mercoledì 29 settembre 2021

Ministri, Cronaca nera e musica leggera (EP, 2021)




Mi ha fatto proprio bene questo prolungato digiuno dalla musica dei Ministri, di cui non ascolto un disco con l'attenzione appropriata da almeno un lustro. Oppure, più semplicemente questo EP è uscito nel momento giusto. 
A prescindere. 
Quanto c'era bisogno della feroce poesia punk dei quattro milanesi in questo tempo devastato e vile (citazione di un altro artista milanese)?

La domanda è retorica. Ce ne era bisogno eccome. Tanto più che la band mette da parte i (legittimi) tentativi di evoluzione del proprio sound, tornando a pestare duro come tanto ci piace. 
Sarà la nostalgia, ma anche a livello di testi ho trovato Cronaca nera e musica leggera molto ispirato, con tante riflessioni corrosive che ben fotografano, ancora una volta, la società attuale. Pensiamo solo come quel passaggio del testo di Bagnini che recita: "niente scenate al centro commerciale" concretizzi in tre parole la quotidiana alienazione. Così come intenerisce, nonostante la violenza sonora, il riferimento a De Andrè dentro Peggio di niente ("improvvisamente ho visto Nina volare"), anche se, dovendo indicare il mio brano preferito vado deciso sull'esaltante title track, che si presta a grandi singalong dal vivo. 
E a proposito di concerti, chissà se sarà la volta buona per vedere i Ministri dal vivo, dopo decine di occasioni perse anche con show ad uno sputo da casa mia. 

Insomma, Cronaca nera e musica leggera è un ritorno breve ma intenso, che conforta e rassicura. Mettiamoci poi che ultimamente reggo molto meglio i dischi brevi (massimo otto tracce) che quelli più corposi, e l'esaltazione è servita.

giovedì 23 settembre 2021

In guerra (2018)


Laurent, operaio e sindacalista dell'azienda Perrin, è a capo della battaglia che si consuma fuori dai cancelli, in tribunale e nei palazzi delle istituzioni e della politica, per impedire ai dirigenti tedeschi di chiudere la filiale dove sono impiegati mille e cento lavoratori francesi.

Poco da dire. Raramente, per non dire mai, mi è capitato di assistere ad un film sulle battaglie sindacali così aderente alla realtà al pari di questo In guerra
La pellicola è l'opera centrale di una trilogia che il regista Stèphane Brizè ha dedicato al mondo del lavoro, i cui restanti film (La legge del mercato, 2015, e il nuovissimo Un autre monde) devo riuscire a recuperare. 
La fotografia che ci restituisce Brizè è nitida e spietata e mi riporta esperienze vissute in prima persona: una multinazionale che non rispetta gli accordi sindacali, delocalizzando, nonostante l'impegno opposto a continuare la produzione a seguito di sacrifici accettati dai lavoratori, l'impotenza della politica (terrificante la sequenza in cui il portavoce del Presidente della Repubblica dice alla delegazione sindacale che la Francia non può immischiarsi con le decisioni delle aziende altrimenti farebbe fuggire gli investitori stranieri), la supponenza e l'arroganza della controparte, e, soprattutto, le divisioni che emergono in seno alle varie forze sindacali con il trascorrere del tempo. E' invece cronaca esclusivamente francese la violenza ai danni dei manager aziendali, che riprende alcuni episodi realmente accaduti da quelle parti.

Lo stile del regista è spesso asciutto, quasi da reportage, con un utilizzo frequente della macchina a mano e dialoghi resi in modo estremamente realistico, come se lo spettatore non fosse sul divano di casa, ma in mezzo a quei lavoratori. Vincente anche l'idea di affiancare all'unico attore professionista, nel ruolo del protagonista Laurent (ispirato alla figura dell'ex sindacalista ed oggi parlamentare Edouard Martin, ed  interpretato con vigore da Vincent Lindon) un gruppo di co-protagonisti, attori non professionisti, che hanno vissuto sulla propria pelle una situazione analoga a quella raccontata. 

Il titolo dice tutto: c'è da tempo in atto una guerra tra le due fazioni che compongono il mondo del lavoro, e quella più debole, una volta si sarebbe definita il proletariato, la sta perdendo. 

Da non perdere.


Visto sui canali di cinema RAI, anche se al momento di scrivere non risulta disponibile su RaiPlay.


lunedì 20 settembre 2021

Mavericks, Play the hits (2019)


Mentre non sono ancora riuscito ad entrare nel mood di En espanol, l'ultimo album in ordine di tempo (2020) per i miei amati Mavericks, scopro per caso che qualche mese prima di quella release è stato da loro pubblicato Play the hits, un disco di cover, sfuggito ai miei radar.

Gli estimatori della band ben sanno quanto a Raul Malo e suoi compagni piaccia allo stesso modo interpretare brani altrui e spaziare tra i generi, passando agevolmente dai Creedence Clearwater Revival (Down on the corner, Hey tonight, Born on the Bayou) ai Bee Gees (How can you mend a broken heart), da Bruce Springsteen (All that heaven will allow) allo standard jazz Blue moon, da Merle Haggard (The bottle let me down; Okie from Muskogee) a Frank Sinatra (Something stupid), i Motley Crue (Dr Feelgood),la musica messicana, cubana, latina in generale, lo swing, il croonering, sempre sull'onda dell'estensione vocale di Malo, una potenza con pochissimi pari in ambito musica "leggera". 

Questa propensione naturale ha ovvio sfogo in Play the hits, che inizia con un paio di country trasformati in tejano, Swingin di John Anderson e Blame it on your heart di Patty Loveless. In mezzo, un altro classicone country: Are you sue Hank done it this way, reso con un possente accompagnamento di fiati soul oriented. Partenza col botto, insomma. Col trascorrere della track list troveranno agevolmente spazio anche le immancabili ballate strappacuore di Malo (Don't you ever get tired (of hurting me) di Ray Price e Before the next teardrop falls di Freddie Fender le più significative), i duetti (Martina McBride su Once upon a time di Marvin Gaye) e un altro tributo ai due re del rock and roll: Springsteen, con una Hungry heart in versione pop jazz, ed Elvis Presley con una Don't be cruel tutta piano e fiati.

Insomma un disco che sta ai Mavericks come un "pisello nel baccello" (cit.). Manca forse l'interpretazione che fa scattare in piedi dallo stupore, ma il medione generale è sempre più che soddisfacente.

P.S. Mentre mi documentavo per questa rece ho scoperto che la band, nel 2018, ha anche pubblicato un album di canzoni natalizie. Ottimo, tornerà buono per le prossime festività


lunedì 13 settembre 2021

Imprevisti digitali (2020)


Tre cinquantenni (Marie, Bertand, Christine) vicini di villetta, affrontano i fallimenti della propria vita e gli insormontabili problemi economici che ne mettono a rischio non solo la proprietà dell'abitazione, ma anche la banale sopravvivenza quotidiana. In tutto ciò, per ragioni diverse, i tre hanno gravi problemi con i social, il mondo del web in generale e le nuove dipendenze del ventunesimo secolo.

Se ci si limita alla locandina, Imprevisti digitali potrebbe apparire come una delle tante innocue commedie che l'industria cinematografica francese sforna a ripetizione. Ma quando si ha a che fare con la coppia di registi/sceneggiatori Benoit Delèpine e Gustave Kerverne (Louise Michel; Mammuth; I feel good) niente è come sembra. 
I due, infatti, portano come di consueto sullo schermo le nevrosi, il mal di vivere, il disallineamento cronico, concentrando questa volta il proprio sguardo su tre analfabeti funzionali, verso i quali nonostante tutto si prova, col trascorrere della narrazione, un profondo affetto. La rappresentazione, attraverso questi character, di uno strato sociale che è uscito velocemente (a causa di un lutto, di un divorzio, della perdita del lavoro) da una condizione di agio che pensava di aver raggiunto e che sfoggiava attraverso lo status borghese della villetta pagata con un pesante indebitamento con la banca, fotografa in maniera spietata le universali contraddizioni del nostro tempo che ha disintegrato le classi sociali, e con esse la forza collettiva in essa custodita.

Utilizzando la leva del sarcasmo e attraverso la lente deformante del grottesco, Delèpin/Kerverne mettono straordinariamente bene a fuoco lo smarrimento di una generazione finita allo sbando proprio quando ha raggiunto l'età in cui, in passato, si raggiungeva la stabilità. Quello del rapporto con internet e i social è allo stesso tempo un tema del film ma anche un mcguffin, che serve ai registi per sfogare ancora una volta la propria vena anarchica, mostrare l'alienazione di ognuno di noi, la lotta impari tra l'uomo e la Macchina. Tuttavia i due registi non perdono la loro vena poetica e sognante, come dimostrano bene gli ultimi istanti del film. 


giovedì 9 settembre 2021

Kaleem Aftab, SpikeLee: Questa è la mia storia e non ne cambio una virgola

Contrariamente alle apparenze, Questa è la mia storia e non ne cambio una virgola non è scritto da Spike Lee. La scelta di far comparire sulla copertina del libro il solo nome del regista americano, e non quello del vero scrittore della bio, Kaleem Aftab, rientra in quelle strategie di vendita antipatiche ed inutili alle quali, evidentemente, le case editrici non sanno rinunciare. Questa cosa mi è stata particolarmente sulle balle, ho comprato il libro pensando di avere tra le mani un certo tipo di opera e invece me ne sono ritrovata un'altra. Probabilmente, vista la mia passione per le biografie e per il cinema, l'avrei comunque scelto, ma perchè prendere per i fondelli i lettori?

Al netto di questo mio sfogo (scusate, ma ce l'avevo qui) la biografia di Lee risulta certamente interessante per qualunque cinefilo. Aftab sceglie la modalità del racconto orale (per intenderci è in stile cronistico e fitta di virgolettati) e chi, come me, cerca in queste opere la descrizione minuziosa di tutto quanto sta dietro al lavoro dell'artista più che i sensazionalismi o le dipendenze (sesso, droga o alcol) troverà piena soddisfazione nell'arco delle oltre cinquecento pagine dell'opera.

I capitoli del libro, infatti, dopo una prima parte dedicata alla giovinezza di Spike, sono suddivisi  per ciascun film diretto dal newyorkese, dagli esordi fino a Inside man (il libro è stato pubblicato nel 2006/2007) e sono fitti di notizie e curiosità dietro alle lavorazioni, i set, la scelta del cast, i finanziamenti, le polemiche. L'autore peraltro si destreggia molto bene nel tratteggiare Lee, non nascondendo le tante contraddizioni etico-morali del regista ed evitando con successo di cadere nell'agiografia, al punto che, alla fine della lettura, mi sono ritrovato a pensare all'uomo con più antipatia di quanta ne avessi prima.  
La stima per i suoi lavori migliori (per i quali purtroppo dobbiamo andare indietro di almeno quindici anni) resta invece inalterata.

lunedì 6 settembre 2021

Fulci, Exhumed information

 


Cominciano ad essere in molti, almeno a livello di underground metal, ad essersi accorti del valore dei nostrani Fulci. I casertani (Fiore alla voce, Dome alla chitarra e Klem al basso - la band è priva di batterista ed usa drum elettronici - ) hanno avuto importanti riscontri internazionali con il precedente full lenght Tropical sun, pertanto le aspettative per questo album superavano di gran lunga quelle per i lavori precedenti. Pur consapevoli di ciò, i ragazzi hanno dimostrato notevole coraggio artistico e volontà di progredire dal loro canonico campo da gioco death, regalando ai fan del cinema horror italiano una graditissima (per me lo è sicuramente) sorpresa musicale. Ma i segnali che la band si volesse aprire a nuovi orizzonti erano già arrivati qualche mese fa, quando i tre misero a disposizione la loro Death by metal alle rime del rapper Metal Carter (qui il video del pezzo). 

Insomma, era tempo di cambiamenti per lo stile dei Fulci, ma la filosofia, il riferimento primario del gruppo restano i medesimi. Infatti, dopo aver omaggiato il Maestro Lucio Fulci realizzando il debutto Opening the hell gates come un'apocrifa "colonna sonora postuma" di Paura nella città dei morti viventi e il successivo Tropical sun perimetrato attorno a Zombi 2, tra i fan (della band e del regista) c'era non poca curiosità di scoprire a quale opera fulciana avrebbero questa volta rivolto la propria attenzione i musicisti. Spiazzando non poco i bookmakers, la scelta è caduta su un film meno noto rispetto ai titoli più iconografici della produzione di Lucio, il penultimo realizzato dal cineasta prima della sua scomparsa: Voci dal profondo del 1991. 

Exhumed information inizia, come di consueto, con un dialogo estratto dal film di riferimento, per poi spalancare le porte ad un brutal death che, questa volta, volendo fare i pignoli, rinuncia agli aspetti slam (considerati più accessibili) del genere. L'apertura è per Voices, che alterna i violenti assalti a cui bene ci ha abituato il combo ad intermezzi doom, sempre accompagnati da un growl estremamente gutturale, per intenderci siamo dalle parti Cannibal Corpse periodo Chris Barnes. L'assalto sonoro accompagnato da tematiche orrorifiche procede senza sbavature per una quindicina di minuti e cinque pezzi, poi arriva la svolta. 
A partire da Glass, la traccia numero sette, siamo infatti spiazzati da una intro di synth che fa da preludio ad un (per me) meraviglioso tema musicale che tributa con gusto e competenza le colonne sonore dei nostri film di genere (giallo/thriller/horror) degli ottanta. Con questo pezzo si apre a tutti gli effetti la seconda, sorprendente parte dell'album: quattro pezzi realizzati assieme al musicista noto come TV-CRIMES, che rievocano appunto quell'inconfondibile mood che faceva da cornice alle tante (all'epoca) nostre produzioni e che a volte terrorizzavano più delle immagini stesse dei film. Queste composizioni, nelle quali la band compie verosimilmente un passo di lato (graffiando però attraverso i riff doom di Fantasma) lasciando il proscenio al tastierista ospite, ci restituiscono un gruppo che dimostra con forza e tenacia l'autenticità del proprio amore per Fulci e per il cinema di genere di quegli anni, oltre ad una verve artistica che impedisce ai musicisti di accontentarsi di quanto fin qui ottenuto. E non era poco. 

Grande rispetto ed ammirazione dunque per la traiettoria artistica di questa band italiana, apprezzabile anche per la decisione di dedicare la release ad alcuni personaggi da poco scomparsi: l'illustratore Enzo Sciotti, straordinario artista che ha realizzato centinaia di manifesti cinematografici, anche per film hollywodiani (qui trovate la lista dei "suoi" film), Camilla Fulci, sfortunata figlia del regista romano, e al mitico Giannetto De Rossi, truccatore ed effettista, la cui arte è universalmente riconosciuta, non solo dalla sua sterminata produzione italiana, ma anche all'estero (Conan, Dune, Rambo 3, Doctor M, Il proiezionista, Asterix e Obelix e molti altri). 

giovedì 2 settembre 2021

MFT luglio e agosto 2021

ASCOLTI

Halsey, If I can't have you, I want power
Danko Jones, Power trio
Ambrose Akinmusire, Where the heart emerges glistening
Turnstile, Glow on
Murubutu, Gli ammutinati del bouncin'
Tedeschi Trucks Band, Layla revisited (Live at Lockn')
Dennis DeYoung, 26 East, Vol 2
Velvet Insane, Rock 'n' roll glitter suit
John Coltrane Quartet, Ballads
Marc Ribot, Songs of resistance 1942/2018
Sturgill Simpson, The ballad of Dood and Juanita
Megadeth, Unplugged in Boston
Wynton Marsalis, Black code
Ministri, Cronaca nera e musica leggera
Prince, Welcome 2 America
Fulci, Exhumed information
The Descendents, 9th and Walnut
Rodney Crowell, Triage
Rev. Peyton's Big Band, Dance songs for hard times
Ryan Adams, Big colors
Bob Wayne, Rogue
Billy F. Gibbons, Hardware
Buckcherry, Hellbound



VISIONI

Quest'estate, in particolare nel mese di agosto, è stata la stagione del recupero di massa di grandi filmoni classici, che in buona parte, nel corso del tempo, avevo anche acquistato, senza tuttavia trovare il tempo per gustarli nelle congrue modalità (cioè nella certezza di vederli dall'inizio alla fine senza interruzioni di sorta). Difficilmente troverete nel blog la recensione di questi capolavori, figuriamoci, mi spaventa solo l'idea di scrivere un banale post di poche righe per opere d'arte che, in più di un caso, sono state sviscerate da libri interamente dedicati ad esse. Tra l'altro la presenza di questi titoli, di certo ampiamente già visti dalla stragrande maggior parte di miei coetanei, giustifica ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, la ragione per la quale ho sostanzialmente mollato le serie tv. Che senso ha perdere ore di vita per l'ennesima stagione di un serial, quando devi ancora vedere una valanga di film epocali? Insomma, ci si dà delle priorità.

Appunti di un venditore di donne (2,75/5)
Two men in town (3,25/5)
Escape plan (2,5/5)
The drug king (3/5)
Io sono nessuno (3/5)
Il quinto potere (2,75/5)
Snowden (3/5)
Black Widow (2,75/5)
Sgominate la gang! (3,75/5)
I girasoli (3,5/5)
Thor - Ragnarock (3/5)
Colombiana (1/5)
La notte del giudizio per sempre (3,5/5)
Prima pagina (4,5/5)
Pandora (1951) (3,5/5)
Lola Darling (3,5/5)
Stranger than paradise (3,5/5)
Ritorno al crimine (2/5)
Brutti sporchi e cattivi (5/5)
The boss level (3,25/5)
City of tiny lights (2/5)
In ordine di sparizione (3,5/5)
Robin Hood (2010) (2,75/5)
Source code (3,5/5)
Jolt (2,25/5)
Uno, nessuno, cento Nino (3,5/5)
Una giornata particolare (5/5)
Old (3/5)
Ribelli (2,5/5)
Il club dei divorziati (2/5)
C'era una volta a L.A. (2,25/5)
The infiltrator (2,5/5)
Suicide Squad - Missione suicida (3,75/5)
Intrigo: morte di uno scrittore (2,5/5)
The Kelly gang (3,25/5)
Cadaveri eccellenti (4/5)
La ballata di Buster Scruggs (3,75/5)
Il dottor Stranamore (5/5)
Breaking news a Yuba County (2/5)
Intrigo: Dead Agnes (1,5/5)
Grisbì (4,5/5)
Thirteen days (2,75/5)
Il sospetto (1941) (3,75/5)
Intrigo: Samaria (2/5)
Blood father (2,75/5)
Gli occhi del testimone (1959) (4/5)
Innocenti bugie (2,75/5)
La fiamma del peccato (5/5)
Ghost world (2001) (4/5)
Enemy (3,5/5)
L'ultimo yakuza (3,5/5)
Il grande sonno (1944) (5/5)
Malcolm X (3,75/5)
Fatman (2,75/5)
Gangster story (5/5)
Lassù qualcuno mi ama (5/5)
Louise Michel (3,75/5)
Crooklyn (3,25/5)
Un mercoledì da leoni (5/5)
Control (2007) (4/5)
La rabbia giovane (5/5)
To be or not to be - Vogliamo vivere! (5/5)
Il mucchio selvaggio (5/5)
The white storm (3,75/5)
Casablanca (5/5)
Corvo Rosso non avrai il mio scalpo ( 5/5)

Visioni seriali

Omicidio a Easttown (3,5/5)
Preacher, 2 (3/5)




LETTURE

Kaleem Aftab, SpikeLee: Questa è la mia storia e non ne cambio una virgola