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giovedì 10 maggio 2018

The walking dead, stagione 8

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Nel caso ve lo stiate chiedendo: sì, qui si spoilera.

Bizzarro come l'unica serie tv superstite da quando ho deciso di sottrarre le scarse porzioni di tempo ai serial per dedicarle ai film, sia anche quella qualitativamente più discutibile: The Walking DeadUna ragione ovviamente c'è, ed è riconducibile a Stefano, che l'anno scorso si è appassionato all'epopea di Rick & soci, trasformandone così la visione in un rito di famiglia.

The walking dead è sicuramente la serie action che ha maggiormente i tempi delle soap, ma in generale anche dei fumetti USA di lungo corso (gli appassionati Marvel o DC sanno di cosa parlo): eventi che occuperebbero poco spazio sono dilatati all'inverosimile e diluiti dentro storie, conversioni, controconversioni ed introspezioni ardite, non sempre in linea con la costruzione dei personaggi. Insomma, un serial che nasce da un fumetto e che dalla serialità dei fumetti prende tempi e modi narrativi.

Anche l'ottava stagione segue questo canovaccio ormai consolidato, con gli autori che si avvitano su se stessi facendo assumere decisioni talvolta strampalate e prive di logica a qualche characters: gente che da sanguinaria diventa pacifista (o viceversa), nel giro di qualche sequenza (Morgan, Tara, Daryl, Rosita, Ezekiel) oppure l'evidente difficoltà di gestire il personaggio Negan attraverso maldestri tentativi di "umanizzazione" che stonano parecchio con la sua precedente riduzione a semi caricatura. 
Però qualcosa di buono, di molto buono, in questa stagione c'è stato:  l'eredità che Carl ha lasciato ai suoi cari e al suo gruppo. Ad un Rick sempre più lontano dalla moralità dell'eroe buono e sempre più pericolosamente border line e accecato dal desiderio di vendetta, gli showrunner affiancano infatti l'attitudine di un ragazzo cresciuto precocemente che gli spiega (il figlio al padre) la strada della riappacificazione. Molto interessante anche l'alternarsi di flash forward assieme a sequenze che si scopriranno essere state solo sognate da Carl, i cui autentici significati non saranno svelati fino all'ultimo episodio.

Contrariamente alle aspettative di molti, la stagione non termina con Negan ucciso nel modo più cruento possibile da Rick, ma con un'imprevedibile riconciliazione tra i due gruppi e  con una speranza di nuovo sviluppo nell'armonia collettiva.
Il messaggio molto poco americano è quello della ricostruzione di regole di convivenza civili, la fine della rappresaglia, la misericordia verso gli sconfitti.
A Negan viene quindi salvata la vita e comunicata una condanna all'ergastolo, quale esempio di un nuovo mondo che sta per nascere (e, surrettiziamente, per tenere nel cast uno dei villain più iconografici degli ultimi tempi). 
Maggie, Daryl e Jesus (quest'ultimo in maniera del tutto incomprensibile, visto il ruolo di colomba che ha sempre avuto) la pensano diversamente e preparano nell'ombra il primo colpo di stato dell'era The Walking Dead. E in questo sì, che gli americani hanno da insegnare a tutti.

E' superfluo ribadirlo: in autunno arriva la nona stagione.

venerdì 4 aprile 2014

The Walking Dead, season 4


The Walking Dead se ne frega. Delle critiche sulla qualità della serie, delle ironie sui dialoghi, delle perplessità sugli sviluppi della storia; delle accuse di inconcludenza cronica.
Tira dritto per la sua strada e, come spesso accade, più la critica lo stronca, più il successo di pubblico aumenta. In questo caso fino a fare di questa fiction un vero e proprio fenomeno televisivo, con picchi di ascolto che, negli USA, raggiungono sovente i quindici milioni di spettatori.
E allora almeno un merito ai produttori di questa serie dobbiamo riconoscerlo: quello di aver azzardato il rilancio del filone "morti viventi", che sembrava avere ormai da tempo dato tutto quello che aveva da dare e che invece non solo ha pagato, ma è arrivato anche ad alimentare un nuovo, imprevedibile, volano multimediale (cinema, gaming, comics) sul tema zombies.

Poi certo, lo show non è avulso da intoppi: la trama si avvita spesso su se stessa (come ho già avuto modo di commentare in altri luoghi, la dinamica standard prevede: separa il gruppo/riunisci il gruppo/fagli trovare un luogo sicuro/scacciali dal luogo sicuro/ammazza qualche protagonista/fai tornare qualche personaggio creduto morto) ed è evidente che gli accadimenti spalmati nei sedici episodi potrebbero tranquillamente essere condensati nella metà del tempo, ma in fondo questo è un difetto attribuibile a quasi tutti i serial e comunque non tutti i fill-in (gli episodi cioè che potrebbero anche essere rimossi senza perdere lo sviluppo della trama) sono una noiosa perdita di tempo, come invece si sostiene quasi ovunque. A volte l'introspezione dei personaggi diventa l'elemento di fidelizzazione vincente con i characters, e questo le menti dietro a The Walking Dead l'hanno capito bene.

Entrando sinteticamente nel dettaglio della stagione: si chiudono le storyline del Governatore (non senza il rammarico per la rinuncia ad un villain controverso e riuscito) e dell'esperienza di vita all'interno delle mura sicure della prigione; come accennavo in precedenza si torna poi a sparigliare il gruppo con il leader Rick Grames ferito nel fisico e fiaccato nello spirito, che cerca un rifugio per se stesso e per il figlio; si introducono superstiti umani sempre più spietati che cercano di trarre vantaggio attraverso violenza e sopraffazione  dall'anarchia totale che si è scatenata nel mondo.
Il cliffhanger conclusivo è di quelli bastardi,  di quelli, anche se saranno in pochi ad ammetterlo pubblicamente, che ti fanno trattenere il fiato fino alla stagione successiva.
Che guarderemo tutti per poi lamentarcene puntualmente sulle bacheche virtuali della rete.
Tanto alla fine The Walking Dead se ne frega e tira dritto per la sua strada.

mercoledì 2 maggio 2012

Il ritorno dei morti viventi, seconda stagione - conclusione

A volte penso che farei volentieri a meno di tutto l'eccesso di informazione che, volente o nolente, frequentando forum, blog e/o social network ti travolge. Chissà quale giudizio complessivo avrei dato della seconda stagione di The Walking Dead se non avessi saputo ad esempio del grosso taglio di budget della produzione rispetto alla prima e dell'allontamento dell'autore Frank Darabont durante la pausa programmata a metà season. Conoscere questi elementi ha indubbiamente condizionato la mia valutazione dell'opera conducendomi a spiegazioni più tecniche degli avvenimenti, togliendomi un pò di sospensione dell'incredulità.

Il mio giudizio complessivo della seconda stagione è comunque positivo. Ad una prima parte molto lenta ( ma con una conclusione devastante) e priva di quelle magnifiche immagini che avevano caratterizzato la stagione uno insieme alle sequenze nelle metropoli spettrali e alle scene di massa, nella quale, come già scritto, spiccava nettamente la metamorfosi di Shane Walsh, ha fatto seguito una seconda che ha ripreso a premere sull'acceleratore dell'azione, con conseguenze molto significative sulla dinamica della storia e sui personaggi.


Senza entrare troppo nel merito degli sviluppi, mi sembra di poter dire che gli sviluppi più rilevanti riguardano il profilarsi all'orizzonte di un gruppo di sopravvissuti violento e senza scrupoli e la conferma di un ulteriore, micidiale effetto del virus che trasforma gli uomini in zombie. Non ho particolare rimpianto per i personaggi che hanno abbandonato la serie eccezion fatta per Jon Bernthal (Shane, nella foto), senza dubbio la marcia in più della stagione appena conclusasi. Dovessi esprimere un desiderio per la terza annata di programmazione, mi piacerebbe rivedere sullo schermo lo psicopatico razzista Merle Dixon, magistralmente interpretato da Michael Rooker, fino ad ora tornato solo nelle allucinazioni del fratello Daryl.

martedì 13 dicembre 2011

Il ritorno dei morti viventi, prima parte - stagione due





Con un impatto visivo meno spettacolare della prima stagione, The walking dead torna a narrare le disavventure del gruppo di superstiti ad un misterioso contagio che ha trasformato la maggior parte dell'umanità in zombie, concentrandosi maggiormente sull'introspezione, sulle paure dei personaggi e sui bambini, anelli deboli della catena.

Il protagonista della storia, lo sceriffo Rick Grimes, buono e affidabile come da copione classico, comincia ad avere pesanti incertezze sul suo ruolo a seguito di un attacco degli zombie che provoca gravi conseguenze alla comitiva e in seguito al ferimento del figlio durante una perlustrazione nei boschi. Questo avvenimento porta però con se uno sviluppo positivo: i fuggitivi trovano rifugio in una grande fattoria miracolosamente scampata agli attacchi degli zombie, abitata da diverse generazioni di una famiglia guidata da un anziano patriarca.

L'aspetto più incisivo della storia è a mio avviso, lo sviluppo, o se vogliamo la caduta in una spirale autoritaria e violenta, dell'amico di Rick, Shane Walsh, che sopravvive ad una missione suicida per reperire medicinali proprio grazie all'abbandono di ogni etica e lealtà e al trionfo del più primitivo e crudele spirito di sopravvivenza. Shane cambia anche nell'aspetto, nel modo di camminare, la sua fisicità si fa minacciosa, si scontra violentemente con Lori, Dale e con lo stesso Rick. La sua influenza negativa contagia progressivamente gli altri. In una coabitazione sempre più complicata con gli abitanti della fattoria, assume una decisione che mina la permanenza del gruppo in quell'oasi (quasi)incontaminata e risolve drammaticamente una vicenda aperta dopo l'attacco degli zombie a cui accennavo in apertura.

La stagione due consta di tredici episodi, ma la produzione ha deciso di trasmetterne inizialmente solo sette, per poi riprendere a febbraio. A mio avviso la storia regge bene, quel che perde in spettacolarità viene parzialmente equilibrato nell'analisi dei personaggi (oltre a Shane anche Andrea, Daryl e Glen). E comunque l'adrenalina, anche se razionata, non manca e l'emozione è ben dosata (nell'ultima scena del settimo episodio la commozione ti afferra stretta la gola). Per essere un serial di zombie può bastare. Anche se magari sarebbe ora di riprendere qualche filo narrativo interrotto dalla prima serie e cominciare a svelare qualcosa sulle origini del contagio...

venerdì 17 dicembre 2010

I giorni dei morti viventi, finale di stagione



Dopo una prima parte più sbilanciata sul canone horror, che si conclude con la carneficina nel quarto episodio, The walking dead vira improvvisamente sull'introspettiva. Il gruppo di superstiti fa il bilancio di un improvviso attacco degli zombie al loro campo, ognuno piange i suoi morti, qualcuno aiutando gli altri a “trattare” i cadaveri in modo che non risorgano, altri invece vegliando fino alle estreme conseguenze un familiare contagiato.

Dopo Michael Rooker, nelle ultime due puntate della mini serie esordisce un altro volto noto del cinema: Noah Emmerich nei panni di uno scienziato barricato all'interno di un modernissimo centro di ricerca nel quale il gruppo di fuggiaschi cerca rifugio. Molto toccante l'epilogo del quinto episodio, in bilico tra disperazione e sollievo, e anche l'amara conclusione della puntata finale.

C'è qualcosa di più abusato e sterile nello sviluppo di un film sugli zombie? No, in teoria. In pratica invece gli autori di questa serie riescono nell'operazione di colpire nel segno, spostando progressivamente l'attenzione dello spettatore dall'azione splatter fine a se stessa alla psicologia dei personaggi, traguardandoci nell'immedimazione con i protagonisti, con le loro terribili angosce e le loro flebili speranze. Il tutto senza dire praticamente nulla sulle cause del flagello apocalittico che rischia di estinguere l'umanità.


The walking dead è riuscita nell'impresa di emergere come inaspettata e tostissima outsider nella galassia delle produzioni americane, imponendo all'attenzione dei grandi network la AMC, emittente fuori dal grande giro di tv.
Si attendono indicazioni sul lancio della seconda stagione.
Per ora comunque, thumbs up!

giovedì 25 novembre 2010

I giorni dei morti viventi 1-3



E' partita da qualche settimana su Fox la serie horror The Walking Dead, tratta dall'omonimo fumetto della Image Comics.

Il serial, la cui prima stagione consta di soli sei episodi, mette in scena un presente alternativo popolato, per cause misteriose, da eserciti di zombie che vagano affamati per le strade alla ricerca di carne viva (umana o animale) di cui nutrirsi.

Rick Grames è uno sceriffo della periferia di Atlanta che rimane ferito in uno scontro a fuoco prima del contagio, e che si sveglia dal coma giusto in tempo per trovare l'ospedale e la città invasi dai non morti e la sua famiglia scomparsa da casa. Si mette allora in marcia, e dopo aver scovato qualche sparuto essere umano che è sopravvissuto perlopiù nascondendosi, scopre la regola principale per restare vivo: evitare ogni tipo di rumore, gli zombie ne sono attratti come falene dalla luce. Ne consegue che usare le armi da fuoco per eliminarli è un'azione mortalmente controproducente.


Devo dire che ho cominciato a guardare The Walking Dead con molta diffidenza. Lo spunto di partenza infatti mi interessava quanto a Mourinho giocare la Mitropa Cup. Col tempo però mi sono ricreduto. Certo, gli zombie a volte provocano effetti di involontaria comicità, ma nel complesso la tensione regge, e ci sono alcune trovate davvero riuscite (ad esempio il protagonista e un socio che per non farsi annusare dagli zombie, si spalmano addosso budella, sangue e resti vari di un morto vivente e percorrono la strada che li separa dalla libertà mischiandosi a queste spaventose creature) oltre a dei congrui cliffhanger al termine di ogni puntata.


Da segnalare la presenza di Sarah Wayne Callies (la dottoressa Tancredi di Prison Break) e gli interessanti cameo dei fratelli Dixon, beceri e razzisti, interpretati dal sempre ottimo Michael Rooker e dal bravo Norman Reedus (Boondock Saints, Blade 2).

Three to go.