hayseed Dixie portano avanti il proprio piano di conquista del mondo attraverso un tamarrissimo contagio tra rock e country blugrass. Nel corso degli anni hanno coverizzato il vasto universo hard and heavy, dedicando interi album monografici ad AC/DC e Kiss e occupandosi negli altri lavori delle canzoni di Led Zeppelin, Metallica, Who, Aerosmith, Black Sabbath, Queen, ma anche Franz Ferdinand, Prodigy e....Mozart, accontentandosi di infilare ogni tanto una composizione originale. Hair down to my grass prosegue fedelmente nel solco fin qui tracciato, concentrandosi, con qualche eccezione come Comfortabily numb dei Pink Floyd, su una manciata di canzoni riconducibili al cosiddetto hair metal degli ottanta. Risultato come sempre divertente per i fan del genere, ma dall'efficacia altalenante a seconda della validità dei singoli arrangiamenti. Molto buone a mio avviso Don't stop belivin dei Journey, Eye of the tiger dei Survivor (al cui interno è richiamata Ghost rider in the sky), Summer of 69 di Bryan Adams (probabilmente la migliore del lotto), We are the road crew dei Motorhead e Don't fear the reaper dei Blue Oyster Cult. Meno ispirate invece tracce come Pour some sugar on me, Living on a prayer o Dude (looks like a lady). Kitsch nel kitsch Wind der veranderund, la versione di Wind of change degli Scorpions tradotta in tedesco per omaggiare uno dei mercati più favorevoli agli Hayseed Dixie. Al di là del paradosso di una band americana che traduce in tedesco un pezzo scritto in inglese da una band germanica, il pezzo sembra proprio troppo buttato lì.
Niente di male. Chi, come il sottoscritto, ama questi cafoni degli Appalachian Mountains prende il buono da ogni loro lavoro e perdona loro qualunque passo falso, nella consapevolezza che se non esistessero, bisognerebbe inventarli, gli Hayseed Dixie.

venerdì 20 febbraio 2015

Battle Beast, Unholy savior


Non traggano in inganno copertina, etichetta discografica (Nuclear Blast) e monicker della band (Battle Beast). Unholy savior, terzo album del gruppo, il secondo dopo l'arrivo della nuova vocalist Noora Louhimo, è tutt'altro che un ottuso mattone power metal in stile Manowar: niente testi fantasy e sfoggio di testosterone quindi, ma un viaggio che parte dall'heavy metal classico per riservare più di una sorpresa.
La formazione finlandese dimostra infatti una consumata scaltrezza, collezionando un eleven tracks in gran parte potente e rassicurante, che muove dagli stilemi classici della nwobhm, attraverso gli inconfondibili intro di chitarra degli Iron Maiden (Lionheart), l'impronta dei Judas Priest (I want the world...and everything in it) e il tiro dei Saxon (Far far away), contaminati in salsa soft epic.
Ma guai a dare per scontata l'impronta musicale del disco. Da metà tracklist alla fine infatti, il combo infila ben tre ballate (Sea of dreams, The black swordsman, Angel cry), uno strumentale (Hero's quest) e un pezzo, Touch in the night, messo lì come un maiale in una macelleria islamica, al preciso scopo di suscitare un vespaio di polemiche per la cifra stilistica, che, incredibilmente, oscilla tra il synth pop e la dance italiana degli ottanta. Addirittura il brano è stato scelto come singolo che ha anticipato l'uscita dell'album, spiazzando fans e critica, per una strategia commerciale spericolata ma efficace.
Disco dall'indiscutibile sapore retrò, con una grande attenzione alle melodie ruffiane che mette in mostra il dinamismo vocale della brava Noora Louhimo, Unholy savior, senza essere un capolavoro, è una delle sorprese più piacevoli di inizio anno.
P.S. Consiglio di recuperare l'edizione speciale comprendente come bonus track la cover di Wild child degli W.A.S.P., pezzo che annovero tra i miei preferiti di sempre e che i Battle Beast interpretano in maniera convincente.

venerdì 13 febbraio 2015

Chronicles 44

Quando il medico mi ha annunciato che mi avrebbe segnato tutta la settimana di malattia mi sembrava esagerato. Pensavo che due tre giorni potessero bastare per mitigare gli effetti del virus influenzale che mi ha colto domenica scorsa. Lei però ha insistito e per fortuna io ho desistito, visto che oggi è il quinto giorno da "allettato" e ancora sono in condizioni pietose. C'è da dire che questa è la quarta volta in meno di due mesi che mi becco l'influenza, e probabilmente se avessi evitato per le prime tre di imbottirmi di medicinali e continuare a lavorare (quasi) come niente fosse, adesso non sarei conciato così. Cose che capitano a chi pensa di essere tosto e invece ha la resistenza fisica di una fighetta.

martedì 3 febbraio 2015

MFT, gennaio 2015

MUSICA
 
Lo so, non è il massimo aggiornare il blog a botte di liste e classifiche, ma il tempo (e la terza influenza stagionale) è tornato a reclamare il suo pesante tributo e quindi, dopo il consuntivo di fine anno, è già tempo di sintesi degli ascolti del mese. Come ricordavo nell'ultimo MFT, febbraio sarà un mese pirotecnico per la qualità delle uscite previste. Per due che sono già state rilasciate (Bob Dylan e Steve Earle), una è una sorpresa assoluta. A meno di due anni da In time, tornano infatti i Mavericks con Mono, atteso per la metà di febbraio. Va da sé che questo, insieme a Holding all the roses dei Blackberry Smoke, vince facile la palma di disco più attesissimo dell'anno (so far).
 
Blackberry Smoke, New honky tonk bootlegs
Blackberry Smoke, The Whippoorwill
Howlin' Rain, Live rain
Howlin' Rain, Mansion songs
Lucinda Williams, Down where the spirit meets the bone
Blind Guardian, Beyond the red mirror
Steve Earle, Terraplane
Bob Dylan, Shadows in the night
Cannibal Corpse, Tomb of the mutilated
Death, Thought patterns
Pat Boone, In a metal mood
Marracash, Status
 
VISIONI
 
Non mantenuto il proposito di chiudere con le ultime stagioni dei Soprano e The Wire, però ho rallentato la dose di serie tv, quello sì. Al momento, con molta flemma, sono sullo spassosissimo Lilyhammer (con Little Steven) e sulla terza, cazzutissima, stagione di Banshee.
 
LETTURE
 
Ho ripreso La sottile linea bianca, autobio di Lemmy Kilmster (devo dirlo? Il frontman dei Motorhead). Stavolta sembra essere la volta buona per portarlo a termine.