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giovedì 21 novembre 2024

Recensioni capate: The Penguin



Cosa si dice dei film noir/crime/polizieschi/action? Che se azzecchi il villain sei a metà dell'opera. La lezione è stata ampiamente metabolizzata dagli studios che ai villain dei comics sono arrivati a dedicare addirittura dei solo cinematografici, dalle fortune alterne. Nella serie tv The Penguin i villain sono due, e sono entrambi strepitosi. Il Pinguino, appunto, sideralmente lontano dalla caratterizzazione dei Batman televisivi dei sessanta o da quella di Tim Burton (che da quella visione pop pescava, aggiungendoci l'immancabile tocco gotico), interpretato (come nell'ultimo film) da un eccellente Colin Farrell, sottoposto a ore di trucco prostatico, e dalla (per me) rivelazione Cristin Milioti, nei panni della figlia del defunto boss Falcone, Sofia. Per certi versi è lei la vera protagonista, dolente, furiosa, umiliata da chi più di tutti avrebbe dovuto proteggerla. Anche Oswald Cobb/The Penguin è un personaggio che si farà ricordare, traditore patologico, narcisista, affabulatore, cinico e omicida fino all'ultimo. Una serie crime a tutto tondo che nulla a che vedere con i comic movie (il collegamento con The Batman si riduce all'incipit dell'inondazione provocata dall'Enigmista) e che si concentra su dinamiche malavitose universali crude e dark. Da vedere.

lunedì 4 novembre 2024

MFT, Settembre e Ottobre 2024

ASCOLTI

Manuel Agnelli, Ama il prossimo tuo come te stesso
Blood Incantation, Absolute elsewhere
Slits, Cut
CòSang, Dinastia
JD McPherson, Nite owls
D-A-D, Speed of darkness
Eric Clapton, Meanwhile
Wire, Chair missing
Steve Earle, Alone again 
Samara Joy, Portrait
Manu Chao, Viva tu
Gang of Four, Entertainment!
Lone Justice, Viva Lone Justice
Amyl and the Sniffers, Cartoon darkness
Magazine, Real life
The Pixies, The night the zombies came
Fontaines DC, Romance
Charlie Crockett, $10 Cowboy
The Mavericks, Moon & stars
Human League, Dare!
Johnny Cash, Songwriter
Neneh Cherry and the Thing, The Cherry thing
Zeal & Ardor, Grief


Monografie

Scritti Politti
XTC
Miles Davis (the 80's)
Mina
The Rural Alberta Advantage


VISIONI (in grassetto i film visti in sala)

Il coraggio delle due (3,75/5)
King of killers (1,5/5)
Beetlejuice Beetlejuice (3/5)
Il gioco del falco (4/5)
Lacci (3,5/5)
Limonov (3/5) recensione
Prey (2022) (3,5/5)
Dumb money (3/5)
Un mondo a parte (2,25/5)
Kin (2,75/5)
Rebel Ridge (3,75/5) recensione
Gli infallibili (2/5)
La misura del dubbio (3,75/5)
Vite vendute (5/5)
Autosufficienza (2,25/5)
Fineskind (2,5/5)
Io e Angela (2/5)
Nostalgia (3,5/5)
La corta notte delle bambole di vetro (4/5)
Confidenza (4/5) recensione
La terza stella (1/5)
The apprentice - Alle origini di Trump (3,75/5) recensione
Special delivery (3,75/5)
Megalopolis recensione
Eravamo bambini (3/5)
Berlinguer - La grande ambizione (3,25/5)
Il profumo dell'oro (2/5)
The substance (3,75/5)
La terrazza (5/5)



Visioni seriali

A town called malice (2,5/5)
The veil (USA) (2,75/5)
The woman in the wall (3,25/5)
Hanno ucciso l'Uomo Ragno (3/5)

LETTURE

Leo Malet, Trilogia nera
Simon Reynolds, Post Punk 1978-1984


lunedì 28 ottobre 2024

Recensioni capate: Megalopolis



Devo iniziare dai giudizi riservati al film. Io invidio, autenticamente e senza polemica, tutti quelli che un secondo dopo lo scorrimento dei titoli di coda hanno decretato che Megalopolis è un capolavoro (una minoranza, ma ci sono), così come chi l'ha bollato una cagata pazzesca (i più). Sì, perchè io sono arrivato al termine visione privo di punti di riferimento e totalmente frastornato. 
L'opera dell'ottuagenario Coppola mi ha lasciato in preda a mixed emotions che forse solo una visione plurima può tradurre in un'analisi coerente. 
Nel tentare comunque di lasciare traccia critica della visione, mi è tornata in mente la recensione che scrissi per la Grande bellezza di Sorrentino, perchè, in effetti, Megalopolis nell'arco della sua narrazione mi ha, alternativamente, emozionato, annoiato, provocato stati di allucinazione lisergici, commosso, irritato, convinto e lasciato perplesso allo stesso tempo. 
Come puoi vedere, non è questa una recensione "tecnica" (ammesso io sia mai stato in grado di farne), ma totalmente emotiva, che, per tutto quello di personale che Coppola ci ha infilato, è comunque un aspetto da tenere in debita considerazione. 
I social ribollono di opinioni che più balcanizzate non si può, e non escludo che la polarizzazione possa essere uno degli obiettivi di Francis, oltre a quello di destrutturare (ci sia riuscito o meno) la forma del prodotto audiovisivo. 
Riconosco a Coppola un coraggio d'altri tempi per aver osato una pellicola così. Per averci investito capitale personale (visti gli esiti del botteghino, saranno contenti i suoi eredi) e per aver rifiutato qualunque tipo di product placement (o almeno io non ne ho notati). Rinunciare per la propria indipendenza artistico intellettuale ai soldi di Apple, Microsoft, Google, Jack Daniel's o McDonald non deve essere proprio irrilevante, alla fine sarebbe bastato piazzare due smartphone e qualche pc.
Tuttavia se il gioco al giudizio di questo maestoso guazzabuglio cinematografico, nella classica scala con voto massimo cinque, si deve orientare esclusivamente ai suoi estremi, cioè o è da "uno" o da "cinque", ebbene, io "uno" proprio non mi sento di affibbiarglielo.

lunedì 21 ottobre 2024

The apprentice - Alle origini di Trump


In premessa lasciami esporre un concetto che mi guida in relazione ai film che si pongono un obiettivo di denuncia politico-sociale: non sempre l'encomiabile proposito degli autori si traduce in cinema di qualità. Si potrebbero fare davvero tanti esempi di pellicole "impegnate" che si sono rivelate mediocri o proprio brutte. In ogni caso, specialmente in un periodo storico come quello che stiamo attraversando, con la marea nera delle peggiori destre che sta avanzando come il Nulla de La storia infinita, è senza dubbio apprezzabile il coraggio di esporsi.

In questo caso di esporsi con una persona che, se da qui a circa due settimane dovesse tornare ad essere presidente degli Stati Uniti (prospettiva purtroppo probabile, visto un meccanismo elettorale risalente al 1787), ha già ampiamento anticipato che il suo sarà un governo di "retribution", vale a dire ritorsivo e vendicativo nei confronti dei suoi avversari. E di certo Ali Abbasi, regista iraniano naturalizzato danese (si parla tanto di Holy spider, grande film, meno del disturbante, gotico, fiabesco Border) di motivi per scatenare la faida trumpiana, con questo The apprentice, ne offre tanti, all'ossigenato ex palazzinaro newyorkese.

Com'è noto, la storia prende in esame la formazione di Trump, partendo dalla New York sporca e decadente della metà dei settanta, fino alla notorietà e alla costruzione della Trump Tower (chiaro esempio di compensazione fallica, se mi passi la battuta). Molto spazio, nella fase giovanile del futuro presidente, è data alla figura di Roy Cohn, ex procuratore sciovinista e maccartista nei cinquanta e successivamente avvocato di successo che usa spregiudicatamente ricatti e minacce. Lo impersona Jeremy Strong, un attore che, al netto della notorietà derivata da Succession, è probabilmente qui al suo primo ruolo davvero caratterizzato e non butta via l'occasione, con una prova che si fa ricordare. Lo stesso vale per Sebastian Stan che, soprattutto nella seconda parte del film, quella in cui emerge il Trump cinico e spietato che abbiamo imparato a conoscere, ci regala un'interpretazione maiuscola, eludendo con bravura il rischio parodia.

Abbasi sceglie il formato 4:3 e una pellicola sgranata, sporca, per restituirci la sua visione di un Paese che in quel periodo era nel pieno del delirio di onnipotenza capitalistica, in nome del quale tutto si giustificava: la "esportazione" della democrazia in America Latina, gli imbrogli e la compressione dei diritti civili o individuali. 
Dopo tutto, come ci ricorda Ellroy (repubblicano dichiarato): l'America non è mai stata innocente. 
La sceneggiatura (Sherman) ci racconta in parte fatti storici acclarati, come il rifiuto di Trump affittare case agli afroamericani, e in parte decide di forzare su alcune vicende controverse e mai del tutto confermate, dagli aspetti narcisistici, come quello della liposuzione e dell'intervento tricologico, a quelli ben più gravi e penalmente rilevanti, come lo stupro ai danni della prima moglie Ivana (che la stessa prima denuncia e poi, molti anni dopo, ritratta) o il tentativo di far sottoscrivere al padre con problemi neurocognitivi un atto amministrativo per far mettere a Donald le mani sul fondo di famiglia e coprire così i suoi tanti buffi.

Il film vola senza momenti di stanca, infatti, al suo epilogo dopo due ore, quando si arriva al Trump spietato, cinico e senza scrupoli che detta la sua biografia ad un giornalista, vorresti averne ancora. 

The apprentice, arrivato nelle sale dopo battaglie legali che hanno tentato di impedirne la diffusione, pare sia stato fin qui un flop (annunciato), la speranza è che lo streaming gli restituisca la visibilità che penso meriti, e non perchè possa essere uno strumento per la sconfitta elettorale di Trump (al contrario, io penso che in questo senso l'operazione sia controproducente), ma perchè ci troviamo di fronte ad un titolo che salda  impegno e qualità. E come scrivevo in premessa, non capita spesso.

martedì 15 ottobre 2024

Confidenza



Pietro Vella è un professore di liceo benvoluto da tutti per la sua capacità di appassionare e coinvolgere gli alunni. Durante un ultimo anno è colpito in particolare da Teresa, una sua studentessa, forse non la più seducente, ma molto promettente, dotata di un'intelligenza vivace, e dalla forte personalità. Un anno dopo la maturità, Pietro viene a sapere che Teresa, contrariamente a quanto tutti si aspettavano, ha "mollato" e fa la cameriera in un ristorante. Egli la cerca e i due si mettono insieme. Qualche tempo dopo, allo scopo di cementare indissolubilmente la loro unione, Teresa gli propone di confidarsi vicendevolmente il segreto più inconfessabile e recondito che custodiscono. Pietro è perplesso, ma cede. Quella rivelazione cambierà per sempre le loro vite.


Al di là del gusto personale e della soggettività, elementi che di norma contribuiscono a plasmare il giudizio che esprimiamo su quasi ogni opera, ci sono delle forme d'arte (film, in questo caso) che più di altre agiscono sul nostro io più sommerso, stimolandoci e facendoci riflettere, condizionando la nostra opinione al punto da condurla oltre l'esclusivo merito "oggettivo".

Per quanto mi riguarda questo è proprio il caso di Confidenza, l'ultimo film di Luchetti, tratto dall'omonimo romanzo di Starnone. 
La pellicola indaga nel profondo le nostre ipocrisie, le superfici dietro alle quali nascondiamo vanità e bisogno di approvazione, facendo emergere la nostra vera essenza, meschina, egoista, prevaricatrice e intimamente arrogante. 
Se ci prestiamo attenzione, il racconto del personaggio Pietro Vella, magistralmente interpretato  - ma ci potevano essere dubbi? -  da Elio Germano, un prof. idolatrato dai suoi alunni attuali e passati, che s'intuisce essere di sinistra ed impegnato a migliorare l'istituzione della scuola pubblica, anche al netto dell'elemento motore del film (la confidenza di cui al titolo, che in qualche modo può essere considerata un MacGuffin) offre più di un indizio sulla sua reale natura ben celata dietro la (falsa) modestia di cui egli si ammanta che in realtà nasconde una persona piena di sè e conformista. 
Succede ad esempio quando l'ex alunna Teresa (Federica Rossellini) lo rimprovera di averci provato con lei ancora studentessa o quando egli litiga con la moglie (Vittoria Puccini) rinfacciandole la vacuità dei suoi sforzi di tentare la carriera accademica, rispetto all'importanza del suo nuovo lavoro al ministero

E anche la confidenza che Pietro rivela a Teresa (- SPOILER  - chiunque minimante scafato di meccanismi narrativi capisce da subito che allo spettatore non sarà mai svelata) agisce da grimaldello psicologico nel confronto dello spettatore, che si trova a calibrare con la sua bilancia morale cosa ci possa essere di così osceno ed atroce da far fuggire nel volgere di una notte Teresa, lasciando l'uomo che ama(va) e una relazione di due anni o, sebbene in astratto, da far urlare per l'orrore la figlia di Pietro, che idolatra(va) il padre. 
Quasi tutte le ipotesi si orientano verso crimini violenti legati alla sfera sessuale o, peggio, alla pedofilia (qualche tentativo, a mio avviso forzato, di rafforzare questa tesi ha cercato conferme scandagliando il rapporto tra Pietro e la figlia bambina), altre suggestioni avvalorano il sospetto di parricidio, a causa di una particolare interrogazione scolastica, che però avviene prima della rivelazione. Insomma tutti siamo caduti nella trappola narrativa degli autori o,  per meglio dire, ci siamo concentrati sul dito rappresentato dell'aspetto tipicamente thriller del film e non sulla luna delle autenticità delle relazioni che viviamo quotidianamente, vero focus del film.

Confidenza funziona  in virtù di una bella regia, una fotografia convincente, una colonna sonora efficace (per quanto io non sia un fan di Thom Yorke), un cast solido, dei personaggi scritti meravigliosamente e dei dialoghi mai banali (cito solo quello in cui Pietro e Teresa incappano negli amici di lui al ristorante, o quello nella stanza di hotel di Tilde - Isabella Ferrari - quando Pietro cambia idea sulla scopata). 
Difetti ne ha, pochi, e confinati al comparto tecnico, relativi al sonoro (l'audio basso dei dialoghi che a volte ne compromette la comprensione, problema che ho già riscontrato in altre recenti pellicole italiane), e al fastidioso trucco prostetico per l'invecchiamento, in particolare di Germano e Puccini: personalmente avrei usato degli attori diversi, dell'età necessaria ai salti temporali, come per Lacci, la precedente collaborazione Luchetti/Starnone, che riesce nell'impresa di farci credere che Alba Rohrwacher da anziana diventi Laura Morante.

Un ottimo film, dunque, che nel suo essere terapeutico trova la spinta ad elevarsi e diventare, per Bottle of smoke, uno dei migliori dell'anno.

lunedì 30 settembre 2024

Limonov (libro) + Limonov, The ballad (film)


Qualche mese fa ho terminato la lettura l'ascolto (trattandosi di audiolibro) di Limonov, di Emanuel Carrere, biografia romanzata di Eduard Veniaminovic Savienko, detto appunto Limonov, scrittore, miliziano, politico, sarto, maggiordomo, artista underground sovietico, nato in Ucraina nel 1943.
Come spesso mi accade con le opere (siano esse film, libri o dischi) che mi prendono visceralmente, la sola idea di elaborare una recensione mi spaventava.  Ora, avendo nel frattempo visto anche la trasposizione cinematografica, provo a prendere il coraggio a due mani e a sintetizzare in un unico scritto le sensazioni che i due titoli mi hanno trasmesso.

La biografia romanzata di Carrere ci racconta di un personaggio che si stenta a credere essere reale: spigoloso, che trae la sua forza da un risentimento ad ampio spettro (contro elite, establishment, sistema sovietico, ma anche veicolato all'opposto, contro chi a questi poteri si oppone) con una sconfinata autostima, un'indubbia incoscienza e sprezzo delle conseguenze. Un personaggio che, da sovietico in terra sovietica si oppone al regime dell'URSS frequentando poeti e artisti dissidenti (che intimamente disprezza, a partire da Solzenycin) ma che, quando diventa un esule, si trasforma in un intransigente nazionalista a difesa del politburo.

Carrere ci racconta di un personaggio che antepone le esperienze dirette, anche le più sordide, e l'azione - la rivoluzione! - alle chiacchere da salotti liberal. Concetto questo portato fino alle estreme conseguenze, come la militanza nell'esercito serbo durante la guerra dei balcani nei primi novanta, con le famigerate milizie di Karadzic e la fondazione, assieme a quel Aleksandr Dugin che diventerà fidato consigliere di Putin, di un movimento "rossobruno" - tristemente in anticipo sui tempi attuali - : il Partito Nazional Bolscevico (nazbol) in cui riunisce soprattutto giovani emarginati che creano con lui un legame ombelicale, al punto di essere pronti a tutto per il loro leader, fino a morire o farsi la galera siberiana, dentro un furore epico che li ammanta e li acceca, ma, al tempo stesso gli offre una ragione di vita. Anche a causa di questa forza politica eversiva, Limonov sconta diversi anni di galera, accrescendo così (nell'ottica di cui sopra) il proprio mito. Esce in tempo per andare a combattere per Putin e la popolazione russofona in Ucraina, nel Donbass, nel 2014

Il romanzo è anche altro, visto che Carrere è tanto bravo quanto narciso, pertanto, per quanto la lettura avvinca (e respinga, a seconda dei casi), in qualche modo lo scrittore riesce sempre ad essere lui stesso al centro della narrazione, e non solo quando indugia sulla propria, di biografia.
Insomma Limonov è un romanzo a mio avviso imperdibile, nonostante (o forse soprattutto) sia in buona parte non condivisibile per la rilettura cinica e discutibile di parte dei fenomeni storici del novecento, ma che fa pensare, offrendo un punto di vista scomodo e per questo prezioso.


Sul film di Kirill Serebrennikov sarò molto più capato. Posta la difficoltà dieci dell'operazione, penso che il risultato sia sufficientemente apprezzabile, anche nelle sue parti pop. Ben Wishaw è in parte, ma senza gridare al miracolo, come ho letto in giro. A mio avviso vale maggiormente la messa in scena complessiva di Serebrennikov che l'interpretazione dell'attore inglese. La pellicola peraltro ha vissuto una gestazione complessa e articolata, iniziata in Russia e poi, a causa della guerra in Ucraina, la produzione si è interrotta per poi continuare diversi mesi dopo in Lettonia, dove sono stati incredibilmente riprodotti gli esterni di New York. 

Come sarebbe potuto essere realizzato meglio, un film così difficile? A mio avviso, ma capisco sia un suggerimento anti commerciale, con almeno un'ora/un'ora e mezza in più di girato, magari dividendo il film in due parti, oppure attraverso una mini serie tv. Penso che vedere l'infanzia di Eduard e la parte come miliziano serbo sia determinante per una fotografia nitida del personaggio.

Anche così non mi lamento, sarebbe potuta andare molto peggio.


lunedì 23 settembre 2024

Rebel Ridge



Un auto della polizia sperona un ciclista che, pedalando intensamente con la musica a palla nelle cuffie, non aveva sentito le sirene della volante  alle sue spalle. Il ciclista è afroamericano e immediatamente si percepisce il comportamento arrogante e intimidatorio dei due agenti che lo ammanettano all'istante e lo perquisiscono, eludendo con la minaccia i suoi diritti, e trovandogli addosso una grande quantità di denaro in contanti. 


Jeremy Saulnier mi aveva folgorato con due film straordinari dal passo diverso ma accumunati dall'appartenenza al miglior noir, Blue Ruin e Green room (entrambi recensiti qui). Successivamente avevo apprezzato con riserva anche Hold the dark, che aveva spostato l'azione dalla periferia americana ai ghiacci dell'Alaska. 
Mi sono pertanto immediatamente fiondato sulla sua ultima fatica, da poco disponibile su Netflix, questo Rebel Ridge. E niente, Saulnier si conferma un grande regista, sia per gli aspetti tecnici che per la direzione degli attori, soprattutto quando può concentrarsi: uno - sul thriller urbano ambientato ai margini delle megalopoli USA, due - quando lavora su propri soggetti e sceneggiature (non a caso Hold the dark, l'unico film che non rispetta questa regola, è anche il meno riuscito).

Rebel Ridge è un revenge movie che rompe gli schemi classici del prevedibile action muscolare americano. Per chi conosce un pò la filosofia di Saulnier (Blue ruin), questa non è una sorpresa, ma la modalità con cui il regista lascia credere allo spettatore che lo showdown tra il protagonista tiranneggiato (Terry/Aaron Pierre, che ha l'unico limite di essere irrealisticamente e illegalmente figo) e i suoi aguzzini (the chief/Don Johnson, che ormai nei ruoli da villain ha trovato una seconda vita) sia imminente per poi disinnescarlo una, due, tre volte  (la de-escalation che Don Johnson spiega a Aaron Pierre), è in questo senso esemplare.
Terry capisce perfettamente che nella vita reale, pur avendone l'addestramento, non puoi fare come Rambo e quindi accetta i patti e le mediazioni degli sbirri corrotti, rinunciando alla vendetta, fino a quando gli sciovinisti in divisa non commettono un fatale errore.
E in ogni caso anche la resa dei conti finale, spoilero, non è all'insegna dello sbudellamento  johnwickiniano

La pellicola, che nasce con diversi stop and go, dovuti alla rinuncia di alcuni attori inizialmente assegnati ai rispettivi ruoli (John Boyega su tutti), funziona e anche bene in tutti i suoi comparti. Aggiungo all'analisi fin qui fatta il commento sonoro all'opera, dall'inizio folgorante con in sottofondo Fear of the dark dei Maiden, alle partiture orchestrali che fanno la loro in quanto contributo alla già spessa coltre di ansia che ammanta il film, e i dialoghi, privi di qualunque posa machista, non a caso l'unica volta che Terry fa il ganassa con una frase ad effetto, poi chiede al malcapitato al suo fianco: "troppo teatrale?".

Come spesso succede a noi fanboy, da una parte vorremmo che tutti si avvedessero del talento di un regista in grado di realizzare noir realistici e strepitosi, dall'altra vorremmo tenerlo tutto per noi, temendo che col successo arrivino anche mega budget e sbracature. 
Al netto di tutte questa pippe mentali, chi ha a cuore il genere e il buon cinema, deve amare Jeremy Saulnier.


Netflix

lunedì 9 settembre 2024

Blink twice


Slater King, un affascinante imprenditore di successo con un passato da farsi perdonare a causa dell'emersione pubblica di comportamenti violenti ed eccessivi, si è ritirato da tempo dalla scena pubblica. In occasione di una festa in suo onore, conosce Frida (che lo venera) e la sua amica e le invita ad unirsi a lui e al suo entourage su di un'isola sperduta di sua proprietà. Le amiche accettano e una volta arrivate lì, in una condizione di lusso sfrenato, tra sostanze psicotrope e bizzarri compagni di viaggio, tutto sembra idilliaco come sui rotocalchi del parrucchiere. Ovviamente non è così.

Già cantante e attrice, Zoe Kravitz, aggiunge al suo curriculum di artista anche la regia, e lo fa in maniera tutt'altro che banale, con un film di genere (di cui co-firma anche soggetto e sceneggiatura), girato con sorprendente personalità, che mette al centro l'intrigo, il terrore e la violenza, ma senza lesinare il messaggio femminista, affidato in particolare a Sarah (una convincente Adria Arjona), che accompagna la protagonista Frida (Naomi Ackie) alla ricerca della verità, e la critica alla società moderna nella quale siamo oltre i tre minuti di popolarità preconizzati da Warhol, e dove ognuno vuole una fetta della high life dei vip che legge su Chi e guarda a Verissimo.

Tuttavia, analogamente a Trap, altro film che ho apprezzato e che spero di riuscire a recensire, è un attore maturo che ha solo sfiorato l'enorme popolarità e che di norma non è incline ai ruoli da villain, a regalarci un'interpretazione indimenticabile nella sua ferocia. Se nell'ultima pellicola di Shyamalan era Josh Hartnett, qui è Channing Tatum a dare corpo all'imprenditore miliardario Slater King, nel cui esclusivissimo cerchio magico tutti vogliono entrare, anche a costo di perdere l'umanità o, all'opposto, per dare libero sfogo ai propri impulsi più reconditi, nella certezza di farla franca. Nella finzione del film grazie ad un particolare escamotage chimico, e, purtroppo, nella realtà in virtù della protezione garantita da livelli di potere economico inimmaginabile.

Il film vive del consueto patto non scritto tra regista e spettatori sul quale vive l'intrattenimento di genere: concedetemi qualche elemento di inverosimiglianza e vi ripagherò con una buona dose di thrilling e suspence. In Blink twice non tutto ha logica ed è verosimile, ma la Kravitz gestisce bene la tensione crescente e il mistero, disseminando la narrazione di frammenti di indizi visivi, trasmettendo un malessere costante, anche nelle scene apparentemente all'insegna del divertimento della combriccola. C'è da dire che il risultato è raggiunto anche grazie anche alle musiche e soprattutto ad una superba fotografia,  che ammanta le location di una luce sempre minacciosa, sia nelle scene di giorno che in quelle di notte, negli spazi aperti e in quelli chiusi. Imprevedibile il plot twist del pre-finale così come inaspettata la conclusione del film, a conti fatti forse la trovata in assoluto meno realistica dell'opera, ma che, a mio parere, in virtù del patto con lo spettatore di cui sopra, ci appare come il più congruo dei contrappesi.

giovedì 5 settembre 2024

MFT, luglio e agosto 2024

ASCOLTI

Mr Big, Ten
Eminem, The death of Slim Shady (Coup de grace)
Pearl Jam, Dark matter
Saxon, Hell, fire and damnation
The Jesus and Mary Chain, Glasgow eyes
Jack White, No name
Fucked up, Another day
Cheap Wine, Faces
Chrystabell & David Lynch, Cellophane memories
Fulci, Duck face killings
X, Smoke and fiction
The Mavericks, Moon and stars
Johnny Cash, Songwriter
Johnny Blue Skies, Passage du desir
Green Day, Saviors
Ghost, Rite here rite now
Deep Purple, = 1
AAVV, Petty country - A country music celebration of Tom Petty (recensione)
Fontaines D.C. , Romance
Zael & Ardor, Greif
Nile, The underworld awaits us all


VISIONI  (in grassetto i film visti al cinema)

Caracas (3/5)
Hit Man - Killer per caso (3/5)
The longest nite (vedi recensione : 3,75/5)
La morte è un problema dei vivi (3,75/5)
Non aprite quella porta - parte 2 (3,5/5)
Piggy (vedi recensione : 3,75/5)
Doggy style (2/5) 
Jonah Hex (2/5)
Benny loves you (3,25/5)
Letto n. 6 (vedi recensione: 3,25/5)
Stasera ho vinto anch'io (4/5)
Knockout - Resa dei conti (3/5)
El correo (2/5)
Maigret (2,75/5)
Five nights at Freddy's (2,5/5)
They talk (3,25/5)
Falla girare (3/5)
Anchorman (3,25/5)
Deadpool & Wolverine (2,75/5)
Un colpo all'italiana (3,5/5)
Il ministero della guerra sporca (2,75/5)
Vestito per uccidere (3,75/5)
Django (1966) (3,5/5)
Chaos (2/5)
The village (3,5/5)
Perfido inganno (3,75/5)
Escobar - Paradise lost (3/5)
Seduzione mortale (3,5/5)
Trap (3,5/5)
The last witch hunter (2/5)
Lo strangolatore di Boston (3/5)
Borderlands (2,5/5)
Becky (vedi recensione 3/5)
The wrath of Becky (vedi recensione: 3/5)
Ferrari (3,5/5)
Sisu - L'immortale (3,5/5)
American sniper (2,5/5)
Il colpo della metropolitana (3,5/5)
La persona peggiore del mondo (3,75/5)
Il discorso del re (3,5/5)
Vengeance (2022) (3,5/5)
Horizon (3/5)
Casino Jack - Il gioco dei soldi (2,25/5)
Neve rossa (3,5/5)
Blink twice (3,5/5)
Divorzio all'italiana (4/5)














Visioni seriali

Pax Massilia (3/5)
Mayor of Kingstown (2,75/5)
The Gentlemen (3/5)


LETTURE

Luis Sepùlveda, Diario di un killer sentimentale 
Peter D'Angelo e Fabio Valle, Il figlio peggiore (recensione)
Alan Bennett, La sovrana lettrice

lunedì 26 agosto 2024

Becky (2020) / The wrath of Becky (2023)


Becky è una tredicenne arrabbiata col mondo a causa della prematura morte, per malattia, della madre. E' incazzata nera anche col padre, che vuole rifarsi una vita con una nuova compagna, decisione che, dal suo punto di vista di adolescente, percepisce come un tradimento. Ragion per cui il week end fuori porta, in una baita di famiglia, che il genitore aveva programmato per farla familiarizzare con la sua nuova fidanzata non inizia esattamente nel migliore dei modi. Continuerà peggio, quando "l'idillio" della famigliola sarà messo a dura prova da un gruppo di cattivissimi nazisti fuggiti dal carcere.

Nel sequel, dopo i fatti del primo film, la sfiga continua a perseguitare Becky (ma sarà davvero sfortuna?), mettendo sulla sua strada un gruppo militare anti governativo che ha progetti eversivi.

Sarebbe bastata una frase per sintetizzare questi due film ignorantissimi: if you want blood you've got it! Infatti, la trama delle due pellicole, esile come carta velina e altrettanto inverosimile, serve unicamente all'ipotetico spettatore medio (cioè, spero, non simpatizzante di terroristi americani o nazisti) ad urlare di piacere e lanciare in aria i suoi pop-corn mentre assiste alla mattanza perpetrata da una ragazzina di tredici anni contro montagne umane tatuate di svastiche. Insomma, una specie di Mamma ho perso l'aereo però con trappole tipo quelle, sadicissime, di Itchy & Scratchy (Grattachecca e Fichetto) dei Simpsons. Nel primo capitolo da segnalare l'interpretazione, apprezzabile in un ruolo da badass villain, del comico Kevin James.

Il sequel, se vogliamo è ancora più stimolante, visto che gli sceneggiatori mettono contro Becky una banda armata americana terroristica, i Noble Men, che vuole attentare alla vita della senatrice democratica Hernandez. Tradotto, i Proud Boys o una delle tante milizie a cui si rivolge Trump (lo fece anche in occasione dell'attacco a Capitol Hill), e la senatrice Ocacio Cortez, loro obiettivo primario tra i democratici. Anche qui tutto è eccessivo e oltre ogni verosimiglianza, ma anche qui ci si diverte come bambini davanti a tanto splatter (che mi è parso tutto artigianale, e non in CG) e a una manciata di sequenze di irresistibile black comedy.

Insomma, i due capitoli di Becky - non ho citato la protagonista, Lulu Wilson, con la giusta faccia che oscilla tra ragazza della porta accanto e stronza insopportabile - , sono un'intrattenimento ad alto tasso di ignoranza, ma cattivo e fumettoso, con il quale passare, complessivamente, meno di tre ore di divertimento rigorosamente gore.


Visto su Rai Movie (Becky)
Prime Video (The wrath of Becky)




lunedì 12 agosto 2024

Recensioni capate: Letto nr 6 (2019)



Sono ancora troppo residuali i tentativi di rimettere il cinema italiano di genere - in questo caso il gotico/horror - sulla mappa che conta per lasciarsi andare ad esultanze scomposte. Tuttavia c'è la voglia di provarci da parte di un manipolo di artisti e produttori e, anche se i risultati mangiano ancora la polvere rispetto ai corrispettivi francesi e spagnoli (per tacere degli asiatici), questo blog ha sempre premiato gli sforzi che andavano nella direzione di riappropriarsi del talento e dell'artigianato di tutto quel periodo glorioso (anni sessanta - primi ottanta), quando la nostra cinematografia di genere sfornava eccellenze e ciofeche, ma sempre a ritmi industriali. Per questo cito Letto nr 6, opera prima di Milena Cocozza (factory Manetti Bros), ma anche perchè, pur non essendo un film -come si dice in questi casi- privo di difetti e forse di matrice eccessivamente televisiva o dtv (direct to video), vive di alcuni momenti (sequenze) di buona fattura, vedi l'apertura sui titoli di testa, la location, le atmosfere, un paio di jumpscare, il lavoro agli effetti speciali del decano Stivaletti. Ci si accontenta, certo. Ma la fase storica è questa.

Raiplay

lunedì 29 luglio 2024

Piggy (2022)




Sara, adolescente di una zona rurale della Spagna (Estremadura, al confine con il Portogallo) è costantemente bullizzata dalle coetanee per il suo aspetto fisico. Anche la sua amica d'infanzia, Claudia, pur non rendendosi direttamente responsabile degli atroci scherzi a cui è sottoposta Sara, non fa nulla per arginare le odiose iniziative di scherno delle amiche. Sara vive quindi una situazione di solitudine e angoscia e osserva i coetanei divertirsi dalla vetrata della macelleria di famiglia. Frequenta la piscina pubblica solo a pomeriggio inoltrato, quando gli altri se ne sono andati. Proprio in una di queste occasioni accadrà qualcosa che cambierà radicalmente la vita di Sara, delle sue aguzzine e dell'intera piccola comunità.

La regista Carlota Pereda estende un suo corto del 2018 trasportandoci nell'orrore più grande che possiamo conoscere. Non quello di un assassino violento e spietato, ma della discriminazione quotidiana, ottusa, inspiegabile e interminabile che si riversa su quanti non corrispondano ai canoni consumistico-sociali di bellezza. L'orrore insomma di una vita che si alimenta quotidianamente di derisione e risentimento, di un'autostima falcidiata e di una percezione di totale incomprensione a partire, purtroppo, dal nucleo familiare, lontano e assente, anche se fisicamente vicinissimo.

La protagonista, Laura Galàn, all'anagrafe trentottenne, è straordinaria nel dare corpo ad un'adolescente e, francamente, le critiche sull'età dell'attrice, magari espresse da chi, per anni, si è bevuto universitari americani interpretati da trentenni, fanno ridere. Della perfidia delle coetanee che riversano, quotidianamente e senza ragione, rabbia e odio nei confronti di Sara, con esiti che, da queste parti sono sovente il suicidio della vittima e negli States stragi scolastiche, sono piene le cronache. E la figura del serial killer che, probabilmente avendo subito lo stesso inferno della vittima, trova uno scopo non solo nella mattanza ma nella protezione di chi, ai suoi occhi, appare come un suo simile, è l'incarnazione di una sorta di giustizia poetica che tiene benissimo in piedi il film, al netto degli inciampi della parte di sceneggiatura prettamente thriller.

Ma sarebbe davvero sbagliato, nei confronti di un'opera che ha un obiettivo di denuncia in piena luce,  che cioè usa il genere (come si faceva nei tempi buoni del cinema!) per fare emergere una diffusa condizione sociologica amplificata dai social, criticare l'inverosimiglianza dell'agire del killer rispetto alla luna indicata dal dito e alle meravigliose sequenze di empatia tra i due protagonisti. 
L'opera della Pereda spiega insomma molto bene come, a volte, nella società dell'individualismo, l'orrore sia perpetrato dai normali e la compassione, al contrario, sia appannaggio dei mostri.



P.S. Quanto ci sarebbe stato bene, ad accompagnare le immagini del terzo atto del film, il nichilismo di un brano come Piggy, dei Nine Inch Nails?

P.P.S. Allo stesso modo, quanto è fuori luogo il claim della locandina italiana?


Su Prime Video (a noleggio)

lunedì 8 luglio 2024

The longest nite (1998)



Mentre Hong Kong si prepara all'handover (il passaggio da colonia del Regno Unito alla Cina), la regione di Macao vive una fase delicata dei rapporti tra le organizzazioni malavitose. C'è una taglia da cinque milioni sulla testa dei due boss locali che fa gola a molti killer dentro e fuori il territorio e, soprattutto, nessuno conosce chi abbia attivato questa ricompensa. Il poliziotto violento e corrotto Sam e il misterioso Tony si fronteggiano nella notte decisiva per evitare (o scatenare) una sanguinosa guerra tra bande.

Film realizzato a basso costo, girato in pochi giorni e utilizzando una manciata di location, The longest nite è davvero un gioiello noir, violento, spietato e senza possibilità alcuna di redenzione per i suoi protagonisti. Il regista accreditato è Patrick Yao, della factory Milky Way del grande Johnnie To (una miriade di film leggendari come Election 1 e 2, Breaking news, Vendicami, PTU, Drug war) che, col tempo, si è appropriato della pellicola, sostenendo che l'apporto di Yao è stato insignificante, se non controproducente. 
Ciò premesso, che siano state la tensione tra gli autori o le ristrettezze economiche ad aver messo ulteriore carburante alla macchina produttiva del film, il risultato è stupefacente, teso, feroce e nerissimo, con alcune sequenze memorabili, come l'inseguimento tra le due auto su corsie parallele divise da file di palazzi, la soluzione individuata da Tony per liberarsi del poliziotto che dovrebbe scortarlo fuori da Macao, o il tributo alla famosa scena finale de  La signora di Shangai di Orson Welles.
Non manca, come di regola nel cinema di genere asiatico, la denuncia sociale della condizione di povertà della maggior parte della popolazione, di una polizia corrotta e violenta che non ha ostacoli nella sua opera di coercizione e prepotenza, di tutta una fascia di criminali di basso rango che sono carne da cannone.

I due protagonisti principali, Tony Leung Chiu-Wai (tra gli altri Hard boiled, Chinese odyssey, Infernal affair) e Sean Lau, attori molto noti in patria, prima di questo film non avevano prestato la loro arte a personaggi negativi che si spingono oltre la figura dell'anti-eroe, laddove le loro azioni di eroico non hanno davvero nulla e anzi.

Grandi atmosfere notturne, una tensione costante, violenza e ralenty da scuola del cinema (honkongese). 
Mancavo da un pò dal noir asiatico e recuperarlo è stata una quanto mai necessaria e salutare boccata d'ossigeno 

lunedì 1 luglio 2024

My Favorite Things, Maggio Giugno 2024

ASCOLTI

Lankum, False lankum
Slash, Orgy of the damned
Billie Eilish, Hit me hard and soft
Pet Shop Boys, Nonetheless
Zakk Sabbath, Doomed forever forever doomed
Sonic Universe, It is what it is
AAVV, Petty Country - A country music celebration of Tom Petty
Johnny Cash, Songwriter
Gatecreeper, Dark superstition
The Mavericks, Moon & stars
Pearl Jam, Dark  matter
Job for a cowboy, Moon healer
Slash, Orgy of the damned

Monografie

Little Steven
Zakk Wylde
Iggy Pop 2009/2019



VISIONI

Unknown - Senza identità (2,25/5)
Kill Boksoon (3/5) 
Rambo III
(1/5)
Nebraska (4/5)
Il fornaio (2,25/5)
Palazzina LAF (3,75/5)
Road House (1,5/5)
L'altra verità (2010) (2,5/5)
Vivarium (3,5/5)
La rosa purporea del Cairo (3,5/5)
Il giorno della civetta (3,5/5)
Adrenalina (1996) (3/5)
Enea (2,75/5)
Furiosa: A Mad Max saga (3,5/5)
La parola ai giurati (1997) (3,5/5)
The company men (1/5)
La signora scompare (1938) (3,5/5)
Per la pelle di un polizotto (2,5/5)
November - I cinque giorni dopo il Bataclan (2,75/5)
Holy spider (3,75/5)
All cheerleaders die (2,5/5)
La stanza degli omicidi (2,25/5)
Le vite degli altri (3/5)
Twixt (3,5/5)
The bikeriders (2,75/5)
La chimera (3/5)

Visioni seriali

The offer (3/5)
Il re (2,75/5)

LETTURE

Little Steven, Memoir
Jim Thompson, Bad boy



martedì 21 maggio 2024

I miei film preferiti del 2023 (beh, che c'è?)

Davvero un'ottima annata, quella del 2023. Forse per la prima volta da quando mi diverto a compilare i consuntivi di fine anno (non molto, per la verità) ho faticato ad escludere dei titoli che mi avevano appassionato, e infatti mi sono visto costretto ad allargare l'elenco dalle canoniche dieci posizioni a dodici. 
Perchè posto alla fine di maggio un tipo di classifica che di norma esce a gennaio? Semplice, gli ultimi film che mi ero ripromesso di vedere prima di deliberare sono riuscito a recuperarli solo qualche giorno fa.

Un'unica indicazione: diversamente dal solito i titoli non sono tutti ad ex aequo, ma divisi in due fasce, in una sorte di primo e secondo posto in coabitazione.

Prima posizione

Babylon (19 gennaio 2023)
Ma sì, ognuno ha la sua opinione su Chazelle. Divisivo lui, come polarizzante, tra chi lo ha amato e chi lo ha detestato, questo Babylon. A me per esempio ha fatto impazzire. Anche alla visione numero due, tre... 

L'ultima notte di amore (9 marzo 2023)
Film della madonna: un crime italiano sensazionale. Avere tutte queste definizioni nella stessa frase sembrava utopistico. E invece, grazie a Andrea Di Stefano (E Savino. E Caridi. E Di Leva...) l'impossibile è realizzato.

Palazzina Laf (30 novembre 2023)
Non esente da difetti, l'esordio in regia di Michele Riondino, ma ricco di quella passione civile e politica che infarciva tanto cinema dei sessanta/settanta. E questo per me vale più di qualunque incertezza. 

Adagio (14 dicembre 2023)
Altra pellicola poco fortunata e a mio avviso travisata. Sollima, che ha quota parte di responsabilità nella divulgazione del criminale nazional-popolare, qui ne racconta senza sconti il tramonto indecoroso, tra fatiscenza, povertà, puzza di morte, e... un ultimo battito di vita. 

Seconda posizione

Decision to leave (2 febbraio 2023)
Ecco spiegato ancora una volta perchè Park Chan-wook e (molto) del cinema coreano sono a livelli irraggiungibili per l'attuale industria hollywoodiana. 

Gli spiriti dell'isola (2 febbraio 2023) 
Grottesco e surreale ma anche filosofico e attuale. Le ferite emotive e fisiche dei cambiamenti radicali. Non solo quelli del rapporto tra Gleeson e Farrell, ma anche il portato della guerra civile irlandese.

Beau ha paura (27 aprile 2023)
Un trip colossale, grottesco e assurdo. Ma che rifaresti.

Oppenheimer ( 23 agosto 2023)
Per poter tornare io ad apprezzare Nolan, il regista inglese doveva trasformarsi nell' Oliver Stone dei tempi buoni. Missione compiuta.

Talk to me (28 settembre 2023)
Finalmente un horror mainstream (estraneo cioè al filone "intellettuale") che ha qualcosa da dire. Vincente l'dea della mano mummificata. Efficace l'utilizzo delle sedute come trip collettivo da droghe. Spero abbiano altro da dire, i Philippou bros. 

Asteroid City (28 settembre 2023)
Un film dal quale coi soli fermo immagine si possono ricavare quadri alla Hopper o fotografie artistiche. Come nella tradizione di casa Anderson follia e surrealismo mai fini a sè stessi ma propedeutici a spiegare un pezzo di storia (americana).

Anatomia di una caduta (26 ottobre 2023)
Un processo per omicidio che in realtà è un'indagine sulla mancata aderenza alle convenzioni sociali imperanti. Cioè il peggiore dei crimini. Sandra Huller, dopo questo e La zona d'interesse (2024) potrebbe anche smettere, viste le vette raggiunte.

The Old Oak (16 novembre 2023)
Lo metto qui non solo in quanto ultimo film (dichiarato) da Loach. Ma perchè, se epilogo doveva essere, la premiata ditta Ken the Red & Laverty lo realizza all'insegna del più convincente, retorico ed autorevole marchio di fabbrica.

lunedì 13 maggio 2024

Recensioni capate: The killer inside me (2010)


Dopo la lettura di L'assassino che è in me (qui la recensioneho scoperto del recente adattamento cinematografico del miglior libro di Jim Thompson, e ho voluto dargli una possibilità recuperando il dvd. Purtroppo, come avevo letto in giro (ma non mi fido a prescindere delle recensioni) il film è poca cosa, ed è un vero peccato, perchè il cast, a livello di nomi potenziali, a partire dalla regia di Michael Winterbottom, al normalmente bravissimo Casey Affleck, alle star Jessica Alba e Kate Hudson, prometteva bene. Purtroppo però l'esito finale lascia la sensazione di un lavoro sciatto, svogliato e di una direzione attori assente, con risultati dal demoralizzante al comico involontario, in particolar modo in relazione alle interpretazioni di Alba e Hudson, mai in parte. Anche Affleck, pur avendo in qualche modo la faccia giusta sembra capitato lì per caso. La scelta degli sceneggiatori è quella di seguire pedissequamente lo svolgimento del libro, ivi comprese le linee di dialogo, e questo film è forse la dimostrazione più emblematica di come detta opzione non sempre paghi e anzi, forse le trasposizioni più riuscite sono proprio quelle che hanno coniugato opera di riferimento e visione del regista. Qui totalmente assente. 

giovedì 2 maggio 2024

My Favorite Things, aprile 2024

ASCOLTI

AA/VV, Red hot and blue
Mick Mars, The other side of Mars
Cody Jinks, Change the game
English Teacher, This could be Texas
JJ Grey and Mofro, Olustee
Lankum, False Lankum
Mark Knopfler, One deep river
Michael Jackson, Invincible
Pearl Jam, Dark matter
Rod Stewart, Swing fever
Saturnus, The storm within
Studio Murena, Wadirum
OST, The hot spot
OST, Homeboy
The Murder Capital, Gigi's recovery


VISIONI

Una sterminata domenica (3,5/5)
Il gatto con gli stivali 2 (3,5/5)
Zamora (3/5)
Arrival (3,5/5)
C'è ancora domani (3/5)
Chi segna vince (2,5/5)
Delta (3,5/5)
Asteroid City (4/5)
Cattiverie a domicilio (3,25/5)
Povere creature! (4/5)
Civil war (4/5)
Guy Ritchie's The covenant (3/5)
The killer inside me (2,25/5)
The palace (2,75)
Nove regine (3,25/5)
The Old Oak (4/5)

in grassetto i film visti in sala

Visioni seriali

Antidisturbios: Unità antisommossa (3,75/5)
Call my agent, 2 (2,5/5)

LETTURE

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me

lunedì 29 aprile 2024

Civil war (2024)



Stati Uniti, futuro ipotetico. Impazza la guerra civile, le città sono allo stremo, la violenza dilaga, molti territori sono in mano a milizie auto-organizzate e Washington è sotto attacco. Seguiamo un gruppo di giornalisti e fotografi che decidono di raggiungere una Casa Bianca sotto assedio per un'intervista impossibile al Presidente.


Civil war non è il film che ti aspetti se pensi alle minchiate distopico apocalittiche in cui esplode tutto, caratteristiche di certo cinema hollywoodiano che una volta liquidavamo in una parola: americanata. Civil war non è il film che si aspettavano i fruitori ma-solo-se-danno-il-blockbuster della sala, che, infatti, una volta capita l'antifona (il passaparola tra loro simili) hanno disertato i cinema. No, Civil war non è decisamente il film che ti aspettavi, soprattutto non conoscendo il regista dietro al progetto, quell'Alex Garland che poco tempo fa aveva girato Men, un altro film inaspettato, folle, disturbante e metafisico, a causa del quale le persone scappavano letteralmente dalla sala  e che io, giuro, non per snobismo, ho messo tra i miei preferiti del 2022.

Peraltro, da antitrumpista convinto, devo ammettere di essermi fatto l'idea che Civil war non sia nemmeno quell'attacco diretto al pericoloso complessato (pseudo) miliardario candidato alla presidenza anticipato dai più, ci sono diversi indizi nella sceneggiatura che mi hanno portato a questa conclusione, a partire dalla decisione, che condivido, di non dare troppo spazio alle ragioni per cui alcuni Stati degli USA si sono rivoltati contro il potere centrale (tra l'altro due stati politicamente e sociologicamente agli antipodi come Texas e California), dando il via ad una rivolta che poi si è allargata, e quindi agli errori del presidente che in ogni caso si vede per poche sequenze solo nel prologo e nella conclusione del film.

Il battleground è dunque l'America, ma io, forse a causa di un'età che mi ha portato a vivere con angoscia e in tempo reale la guerra civile dei Balcani, vedendo scorrere le immagini di violenza gratuita, ingiustificata, ottusa e brutale, non ho potuto che fare una connessione immediata con quanto accaduto nell'ex Jugoslavia negli anni novanta. Certo, di molto molto americano c'è il cittadino medio con l'arsenale in casa, una condizione che lo porta ad essere più che pronto, quasi in trepidante attesa del primo conflitto possibile, un contesto che non ha pari in nessun altro Paese occidentale. 

Tuttavia, le torture inflitte dallo stupido hillbilly ad un altro americano come lui solo perchè gli è sempre stato sul cazzo ("al liceo manco mi salutava") o la sequenza più agghiacciante del film (affidata ovviamente a Jesse Plemons, chi altro?) in cui, di nuovo, il cittadino medio assume un potere di vita e di morte cui non è antropologicamente destinato, mi rimanda non ai rischi di una guerra intestina sul suolo americano, ma alle tante realmente avvenute nel passato, su terre a noi vicine (l'ex Jugoslavia, appunto) e lontane (l'Africa, il Sud Est Asiatico).

La regia di Garland è di quelle che ti lasciano immobile sulla poltrona del cinema mentre scorrono i titoli di coda (anche quelli, su un'immagine fissa che lentamente da sfocata diventa nitida, con il sottofondo di Dream baby dream degli immensi Suicide, strepitosi) a domandarti ma che cazzo ho visto. 
La direzione degli attori, l'inserimento in montaggio degli scatti fotografici in bianco e nero in puro stile reportage di guerra, le scene on the road, le inquadrature fisse, sovente più esplicative di lunghe spiegazioni, come ad esempio i primi piani della fotografa veterana Lee Smith (Kirsten Dunst) nel terzo atto del film, efficaci nel farti comprendere come il personaggio abbia raggiunto un livello di saturazione tale da non tollerare più nemmeno un istante di quella professione, di quella vita. 
E a proposito della Dunst, un'attrice che avevo perso di vista, qui ci regala quella che banalmente possiamo definire l'interpretazione della vita, spero della rinascita. Mai sopra le righe, dolente, credibile, cinica in maniera riluttante, in una parola: perfetta.

L'avrei visto subito daccapo.

lunedì 25 marzo 2024

L'ammutinamento del Caine: corte marziale (2023)


Davanti ad un tribunale militare, il capitano della marina Queeg sostiene le ragioni della denuncia al suo sottoposto, tenente Maryk, per ammutinamento, avendolo quest'ultimo sollevato dall'incarico, per presunta instabilità mentale. La corte dovrà esprimere  un giudizio, con il dibattimento affidato, per la difesa, ad un estremamente riluttante ma leale Barney Greenwald e, per l'accusa, all'aggressiva Katherine Challee. 

Confesso di non aver visto (almeno a mia memoria) nessuna delle precedenti riduzioni dell'opera teatrale di Herman Wouke. Probabilmente non avrei visto nemmeno questa, non fosse che si tratta dell'ultima regia di William Friedkin (scomparso ad agosto 2023) e, ma questo l'ho scoperto solo dai titoli di coda del film, l'ultimo ruolo dell'attore Lance Reddick (marzo 2023): una lunga carriera sia nel cinema che, in particolare, nelle produzioni televisive. Curiosamente, essendo Reddick scomparso subito dopo le riprese e la post-produzione del film, i titoli dedicano la pellicola alla sua memoria e non a quella di Friedkin.

L'ammutinamento del Caine: corte marziale pare dovesse uscire nelle sale, tant'è che viene presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia, poi però finisce in un limbo distributivo, non vede mai i cinema e arriva in sordina su Paramount plus e nelle schede del cast finisce sotto la voce film tv.

Pur ammettendo che lo stile rimanda a quel tipo di prodotto, essendo il film girato sostanzialmente in un unico ambiente, il buon cast, la messa in scena, i dialoghi, la tensione e il ritmo non c'è dubbio siano da classe superiore. 
La vicenda si apre con il tenente Greenwald (il caratterista Jason Clarke, davvero in parte), nel ruolo di avvocato difensore, che informa l'imputato di aver accettato la sua difesa per dovere, ma che, avendo potuto scegliere, non lo avrebbe fatto, per il disonore recato alla marina. 
Già qui ci troviamo di fronte ad un incipit anomalo, rispetto a tanti legal drama, al punto che il giudice Blakely chiede al tenente Maryk (Jake Lacy) se abbia intenzione di cambiare legale. Lacy viene rassicurato da Greenwald e il processo continua, tra gli interrogatori all'assalto della procuratrice Challee (Monica Raymund) e la strategia difensiva di Greenwald. In mezzo un capitano Queeg, interpretato magistralmente da Kiefer Sutherland, che, inesorabilmente, passa dal ruolo di vittima a quello di accusato.

La tecnica di Friedkin è una lectio magistralis di primi piani, campi e controcampi che assecondano l'incremento della tensione, anche grazie alle prove attoriali (segnalo quella molto espressiva della Raymund, anche lei tante serie tv - Lie to me la principale - ). La conclusione del film, non mi riferisco all'esito del processo, quanto alla coda, è l'ennesimo colpo d'autore di Friedkin, che opera un costante ribaltamento dei ruoli, tra vittime e carnefici, definendo l'integrità militare, forse anche un pò reazionaria, di Greenwald.

Da vedere. Non solo per un doveroso saluto di commiato ad un grande regista.

Paramount +


giovedì 14 marzo 2024

Recensioni capate: Un altro ferragosto


Rieccoci a Ventotene, quasi trent'anni dopo l'ultima volta (Ferie d'agosto, 1996), con la maggior parte del cast originale, orfano però di Piero Natoli e Ennio Fantastichini (hai detto niente) a replicare la "lotta di classe" virata in una commedia all'italiana che si vorrebbe nobile parente degli Scola, dei Monicelli, ma sì, anche del migliore Virzì. 
S'è già capito che non ho gradito? 
Laddove l'opera originale era un imperfetto gioiellino, che traeva dall'equilibrio tra commedia e dramma, dentro le differenze sociali/politiche dei characters, la sua forza, vale a dire che su clichè e contraddizioni di entrambi gli schieramenti ci si potevano divertire anche i berluscones (almeno quelli dotati di un minimo di senso di autocritica e umorismo) e la malinconia di fondo era centrata sull'infelicità di esistenze gettate in pasto alle convenzioni sociali/morali, qui, per far ridere, Virzì deve ricorrere alle maschere di un De Sica in versione cinepanettone e per toccare le corde emotive far leva sulla tragedia della morte. Sprecatissimi, a mio avviso, Orlando e la Morante, eccessivamente sopra le righe un comunque bravo Marchioni, ma se la migliore prova attoriale rischia di essere quella di Sabrina Ferilli, compagni abbiamo un problema. 


Al cinema