Cosa si dice dei film noir/crime/polizieschi/action? Che se azzecchi il villain sei a metà dell'opera. La lezione è stata ampiamente metabolizzata dagli studios che ai villain dei comics sono arrivati a dedicare addirittura dei solo cinematografici, dalle fortune alterne. Nella serie tv The Penguin i villain sono due, e sono entrambi strepitosi. Il Pinguino, appunto, sideralmente lontano dalla caratterizzazione dei Batman televisivi dei sessanta o da quella di Tim Burton (che da quella visione pop pescava, aggiungendoci l'immancabile tocco gotico), interpretato (come nell'ultimo film) da un eccellente Colin Farrell, sottoposto a ore di trucco prostatico, e dalla (per me) rivelazione Cristin Milioti, nei panni della figlia del defunto boss Falcone, Sofia. Per certi versi è lei la vera protagonista, dolente, furiosa, umiliata da chi più di tutti avrebbe dovuto proteggerla. Anche Oswald Cobb/The Penguin è un personaggio che si farà ricordare, traditore patologico, narcisista, affabulatore, cinico e omicida fino all'ultimo. Una serie crime a tutto tondo che nulla a che vedere con i comic movie (il collegamento con The Batman si riduce all'incipit dell'inondazione provocata dall'Enigmista) e che si concentra su dinamiche malavitose universali crude e dark. Da vedere.
giovedì 21 novembre 2024
lunedì 4 novembre 2024
MFT, Settembre e Ottobre 2024
ASCOLTI
Blood Incantation, Absolute elsewhere
JD McPherson, Nite owls
King of killers (1,5/5)
lunedì 28 ottobre 2024
Recensioni capate: Megalopolis
lunedì 21 ottobre 2024
The apprentice - Alle origini di Trump
In premessa lasciami esporre un concetto che mi guida in relazione ai film che si pongono un obiettivo di denuncia politico-sociale: non sempre l'encomiabile proposito degli autori si traduce in cinema di qualità. Si potrebbero fare davvero tanti esempi di pellicole "impegnate" che si sono rivelate mediocri o proprio brutte. In ogni caso, specialmente in un periodo storico come quello che stiamo attraversando, con la marea nera delle peggiori destre che sta avanzando come il Nulla de La storia infinita, è senza dubbio apprezzabile il coraggio di esporsi.
In questo caso di esporsi con una persona che, se da qui a circa due settimane dovesse tornare ad essere presidente degli Stati Uniti (prospettiva purtroppo probabile, visto un meccanismo elettorale risalente al 1787), ha già ampiamento anticipato che il suo sarà un governo di "retribution", vale a dire ritorsivo e vendicativo nei confronti dei suoi avversari. E di certo Ali Abbasi, regista iraniano naturalizzato danese (si parla tanto di Holy spider, grande film, meno del disturbante, gotico, fiabesco Border) di motivi per scatenare la faida trumpiana, con questo The apprentice, ne offre tanti, all'ossigenato ex palazzinaro newyorkese.
Com'è noto, la storia prende in esame la formazione di Trump, partendo dalla New York sporca e decadente della metà dei settanta, fino alla notorietà e alla costruzione della Trump Tower (chiaro esempio di compensazione fallica, se mi passi la battuta). Molto spazio, nella fase giovanile del futuro presidente, è data alla figura di Roy Cohn, ex procuratore sciovinista e maccartista nei cinquanta e successivamente avvocato di successo che usa spregiudicatamente ricatti e minacce. Lo impersona Jeremy Strong, un attore che, al netto della notorietà derivata da Succession, è probabilmente qui al suo primo ruolo davvero caratterizzato e non butta via l'occasione, con una prova che si fa ricordare. Lo stesso vale per Sebastian Stan che, soprattutto nella seconda parte del film, quella in cui emerge il Trump cinico e spietato che abbiamo imparato a conoscere, ci regala un'interpretazione maiuscola, eludendo con bravura il rischio parodia.
Dopo tutto, come ci ricorda Ellroy (repubblicano dichiarato): l'America non è mai stata innocente.
La sceneggiatura (Sherman) ci racconta in parte fatti storici acclarati, come il rifiuto di Trump affittare case agli afroamericani, e in parte decide di forzare su alcune vicende controverse e mai del tutto confermate, dagli aspetti narcisistici, come quello della liposuzione e dell'intervento tricologico, a quelli ben più gravi e penalmente rilevanti, come lo stupro ai danni della prima moglie Ivana (che la stessa prima denuncia e poi, molti anni dopo, ritratta) o il tentativo di far sottoscrivere al padre con problemi neurocognitivi un atto amministrativo per far mettere a Donald le mani sul fondo di famiglia e coprire così i suoi tanti buffi.
Il film vola senza momenti di stanca, infatti, al suo epilogo dopo due ore, quando si arriva al Trump spietato, cinico e senza scrupoli che detta la sua biografia ad un giornalista, vorresti averne ancora.
The apprentice, arrivato nelle sale dopo battaglie legali che hanno tentato di impedirne la diffusione, pare sia stato fin qui un flop (annunciato), la speranza è che lo streaming gli restituisca la visibilità che penso meriti, e non perchè possa essere uno strumento per la sconfitta elettorale di Trump (al contrario, io penso che in questo senso l'operazione sia controproducente), ma perchè ci troviamo di fronte ad un titolo che salda impegno e qualità. E come scrivevo in premessa, non capita spesso.
martedì 15 ottobre 2024
Confidenza
Pietro Vella è un professore di liceo benvoluto da tutti per la sua capacità di appassionare e coinvolgere gli alunni. Durante un ultimo anno è colpito in particolare da Teresa, una sua studentessa, forse non la più seducente, ma molto promettente, dotata di un'intelligenza vivace, e dalla forte personalità. Un anno dopo la maturità, Pietro viene a sapere che Teresa, contrariamente a quanto tutti si aspettavano, ha "mollato" e fa la cameriera in un ristorante. Egli la cerca e i due si mettono insieme. Qualche tempo dopo, allo scopo di cementare indissolubilmente la loro unione, Teresa gli propone di confidarsi vicendevolmente il segreto più inconfessabile e recondito che custodiscono. Pietro è perplesso, ma cede. Quella rivelazione cambierà per sempre le loro vite.
Al di là del gusto personale e della soggettività, elementi che di norma contribuiscono a plasmare il giudizio che esprimiamo su quasi ogni opera, ci sono delle forme d'arte (film, in questo caso) che più di altre agiscono sul nostro io più sommerso, stimolandoci e facendoci riflettere, condizionando la nostra opinione al punto da condurla oltre l'esclusivo merito "oggettivo".
La pellicola indaga nel profondo le nostre ipocrisie, le superfici dietro alle quali nascondiamo vanità e bisogno di approvazione, facendo emergere la nostra vera essenza, meschina, egoista, prevaricatrice e intimamente arrogante.
Quasi tutte le ipotesi si orientano verso crimini violenti legati alla sfera sessuale o, peggio, alla pedofilia (qualche tentativo, a mio avviso forzato, di rafforzare questa tesi ha cercato conferme scandagliando il rapporto tra Pietro e la figlia bambina), altre suggestioni avvalorano il sospetto di parricidio, a causa di una particolare interrogazione scolastica, che però avviene prima della rivelazione. Insomma tutti siamo caduti nella trappola narrativa degli autori o, per meglio dire, ci siamo concentrati sul dito rappresentato dell'aspetto tipicamente thriller del film e non sulla luna delle autenticità delle relazioni che viviamo quotidianamente, vero focus del film.
Difetti ne ha, pochi, e confinati al comparto tecnico, relativi al sonoro (l'audio basso dei dialoghi che a volte ne compromette la comprensione, problema che ho già riscontrato in altre recenti pellicole italiane), e al fastidioso trucco prostetico per l'invecchiamento, in particolare di Germano e Puccini: personalmente avrei usato degli attori diversi, dell'età necessaria ai salti temporali, come per Lacci, la precedente collaborazione Luchetti/Starnone, che riesce nell'impresa di farci credere che Alba Rohrwacher da anziana diventi Laura Morante.
Un ottimo film, dunque, che nel suo essere terapeutico trova la spinta ad elevarsi e diventare, per Bottle of smoke, uno dei migliori dell'anno.
lunedì 30 settembre 2024
Limonov (libro) + Limonov, The ballad (film)
Come spesso mi accade con le opere (siano esse film, libri o dischi) che mi prendono visceralmente, la sola idea di elaborare una recensione mi spaventava. Ora, avendo nel frattempo visto anche la trasposizione cinematografica, provo a prendere il coraggio a due mani e a sintetizzare in un unico scritto le sensazioni che i due titoli mi hanno trasmesso.
La biografia romanzata di Carrere ci racconta di un personaggio che si stenta a credere essere reale: spigoloso, che trae la sua forza da un risentimento ad ampio spettro (contro elite, establishment, sistema sovietico, ma anche veicolato all'opposto, contro chi a questi poteri si oppone) con una sconfinata autostima, un'indubbia incoscienza e sprezzo delle conseguenze. Un personaggio che, da sovietico in terra sovietica si oppone al regime dell'URSS frequentando poeti e artisti dissidenti (che intimamente disprezza, a partire da Solzenycin) ma che, quando diventa un esule, si trasforma in un intransigente nazionalista a difesa del politburo.
Carrere ci racconta di un personaggio che antepone le esperienze dirette, anche le più sordide, e l'azione - la rivoluzione! - alle chiacchere da salotti liberal. Concetto questo portato fino alle estreme conseguenze, come la militanza nell'esercito serbo durante la guerra dei balcani nei primi novanta, con le famigerate milizie di Karadzic e la fondazione, assieme a quel Aleksandr Dugin che diventerà fidato consigliere di Putin, di un movimento "rossobruno" - tristemente in anticipo sui tempi attuali - : il Partito Nazional Bolscevico (nazbol) in cui riunisce soprattutto giovani emarginati che creano con lui un legame ombelicale, al punto di essere pronti a tutto per il loro leader, fino a morire o farsi la galera siberiana, dentro un furore epico che li ammanta e li acceca, ma, al tempo stesso gli offre una ragione di vita. Anche a causa di questa forza politica eversiva, Limonov sconta diversi anni di galera, accrescendo così (nell'ottica di cui sopra) il proprio mito. Esce in tempo per andare a combattere per Putin e la popolazione russofona in Ucraina, nel Donbass, nel 2014
Insomma Limonov è un romanzo a mio avviso imperdibile, nonostante (o forse soprattutto) sia in buona parte non condivisibile per la rilettura cinica e discutibile di parte dei fenomeni storici del novecento, ma che fa pensare, offrendo un punto di vista scomodo e per questo prezioso.
Sul film di Kirill Serebrennikov sarò molto più capato. Posta la difficoltà dieci dell'operazione, penso che il risultato sia sufficientemente apprezzabile, anche nelle sue parti pop. Ben Wishaw è in parte, ma senza gridare al miracolo, come ho letto in giro. A mio avviso vale maggiormente la messa in scena complessiva di Serebrennikov che l'interpretazione dell'attore inglese. La pellicola peraltro ha vissuto una gestazione complessa e articolata, iniziata in Russia e poi, a causa della guerra in Ucraina, la produzione si è interrotta per poi continuare diversi mesi dopo in Lettonia, dove sono stati incredibilmente riprodotti gli esterni di New York.
Come sarebbe potuto essere realizzato meglio, un film così difficile? A mio avviso, ma capisco sia un suggerimento anti commerciale, con almeno un'ora/un'ora e mezza in più di girato, magari dividendo il film in due parti, oppure attraverso una mini serie tv. Penso che vedere l'infanzia di Eduard e la parte come miliziano serbo sia determinante per una fotografia nitida del personaggio.
Anche così non mi lamento, sarebbe potuta andare molto peggio.
lunedì 23 settembre 2024
Rebel Ridge
lunedì 9 settembre 2024
Blink twice
Slater King, un affascinante imprenditore di successo con un passato da farsi perdonare a causa dell'emersione pubblica di comportamenti violenti ed eccessivi, si è ritirato da tempo dalla scena pubblica. In occasione di una festa in suo onore, conosce Frida (che lo venera) e la sua amica e le invita ad unirsi a lui e al suo entourage su di un'isola sperduta di sua proprietà. Le amiche accettano e una volta arrivate lì, in una condizione di lusso sfrenato, tra sostanze psicotrope e bizzarri compagni di viaggio, tutto sembra idilliaco come sui rotocalchi del parrucchiere. Ovviamente non è così.
Già cantante e attrice, Zoe Kravitz, aggiunge al suo curriculum di artista anche la regia, e lo fa in maniera tutt'altro che banale, con un film di genere (di cui co-firma anche soggetto e sceneggiatura), girato con sorprendente personalità, che mette al centro l'intrigo, il terrore e la violenza, ma senza lesinare il messaggio femminista, affidato in particolare a Sarah (una convincente Adria Arjona), che accompagna la protagonista Frida (Naomi Ackie) alla ricerca della verità, e la critica alla società moderna nella quale siamo oltre i tre minuti di popolarità preconizzati da Warhol, e dove ognuno vuole una fetta della high life dei vip che legge su Chi e guarda a Verissimo.
Tuttavia, analogamente a Trap, altro film che ho apprezzato e che spero di riuscire a recensire, è un attore maturo che ha solo sfiorato l'enorme popolarità e che di norma non è incline ai ruoli da villain, a regalarci un'interpretazione indimenticabile nella sua ferocia. Se nell'ultima pellicola di Shyamalan era Josh Hartnett, qui è Channing Tatum a dare corpo all'imprenditore miliardario Slater King, nel cui esclusivissimo cerchio magico tutti vogliono entrare, anche a costo di perdere l'umanità o, all'opposto, per dare libero sfogo ai propri impulsi più reconditi, nella certezza di farla franca. Nella finzione del film grazie ad un particolare escamotage chimico, e, purtroppo, nella realtà in virtù della protezione garantita da livelli di potere economico inimmaginabile.
Il film vive del consueto patto non scritto tra regista e spettatori sul quale vive l'intrattenimento di genere: concedetemi qualche elemento di inverosimiglianza e vi ripagherò con una buona dose di thrilling e suspence. In Blink twice non tutto ha logica ed è verosimile, ma la Kravitz gestisce bene la tensione crescente e il mistero, disseminando la narrazione di frammenti di indizi visivi, trasmettendo un malessere costante, anche nelle scene apparentemente all'insegna del divertimento della combriccola. C'è da dire che il risultato è raggiunto anche grazie anche alle musiche e soprattutto ad una superba fotografia, che ammanta le location di una luce sempre minacciosa, sia nelle scene di giorno che in quelle di notte, negli spazi aperti e in quelli chiusi. Imprevedibile il plot twist del pre-finale così come inaspettata la conclusione del film, a conti fatti forse la trovata in assoluto meno realistica dell'opera, ma che, a mio parere, in virtù del patto con lo spettatore di cui sopra, ci appare come il più congruo dei contrappesi.
giovedì 5 settembre 2024
MFT, luglio e agosto 2024
The longest nite (vedi recensione : 3,75/5)
La morte è un problema dei vivi (3,75/5)
lunedì 26 agosto 2024
Becky (2020) / The wrath of Becky (2023)
Nel sequel, dopo i fatti del primo film, la sfiga continua a perseguitare Becky (ma sarà davvero sfortuna?), mettendo sulla sua strada un gruppo militare anti governativo che ha progetti eversivi.
Sarebbe bastata una frase per sintetizzare questi due film ignorantissimi: if you want blood you've got it! Infatti, la trama delle due pellicole, esile come carta velina e altrettanto inverosimile, serve unicamente all'ipotetico spettatore medio (cioè, spero, non simpatizzante di terroristi americani o nazisti) ad urlare di piacere e lanciare in aria i suoi pop-corn mentre assiste alla mattanza perpetrata da una ragazzina di tredici anni contro montagne umane tatuate di svastiche. Insomma, una specie di Mamma ho perso l'aereo però con trappole tipo quelle, sadicissime, di Itchy & Scratchy (Grattachecca e Fichetto) dei Simpsons. Nel primo capitolo da segnalare l'interpretazione, apprezzabile in un ruolo da badass villain, del comico Kevin James.
Il sequel, se vogliamo è ancora più stimolante, visto che gli sceneggiatori mettono contro Becky una banda armata americana terroristica, i Noble Men, che vuole attentare alla vita della senatrice democratica Hernandez. Tradotto, i Proud Boys o una delle tante milizie a cui si rivolge Trump (lo fece anche in occasione dell'attacco a Capitol Hill), e la senatrice Ocacio Cortez, loro obiettivo primario tra i democratici. Anche qui tutto è eccessivo e oltre ogni verosimiglianza, ma anche qui ci si diverte come bambini davanti a tanto splatter (che mi è parso tutto artigianale, e non in CG) e a una manciata di sequenze di irresistibile black comedy.
Insomma, i due capitoli di Becky - non ho citato la protagonista, Lulu Wilson, con la giusta faccia che oscilla tra ragazza della porta accanto e stronza insopportabile - , sono un'intrattenimento ad alto tasso di ignoranza, ma cattivo e fumettoso, con il quale passare, complessivamente, meno di tre ore di divertimento rigorosamente gore.
Prime Video (The wrath of Becky)
lunedì 12 agosto 2024
Recensioni capate: Letto nr 6 (2019)
Raiplay
lunedì 29 luglio 2024
Piggy (2022)
Sara, adolescente di una zona rurale della Spagna (Estremadura, al confine con il Portogallo) è costantemente bullizzata dalle coetanee per il suo aspetto fisico. Anche la sua amica d'infanzia, Claudia, pur non rendendosi direttamente responsabile degli atroci scherzi a cui è sottoposta Sara, non fa nulla per arginare le odiose iniziative di scherno delle amiche. Sara vive quindi una situazione di solitudine e angoscia e osserva i coetanei divertirsi dalla vetrata della macelleria di famiglia. Frequenta la piscina pubblica solo a pomeriggio inoltrato, quando gli altri se ne sono andati. Proprio in una di queste occasioni accadrà qualcosa che cambierà radicalmente la vita di Sara, delle sue aguzzine e dell'intera piccola comunità.
La regista Carlota Pereda estende un suo corto del 2018 trasportandoci nell'orrore più grande che possiamo conoscere. Non quello di un assassino violento e spietato, ma della discriminazione quotidiana, ottusa, inspiegabile e interminabile che si riversa su quanti non corrispondano ai canoni consumistico-sociali di bellezza. L'orrore insomma di una vita che si alimenta quotidianamente di derisione e risentimento, di un'autostima falcidiata e di una percezione di totale incomprensione a partire, purtroppo, dal nucleo familiare, lontano e assente, anche se fisicamente vicinissimo.
La protagonista, Laura Galàn, all'anagrafe trentottenne, è straordinaria nel dare corpo ad un'adolescente e, francamente, le critiche sull'età dell'attrice, magari espresse da chi, per anni, si è bevuto universitari americani interpretati da trentenni, fanno ridere. Della perfidia delle coetanee che riversano, quotidianamente e senza ragione, rabbia e odio nei confronti di Sara, con esiti che, da queste parti sono sovente il suicidio della vittima e negli States stragi scolastiche, sono piene le cronache. E la figura del serial killer che, probabilmente avendo subito lo stesso inferno della vittima, trova uno scopo non solo nella mattanza ma nella protezione di chi, ai suoi occhi, appare come un suo simile, è l'incarnazione di una sorta di giustizia poetica che tiene benissimo in piedi il film, al netto degli inciampi della parte di sceneggiatura prettamente thriller.
L'opera della Pereda spiega insomma molto bene come, a volte, nella società dell'individualismo, l'orrore sia perpetrato dai normali e la compassione, al contrario, sia appannaggio dei mostri.
P.S. Quanto ci sarebbe stato bene, ad accompagnare le immagini del terzo atto del film, il nichilismo di un brano come Piggy, dei Nine Inch Nails?
P.P.S. Allo stesso modo, quanto è fuori luogo il claim della locandina italiana?
Su Prime Video (a noleggio)
lunedì 8 luglio 2024
The longest nite (1998)
Mentre Hong Kong si prepara all'handover (il passaggio da colonia del Regno Unito alla Cina), la regione di Macao vive una fase delicata dei rapporti tra le organizzazioni malavitose. C'è una taglia da cinque milioni sulla testa dei due boss locali che fa gola a molti killer dentro e fuori il territorio e, soprattutto, nessuno conosce chi abbia attivato questa ricompensa. Il poliziotto violento e corrotto Sam e il misterioso Tony si fronteggiano nella notte decisiva per evitare (o scatenare) una sanguinosa guerra tra bande.
I due protagonisti principali, Tony Leung Chiu-Wai (tra gli altri Hard boiled, Chinese odyssey, Infernal affair) e Sean Lau, attori molto noti in patria, prima di questo film non avevano prestato la loro arte a personaggi negativi che si spingono oltre la figura dell'anti-eroe, laddove le loro azioni di eroico non hanno davvero nulla e anzi.
lunedì 1 luglio 2024
My Favorite Things, Maggio Giugno 2024
Kill Boksoon (3/5)
Rambo III (1/5)
Visioni seriali
Il re (2,75/5)
martedì 21 maggio 2024
I miei film preferiti del 2023 (beh, che c'è?)
lunedì 13 maggio 2024
Recensioni capate: The killer inside me (2010)
Dopo la lettura di L'assassino che è in me (qui la recensione) ho scoperto del recente adattamento cinematografico del miglior libro di Jim Thompson, e ho voluto dargli una possibilità recuperando il dvd. Purtroppo, come avevo letto in giro (ma non mi fido a prescindere delle recensioni) il film è poca cosa, ed è un vero peccato, perchè il cast, a livello di nomi potenziali, a partire dalla regia di Michael Winterbottom, al normalmente bravissimo Casey Affleck, alle star Jessica Alba e Kate Hudson, prometteva bene. Purtroppo però l'esito finale lascia la sensazione di un lavoro sciatto, svogliato e di una direzione attori assente, con risultati dal demoralizzante al comico involontario, in particolar modo in relazione alle interpretazioni di Alba e Hudson, mai in parte. Anche Affleck, pur avendo in qualche modo la faccia giusta sembra capitato lì per caso. La scelta degli sceneggiatori è quella di seguire pedissequamente lo svolgimento del libro, ivi comprese le linee di dialogo, e questo film è forse la dimostrazione più emblematica di come detta opzione non sempre paghi e anzi, forse le trasposizioni più riuscite sono proprio quelle che hanno coniugato opera di riferimento e visione del regista. Qui totalmente assente.
giovedì 2 maggio 2024
My Favorite Things, aprile 2024
Il gatto con gli stivali 2 (3,5/5)
Visioni seriali
lunedì 29 aprile 2024
Civil war (2024)
Stati Uniti, futuro ipotetico. Impazza la guerra civile, le città sono allo stremo, la violenza dilaga, molti territori sono in mano a milizie auto-organizzate e Washington è sotto attacco. Seguiamo un gruppo di giornalisti e fotografi che decidono di raggiungere una Casa Bianca sotto assedio per un'intervista impossibile al Presidente.
Civil war non è il film che ti aspetti se pensi alle minchiate distopico apocalittiche in cui esplode tutto, caratteristiche di certo cinema hollywoodiano che una volta liquidavamo in una parola: americanata. Civil war non è il film che si aspettavano i fruitori ma-solo-se-danno-il-blockbuster della sala, che, infatti, una volta capita l'antifona (il passaparola tra loro simili) hanno disertato i cinema. No, Civil war non è decisamente il film che ti aspettavi, soprattutto non conoscendo il regista dietro al progetto, quell'Alex Garland che poco tempo fa aveva girato Men, un altro film inaspettato, folle, disturbante e metafisico, a causa del quale le persone scappavano letteralmente dalla sala e che io, giuro, non per snobismo, ho messo tra i miei preferiti del 2022.
Peraltro, da antitrumpista convinto, devo ammettere di essermi fatto l'idea che Civil war non sia nemmeno quell'attacco diretto al pericoloso complessato (pseudo) miliardario candidato alla presidenza anticipato dai più, ci sono diversi indizi nella sceneggiatura che mi hanno portato a questa conclusione, a partire dalla decisione, che condivido, di non dare troppo spazio alle ragioni per cui alcuni Stati degli USA si sono rivoltati contro il potere centrale (tra l'altro due stati politicamente e sociologicamente agli antipodi come Texas e California), dando il via ad una rivolta che poi si è allargata, e quindi agli errori del presidente che in ogni caso si vede per poche sequenze solo nel prologo e nella conclusione del film.
Il battleground è dunque l'America, ma io, forse a causa di un'età che mi ha portato a vivere con angoscia e in tempo reale la guerra civile dei Balcani, vedendo scorrere le immagini di violenza gratuita, ingiustificata, ottusa e brutale, non ho potuto che fare una connessione immediata con quanto accaduto nell'ex Jugoslavia negli anni novanta. Certo, di molto molto americano c'è il cittadino medio con l'arsenale in casa, una condizione che lo porta ad essere più che pronto, quasi in trepidante attesa del primo conflitto possibile, un contesto che non ha pari in nessun altro Paese occidentale.
Tuttavia, le torture inflitte dallo stupido hillbilly ad un altro americano come lui solo perchè gli è sempre stato sul cazzo ("al liceo manco mi salutava") o la sequenza più agghiacciante del film (affidata ovviamente a Jesse Plemons, chi altro?) in cui, di nuovo, il cittadino medio assume un potere di vita e di morte cui non è antropologicamente destinato, mi rimanda non ai rischi di una guerra intestina sul suolo americano, ma alle tante realmente avvenute nel passato, su terre a noi vicine (l'ex Jugoslavia, appunto) e lontane (l'Africa, il Sud Est Asiatico).
La direzione degli attori, l'inserimento in montaggio degli scatti fotografici in bianco e nero in puro stile reportage di guerra, le scene on the road, le inquadrature fisse, sovente più esplicative di lunghe spiegazioni, come ad esempio i primi piani della fotografa veterana Lee Smith (Kirsten Dunst) nel terzo atto del film, efficaci nel farti comprendere come il personaggio abbia raggiunto un livello di saturazione tale da non tollerare più nemmeno un istante di quella professione, di quella vita.
lunedì 25 marzo 2024
L'ammutinamento del Caine: corte marziale (2023)
Confesso di non aver visto (almeno a mia memoria) nessuna delle precedenti riduzioni dell'opera teatrale di Herman Wouke. Probabilmente non avrei visto nemmeno questa, non fosse che si tratta dell'ultima regia di William Friedkin (scomparso ad agosto 2023) e, ma questo l'ho scoperto solo dai titoli di coda del film, l'ultimo ruolo dell'attore Lance Reddick (marzo 2023): una lunga carriera sia nel cinema che, in particolare, nelle produzioni televisive. Curiosamente, essendo Reddick scomparso subito dopo le riprese e la post-produzione del film, i titoli dedicano la pellicola alla sua memoria e non a quella di Friedkin.
L'ammutinamento del Caine: corte marziale pare dovesse uscire nelle sale, tant'è che viene presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia, poi però finisce in un limbo distributivo, non vede mai i cinema e arriva in sordina su Paramount plus e nelle schede del cast finisce sotto la voce film tv.
La vicenda si apre con il tenente Greenwald (il caratterista Jason Clarke, davvero in parte), nel ruolo di avvocato difensore, che informa l'imputato di aver accettato la sua difesa per dovere, ma che, avendo potuto scegliere, non lo avrebbe fatto, per il disonore recato alla marina.
Da vedere. Non solo per un doveroso saluto di commiato ad un grande regista.
Paramount +
giovedì 14 marzo 2024
Recensioni capate: Un altro ferragosto
Laddove l'opera originale era un imperfetto gioiellino, che traeva dall'equilibrio tra commedia e dramma, dentro le differenze sociali/politiche dei characters, la sua forza, vale a dire che su clichè e contraddizioni di entrambi gli schieramenti ci si potevano divertire anche i berluscones (almeno quelli dotati di un minimo di senso di autocritica e umorismo) e la malinconia di fondo era centrata sull'infelicità di esistenze gettate in pasto alle convenzioni sociali/morali, qui, per far ridere, Virzì deve ricorrere alle maschere di un De Sica in versione cinepanettone e per toccare le corde emotive far leva sulla tragedia della morte. Sprecatissimi, a mio avviso, Orlando e la Morante, eccessivamente sopra le righe un comunque bravo Marchioni, ma se la migliore prova attoriale rischia di essere quella di Sabrina Ferilli, compagni abbiamo un problema.