venerdì 25 dicembre 2015

Buone feste con Richard Cheese

The Sunny Side Of The Moon

Richard Cheese (nome d'arte di Mark Jonathan Davis) è un cabarettista americano con la passione per la musica. La sua peculiarità è che si diverte a reinterpretare con irriverenza brani metal, rock e pop vestendoli, in una durata media di un paio di minuti ciascuno, di abiti swing, croonering e lounge. Non una novità assoluta, visti i noti precedenti di Pat Boone e Paul Anka, ma la marcia in più, oltre allo stile dissacrante (e alle cover degli album...), sta anche nella scelta dei brani. 
Ascoltare un fac simile di Sinatra che canta allegramente I want to fuck you like an animal (Closer, Nine Inch Nails) o Everybody hates me now so fuck it (People = shit, Slipknot) o ancora sentirgli dedicare Rape me (Nirvana) "to all the ladies" fa un effetto decisamente straniante. 
The sunny side of the mood è una best of che raccoglie il meglio dei primi album. Rende l'idea, anche se rimangono fuori tracce meritevoli, come Welcome to the jungle dei Guns 'n' Roses (da Aperitif for destruction), Guerrilla radio dei RATM (da Lounge against the machine) oppure, sempre dei RATM, Killing in the name of che potete ascoltare di seguito.
Buone feste a tutti.



mercoledì 23 dicembre 2015

Vintage Trouble, 1 Hopeful Rd.

1 Hopeful Rd. - Vintage Trouble.png
 
 
Okay. Quando un gruppo semi sconosciuto ha la possibilità di aprire, davanti a decine di migliaia di persone, i concerti di Rolling Stones, The Who, Dave Matthews Band e AC/DC, alla mia veneranda età la prima cosa che mi viene da pensare non è "quanto sono bravi!" ma "chi li raccomanda?".
Il dubbio rimane ascoltandoli perché, stante l'autorevolezza vocale del singer e frontman Ty Taylor, l'impressione che si tratti di un prodotto accuratamente confezionato per i nostalgici di un certo tipo di suono (vintage, appunto) è penetrante e fastidioso.
Dopodiché la band si destreggia bene tra soul, classic errebì, rhythm and blues e rock 'n' blues, offrendo canzoni tanto gradevoli quanto ruffiane, buone come sottofondo in una cena tra amici (modello Il grande freddo per intenderci) ma, temo, altrettanto effimere.
Comunque un pezzo come l'opener Run like the river riesce ad essere suggestivo, così come Angel City, California trascinante,  Another man's words dolcemente introspettivo e la stonesiana Strike your light accattivante.
Un bignamino rhythm and blues figlio di questi maledetti tempi di ascolti usa e getta.

lunedì 21 dicembre 2015

Saxon, Battering ram

Saxon Battering Ram.jpg
 
Cinque dischi in otto anni. Da The inner sanctum del 2007, i Saxon non hanno mai mancato l'appuntamento biennale con una nuova release. E visto che Sacrifice era stato pubblicato nel 2013, ecco che i tempi per Battering ram erano maturi.
I fan del combo (tra i quali posso tranquillamente annoverarmi), saldamente capitanato un ottimo Biff Byford sanno già cosa aspettarsi e difficilmente verranno traditi.
Però è evidente come sia dannatamente difficile stupire quando la proposta musicale è così monotematica come quella della band britannica. Se Call to arms e il già citato Sacrifice riuscivano a tenere alta la media per la maggior parte della tracklist, arrivando addirittura a proporre un buon numero di brani che non sfigurano con il glorioso passato, qui i filler cominciano a prendersi la scena rispetto ai brani potenzialmente tramandabili ai posteri.
Questi ultimi sono riassumibili nel midtempo Queen of hearts, Stand your ground, Top of the world e la riflessiva Kingdom of the cross, che per una volta vede i Saxon occuparsi dell'aspetto meno epico delle guerre: quello dei tanti sacrifici umani lascito della prima guerra mondiale. 
In qualità di voce narrante è graditissima nel pezzo la presenza di David Bower (frontman degli Hell, band attiva dai primi ottanta ma che è riuscita ad incidere il suo primo lavoro solo nel 2011).
E comunque 'sti cazzi, il signor Byford, che tra qualche settimana compirà sessantaquattro anni, si conferma una delle poche ugole superstiti della nwobhm che ancora ci sta dentro alla grande.

giovedì 17 dicembre 2015

Girlschool, Guilty as sin


Ricordate le riot grrrl? Si trattava di un movimento che molti leggono in relazione al grunge (siamo quindi nei primi novanta) e che portò un buon numero di all female bands agli onori della cronaca grazie ad una proposta musicale aggressiva, in genere baricentrata su un suono aspro di chitarra, una semplice ma perentoria sezione ritmica basso/batteria e testi all'insegna della cazzimma. Un decennio prima, con la musica hard and heavy che aveva appena scoperto le grandi platee, era più difficile imbattersi in gruppi di fanciulle che venissero presi sul serio in un mondo che più maschile e misogino non si poteva.
Tra le poche eccezioni le Girlschool. Inglesi, grandi amiche dei Motorhead (con inusuale eleganza Lemmy ha solo lasciato intendere una relazione con la singer Enid Williams), hanno raggiunto un buon successo commerciale solo con l'album Hit and run (1981, reinciso nel 2011), ma non hanno mai smesso di incidere musica arrivando all'invidiabile cifra di una dozzina di lavori distribuiti in sette lustri.
Oggi sono in tour con un claudicante Lemmy (oltre che con i Saxon), e pubblicano Guilty as sin, un lavoro senza particolare guizzi di fantasia (e come potrebbe esserlo?), ma con tanta attitudine e una buona manciata di killer tracks, a partire dal trittico di apertura che mette subito sull'attenti l'ascoltatore più distratto (Come the revolution; Take it like a band; Guilty as sin) posizionandosi in fin dei conti non lontanissimo dai lavori delle Hole, L7 o Babes in Toyland implicitamente citate in premessa. 
Chiaramente non possono mancare i riferimenti ai Motorhead, come la punkeggiante Night before, mentre non vanno oltre un piacevole stupore iniziale  l'interpretazione di Staying alive (sì proprio quella) e il pop metal stile Kiss più bolsi Everybody loves (saturday night).
E alla faccia dei tanti macho borchiati che provano a fare il botto con gli immancabili lenti in falsetto, queste quattro cazzutissime inglesi in dodici brani non ci piazzano nemmeno una ballata, come il maestro Lemmy insegna.
Mucho respeto.

lunedì 14 dicembre 2015

Darlene Love, Introducing Darlene Love


Dopo quello di Southside Johnny, ecco un altro nuovo disco soul / rhytm and blues interpretato da una vecchia conoscenza. A dispetto del titolo (Introducing Darlene Love) infatti, Darlene (all'anagrafe di cognome fa Wright) è sulla piazza da tempo, se è vero che ha visto i natali nel 1941 e ha iniziato a pubblicare dischi nel 1963 nella squadra di soul singer alla quale si affidava Phil Spector (vista la stagione non posso non rimarcare che la trovate anche nell'imperdibile A Christmas gift for you).
La cantante (e attrice) è da tempo nei radar di Springsteen e Little Steven, ma solo oggi il bandanato chitarrista (e attore) italo-americano è riuscito nel sogno di produrle un album, contribuendo sostanziosamente attraverso il suo inconfondibile imprinting musicale e con brani propri (la trascinante apertura Among the belivers arriva dal misconosciuto capolavoro Voice of America che Miami Steve registrò insieme ai Disciples of soul nel 1983 e Last time, più o meno dello stesso periodo ma scritta per Gary U.S. Bonds) e portando regali da parte degli amici, come l'inedito springstiniano Just another lonely mile
Il risultato è un album che parla, oltre che agli appassionati di black music d'annata, a tutti i nostalgici dei primi lavori solisti di Van Zandt, del periodo soul di Springsteen (1975/77) e in generale del wall of sound della E Street Band originale con incantevoli sconfinamenti nel gospel ( l'uno-due conclusivo Marvelous e Jesus is the rock).
Con queste premesse, non potevo lasciar correre.


mercoledì 9 dicembre 2015

Alice Cooper & Motley Crue, Milano 10.11.2015 parte1/2


Non avessi comprato i biglietti a luglio, sull'onda dell'entusiasmo per un inaspettato ritorno, trovo difficile che il 10 novembre mi sarei trovato al Forum di Assago per l'ultima esibizione dei (ex) ragazzacci del rock and roll. Il tour, lo ricordo, è quello d'addio alle scene dei Motley Crue, vergato da tanto di contratto stipulato dai quattro che non solo si sono impegnati ad appendere gli abiti di scena al chiodo dopo la prossima esibizione di capodanno a Los Angeles, ma anche a non interpretare mai più, nemmeno individualmente, i pezzi dei Crue. So già cosa state pensando: "bullshit! Aspetta solo che rimangano senza contanti e ne riparliamo...". 

Tant'è. Arrivo al Forum sulle note conclusive del set del primo gruppo di supporto, i canadesi Saint Asonia, giusto in tempo per congratularmi mentalmente per la voce piena del singer e la pulizia del suono della band. Vedremo se avrò tempo e voglia di approfondire.

Il tempo di un paio di tramezzini e un'acqua naturale (vi aspettavate hot dog e birra, eh?) e le luci si spengono di nuovo per l'arrivo dell'immenso Alice Cooper. Vi dirò una cosa: quest'uomo è il vero mito vivente della serata. Si materializza all'improvviso su di una pedana al centro del palco avvolto in un mantello nero che apre con gesto teatrale e attacca Mr Nice Guy
Vi dirò un'altra cosa: in pochi, nel circo del rock, possono vantare un repertorio pari a quello di Vincent Damon Furnier. Repertorio che viene proposto in una sintesi di poco meno di un'ora che, nonostante la posizione di opener, non risparmia l'aspetto visivo, componente fondamentale degli spettacoli di Alice, decapitazione e gigantesco Frankstein inclusi. La backing band dell'autore di Welcome to my nightmare è straripante e conta addirittura tre chitarre, di cui una impugnata in maniera molto sensuale dalla brava Orianthi Panagaris
Lo show è trascinante e la gente si diverte letteralmente un mondo con i grotteschi effetti speciali, specialità della casa. L'apice dell'esibizione non può che essere Poison, il brano di Vincent più noto da queste parti, ma se volete la mia opinione sul podio vanno Ballad of Dwight Fry, Go to hell, Under my wheels e I'm eighteen
Finisce letteralmente in tripudio, con i sette-ottomila (fino a quel momento) presenti a tributare, con tutte le luci accese, il sacrosanto riconoscimento ad un'autentica icona del rock.




continua

lunedì 7 dicembre 2015

MFT, ottobre e novembre 2015

ASCOLTI

Sono uno che musicalmente si fa enormemente influenzare dai gusti delle persone che ha attorno. Mettetemi nella stessa stanza con con un melomane e nel giro di pochi giorni diventerò un irriducibile appassionato di opera lirica (per citare un genere che non sono mai riuscito ad approfondire). Per cui un mese di corso (legato ad una nuova attività lavorativa) assieme a due colleghi che non frequentavo da tempo, uno appassionato di metal melodico e l'altro di heavy classico non poteva che lasciare un segno profondo nei miei ascolti. Ne deriva che nelle ultime settimane l'airplay personale è stato molto orientato a gruppi come Toto, Harem Scarem, Riot, Lynch Mob; Girlschool e Viciuos Rumors. Per il resto proseguono gli ascolti di Gang e Teatro degli Orrori; Warren Zevon e Darlene Love; Joe Ely e Grandpa's Cough Medicine. Sulle recensioni ho accumulato un ritardo che difficilmente colmerò in tempo per la pubblicazione dei migliori dischi dell'anno. Per cui le cose sono due: o ritarderò la classifica finale o ci infilerò degli album non recensiti.

LETTURE

Anche se mi sono un pò arenato, sono sulla violentissima e realista epopea western di Corman McCarthy narrata in Meridiano di sangue.

VISIONI

Tanta, tanta roba. Ho finalmente iniziato In Treatment, poi The Walking Dead (6); Homeland (5); The leftover (2); Daredevil; Show me a hero. E infine, beh, l'ultima stagione di The Wire.