domenica 30 novembre 2008

Vienna!


Domani si vola con la famiglia a Vienna (via Bratislava) per un'andata/ritorno di 36 ore. Rispetto alla precedenta toccata e fuga di settembre a Brussels, stavolta ci siamo allargati, e ci regaliamo una notte fuori. Non senza un pò di vergogna, voleremo ancora sulle ali della Ryanair, per un totale di 45 euro in tre.

Non l'ho detto fino all'ultimo per scaramanzia, visto che l'anno scorso lo stesso viaggio è saltato all'ultimo, e anche quest'anno, con la neve, qualche complicazione c'è stata.


A mercoledì.

MFT, novembre 2008

ALBUM

The Mavericks, Live in Austin
Pain, Cynic paradise
Hank III, Damn righ rebel proud
AC/DC, Black ice
Kings of leon, Only by the night
Ray LaMontagne, Gossip in the grain
Gaslight anthem, The '59 sound
Ryan Adams & The Cardinals, Cardinology
The Boxmasters, omonimo
Frank Zappa, You can't do that on stage anymore
Vinicio Capossela, Da solo
The (international) Noise Conspiracy, The cross of my calling
Mavis Staples, Live - Hope at the Hideout
Jimmy Smith, Got my mojo workin'/Hoochie coochie man
IAM, L'ecole du micro d'argent


TRACKS

last man standing, Ryan Shupe
when it rains, Eli young band
bad blood, Supergrass
lazarus on down, Tom Morello & Serj Tankian
fuel, Metallica
follow me, Pain
irs, Guns n' roses
for today i'm a boy, Anthony and the johnson
never miss a beat, Kaiser Chiefs
hey world, Michael Franti
better than this, Keane
workin on a dream, Bruce Springsteen
well well well, Grace Jones
all hope is gone, Slipknot
because of your love, Kenny Chesney
workin' for a livin', Huey Lewis
vita rubina, Moltheni


Convergenze


Anch'io, come lafolle+jumbolo, adoro Vita Rubina di Moltheni.

venerdì 28 novembre 2008

La scuola della violenza

Torno a postare un commento di Michele Serra, stavolta molto breve, ma sempre efficace.

L' AMACA
di MICHELE SERRA

Ci sono cose che già si sanno, o perlomeno si intuiscono. Ma vederle nero su bianco, confermate e dimostrate, lascia ugualmente di stucco. Ieri questo giornale ha dato giustamente largo spazio a uno studio realizzato dall' istituto Demos in collaborazione con l' Osservatorio di Pavia. Lo studio dice questo: la paura del crimine, che tanta parte ha avuto nell' ultimo esito elettorale, non si fonda su dati reali. I crimini sono in calo. In aumento esponenziale, invece, è stata la quantità di cronaca nera diffusa dalla televisione: i telegiornali Mediaset al primo posto, il Tg3 il meno zelante in questo mercato dello spavento. L' overdose di notizie ansiogene riguarda l' intero 2007 e il primo semestre del 2008. Negli ultimi mesi (dopo le elezioni) la cronaca nera nei telegiornali è drasticamente scemata. Lo studio aggiunge, ed è quasi pleonastico, che paura e insicurezza sono sentimenti direttamente proporzionali al numero di ore che si trascorrono davanti alla televisione. Chi ne vede molta è spaventatissimo. Chi ne vede poca lo è assai meno, probabilmente anche perché esce più spesso di casa e ha dunque modo di farsi un' idea reale, empirica e personale, di quello che accade. Che la paura fosse un' arma politica già lo si sapeva. Che la sua diffusione fosse così sapientemente pilotata lo si poteva solo sospettare. Ora è una certezza.

La Repubblica del 23.11.08

Quiero volver



Sul disco dal vivo Live in Austin, i miei adorati Mavericks, di fronte ad un pubblico in delirio, eseguono la miglior versione mai sentita di Volver volver, classico messicano ripescato per la prima volta dai Los Lobos. Lancio come di consueto la mia sfida: provate ad ascoltarla senza cantarla, se ci riuscite!

Volver Volver

Este amor apasionado, anda todo alborotado ,
por volver.
voy camino a la locura y aunque todo me tortura,
se querer.

Nos dejamos hace tiempo
pero me llego el momento
de perdertu
tenias mucha razon,
le hago caso al corazon y me muero
por volver'

Y volver volver, volver a tus brazos otra vez,
llegare hasta donde estes
yo se perder,yo se perder, quiero volver, volver, volver.

'Nos dejamso hace tiempo
pero me llego el momento
de perdertu
tenias mucha razon,
le hago caso al corazon
y me muero por volver.

'Y volver volver, volver a tus brazos otra vez,
llegare hasta donde estes yo se perder,
yo se perder, quiero volver,
volver, volver.

mercoledì 26 novembre 2008

Pain (and pleasure)


Non li conoscevo nemmeno per sentito dire, gli svedesi Pain, nonostante una carriera che ho scoperto essere già lunghetta, e con il loro deus ex machina, Peter Tägtgren, già produttore di band quali Celtic Frost, Dimmu Borgir e Children of Bodom. Un tipetto inserito insomma.

Questo Cynic paradise, che ho scovato grazie ad una recensione su RockHard, è un insolito e convincente mix tra sound industrial metal, sugli insegnamenti dei soliti Nine Inche Nails e Ministry, e sonorità techno, intese come stile da discoteca. Il lavoro appare (anche a me, che amo poco entrambi gli stili) una riuscita coniugazione tra le diverse anime che concorrono a comporlo, con alcuni degli undici pezzi contenuti, sbilanciati sulla prima (I’m going in; Monkey buisness; No one knows), altri smaccatamente dance floor (su tutti Follow me, che si avvale della partecipazione della cantante dei Nightwish, Annette Olzon ) , e alcune melodie pop ( Have a drink on me) . Quello che davvero funziona nel lavoro, è l’amalgama che la band è riuscita a creare, producendo un disco fruibile per tutti, e non solo per i fans del genere (o dei generi).

Un disco divertente, senza riempitivi, piuttosto originale, che funge da ponte tra due mondi finora distinti e separati.
L'ideale per la guida notturna in condizioni estreme, quando il caffè non basta a tenere gli occhi aperti sulla strada.

lunedì 24 novembre 2008

I giorni dell'ira


A diversi mesi dalla lettura del Dies Irae di Genna, cerco di raccogliere e mettere insieme le sensazioni che mi ha lasciato, cosa non semplice, se è vero che finora non sono riuscito mai a strutturare decentemente una reazione a quella lettura.

“Il Dies Irae”, così come lo chiama il suo autore, è un opera per certi versi monumentale. Un libro che ha richiesto a Genna una gestazione lunga una vita. Un faldone di appunti e correzioni in costante crescita, che a un certo punto avrebbe potuto anche non vedere mai la luce per eccesso di materiale.

E’ un libro doloroso, dopo le prime venti pagine sulla tragedia di Alfredino Rampi l’ho riposto e non l’ho più toccato per mesi, tanto mi aveva scosso la spietata ricostruzione di quella sofferenza di un’essere di pochi anni di vita. Il lavoro di Genna , per certi versi, non mantiene quello che promette, dal punto di vista del romanzo di denuncia storica, alla Ellroy o alla DeLillo (scusate, cito ancora loro in un post sull’autore italiano). Si ferma, non affonda, forse non può farlo. Semina dubbi a piene mani, non spiega, non completa la ricostruzione, alla fine forse non serve nemmeno, sappiamo fare uno più uno?

Il libro è diviso in quattro parti che si rincorrono. A fare da filo conduttore c’è Il Bambino, Alfredino Rampi, usato come strumento per depistare, come sliding door per cambiare strumentalmente la storia d’Italia. Dal suo ritrovamento in fondo al pozzo artesiano in poi, la politica, il malaffare, i primi articoli sulla P2 e Gelli, che cominciavano ad impregnare i media, sono state spazzate via, per molto tempo.


Poi c’è l’autobiografia di Genna, feroce e priva di autoindulgenza, che si intreccia con quella di Monica e della sua famiglia, borghesi benestanti milanesi e di Paola, tossica italiana dal passato agghiacciante che attraversa l’Europa come uno spettro gira una casa abbandonata in cerca di giustizia.

Non è un libro facile, e forse non è nemmeno un capolavoro, tutto sommato. Di certo leggendolo, ed entrando nella vita del suo autore, un po’ mi sono vergognato della mia recensione di Nel nome di Ismael, evidentemente troppo superficiale. Quel libro andrebbe riletto alla luce delle rivelazioni contenute in questo.

Qualcuno tra i lettori del blog ha questo tomo tra le mani, ma non trova il tempo o la predisposizione d’animo (serve anche quella, ve l’assicuro) per leggerlo. Peccato perché Il Dies Irae è uno di quelle forme d’arte verso la quale mi piacerebbe confrontarmi a lungo con compagni di lettura.








Qui trovate un intero sito dedicato al libro.



E qui tutto il primo capitolo.




sabato 22 novembre 2008

Once upon a time, atri commenti

Il post precedente sulle favole altro non era che uno scherzo, un modo per dileggiare probabilmente non tanto i classici ma la fissa che avevano i genitori per quelle storie. Ha prodotto però, oltre ai commenti allegati, un fitto scambio epistolare con l'attenta amica Lisa ( delle Gemelle a rotelle) che mi rimprovera quanto segue:

(...) le favole classiche sono come il teatro classico greco, lavorano sugli archetipi... non vanno interpretate letteralmente....
Il fatto che i figli vengano abbandonati è il rito di passaggio dall'infanzia all'età adulta...

E' ovvio che gli archetipi prendono spunto dalla realtà. Ma guarda che oramai è vox populi che le fiabe non sono ciò che sembrano...Cappuccetto rosso è la più banale, il lupo è un molestatore e cappuccetto la bambina.
E poi, per esempio, Pollicino coi sei fratellini non ti ricorda il Giuseppe della Bibbia? Era anche lui il settimo figlio....

La psicanalisi s'è impadronita delle favole da un pezzo, e che dire delle fiabe russe? Cazzarola ce n'è una proprio precisa che avevo trovato tutta bella sezionata...Ma non mi ricordo come si chiama.
Hai fatto tutto sommato delle osservazioni pertinenti sulla violenza delle fiabe tradizionali e il perbenismoo dei genitori, ma il problema sta nella banalizzazione delle fiabe, che non sono storielle...


Continua?

giovedì 20 novembre 2008

Once upon a time


Da quando ho ripreso in mano le favole classiche, a cui alterno la lettura a cose più moderne e avventurose per conciliare il sonno a Stefano, ho avuto modo di rendermi conto di quanto siano, in molti casi, intimamente crudeli e spietate.

Nella memoria di bambino, queste storie avevano un alone quasi magico, erano educative, positive e delicate, mentre da adulto si fa un po’ più fatica a trovare dei valori, ad esempio in Pollicino, abbandonato nel bosco con i suoi fratelli e destinato a morire di fame o ad essere divorato dalle belve feroci, che finisce in casa di un orco che passa il suo tempo ad affilare coltellaci per sgozzarlo insieme agli altri. O in Hansel & Gretel con i due piccoli protagonisti rinchiusi in gabbie minuscole per essere poi cucinati vivi e mangiati accompagnati da un buon vinello.
In Pinocchio il gatto e la volpe, che per la verità dopo il film tv di Comencini avevano preso a farmi paura, impiccano ad un albero,senza troppe storie, il burattino che non vuole dargli le monete d'oro.

So che alcune di queste storie hanno radici antiche e purtroppo reali, ad esempio le famiglie poverissime del nord europa (anche in Italia), abbandonavano i figli che non riuscivano a sfamare, o li vendevano per farli lavorare come spazzacamino (date le loro dimensioni passavano là dove gli adulti non potevano), destinandoli in ogni caso ad una morte agghiacciante.

Certo che se penso alla brutta reputazione che avevano, quando ero bambino, i fumetti di supereroi o i cartoni di robot giapponesi, e come invece piacevano agli adulti le favole classiche (“ma perché guardi questi cosi violente? Leggiti un bel libro di fiabe classiche, che sono così beellee..”) mi viene da sorridere, la visione di Mazinga o la lettura dei Fantastici Quattro non ha mai turbato i miei sonni, Franco e Ciccio nel Gatto e la Volpe invece…

Certo, probabilmente ai bambini piace essere terrorizzati, ascoltano attenti, con la bocca aperta anche la centesima lettura di Hansel & Gretel, per assicurarsi che quella stronza della strega faccia la fine che merita, dopotutto cosa c’è di meglio che un lieto fine riparatore?

Però viene da chiedermi: qual è la morale che deve imparare un bambino in una storia in cui il protagonista infante viene abbandonato dai genitori e successivamente rapito da balordi che lo vogliono cucinare, ma che alla fine riesce a sottomettere il cattivo, arraffargli tutti i tesori e tornare a casa bello pimpante?

Ho pensato a tre opzioni:

a) i soldi fanno la felicità
b) l’omicidio paga
c) il valore dell’assistenza sociale alle famiglie in difficoltà

martedì 18 novembre 2008

I migliori della vita, 4


U2, The joushua tree


Regolo la sintonia della memoria. Estate 1987, piscina comunale di Melzo, ovvero Tammarroland. L'amico Faccia che continua a schiacciare sui tasti play-stop-rewind-play del radiolone d'ordinanza, mandando a ripetizione With or without you, perché “senti senti, questa mi piace un casino!”.


Qualche giorno prima compravo, primo della compagnia (allargata) dell’oratorio, The Joushua tree. Giusto il tempo che la voce si spargesse, e gente che quasi nemmeno conoscevo mi si presentava con in mano una cassettina (non sempre) vergine da 60 e mi faceva la richiesta: “mi hanno detto che hai l’ultimo degli U2…” Contribuendo così, in breve, a proiettare il disco dritto verso il record, tutt’ora imbattuto, di album più registrato della mia vita.


Se la cosa può sembrarvi tutto sommato normale, sappiate che la comitiva dell’oratorio, a parte qualche illustre eccezione, ascoltava, di norma, gente come Vasco Rossi o Luca Carboni, e si dilettava più che altro con pop da discoteca, ecco perchè l’impatto di questa opera degli U2, fu letteralmente devastante. Per mesi dalle auto della combriccola non usciva altro che la musica del Joushua Tree.

Per mio conto, l’incipit dell’album mi aveva schiantato. Where the streets have no name resta ancora oggi una delle mie canzoni preferite, non solo degli U2, ma in senso assoluto. Un pezzo suggestivo, costruito sullo stile chitarristico di The Edge, che porta a pieno compimento il suo personale sound, certificandolo e collocandolo nella storia. Il testo è ispirato e perfettamente calato nel mood della melodia: " I wanna run I want to hide I wanna tear down the walls That hold me inside I wanna reach out And touch the flame Where the streets have no name". Mi ha sempre trasmesso immagini di desolazione, rabbia, solitudine, speranza. Uno di quei brani che mi è impossibile non cantare fino all’esplosione delle vene del collo, e che per certi versi mi rimanda a Badlands di Springsteen.

Poi arriva il primo tributo che Bono e soci pagano alla tradizione musicale americana. I still haven’t found what i’m looking for è un moderno gospel (elemento questo valorizzato nella sua versione live all’interno del successivo Ratte and hum) , sia nella sua parte strumentale, che in quella delle liriche, ricche di citazioni bibliche.

With or without you, il primo singolo di cui alla premessa, non mi dice molto, anche se oggi immagino che gli U2 darebbero un braccio per riuscire a scrivere un pezzo così.

Bullet the blue sky e Running to stand still sono le vere rocce del disco, a mio parere. Tra gli apici della scrittura di Bono, rappresentano nella loro sfolgorante bellezza, lo stato di grazia della band in quel periodo. La prima si sofferma su quello che una volta si chiamava imperialismo americano, la seconda è una dolente dedica ad un’amica (non so se reale o immaginaria) tossica.

Il lato B del disco (per chi ragiona in termini di cd, da Red Hill mining town in avanti) sulle prime mi era sembrato qualitativamente inferiore, ma col tempo ho adorato In God’s country (ripresa nel discreto film The Three Kings), il folk blues di Trip through wires e la particolarità di Exit.


Considero The Joushua tree, insieme a pochi altri album, un po’ di più che un buon disco, è una di quelle opere che risvegliano sensazioni sopite, basta metterlo su e sei risucchiato all'indietro dai ricordi, quasi come in un posto dell'anima.

sabato 15 novembre 2008

MFT, expanded version

AC/DC, Black ice. Sette anni dopo il precedente, ecco il disco con la track list più lunga della loro storia, e la produzione, che incuriosisce, di Brendan O'Brien. Il risultato è un pò più complesso del solito da giudicare, considerato che parliamo di una band che ha fatto della "semplicità" del proprio sound un marchio di riconoscimento. Ancora dopo diversi ascolti, devo dire che i primi quattro brani, compreso il singolo RnR train, passano via senza creare particolari sussulti. E' con la track 5, War machine che mi scaldo un pò, ricorda nell'incedere l'epica Given the dog a bone, ma è un pò più potente del lotto che l'ha preceduta. Buona anche Spoilin' for a fight, nel suo incidere tipico da AC/DC, mentre Decibel sembra all'inizio un pezzo degli ZZTop. Segnalazione finale per Money made e per la sorpresa Rock and roll dream, quanto di più vicino ad una power ballad che questa band abbia mai fatto, con Johnson che scala un paio di posti nella classifica nei cantanti di genere.

Hank III, Damn right, rebel proud. Non una recensione vera e propria, quella la rimando a quando avrò a disposizione i testi (a tal proposito lancio un appello a voi lettori: in rete sembrano introvabili!). Il disco è goddam good, meno selvaggio del precedente, ma sempre corrosivo e bastardo al punto giusto. The grand ole opry, me and my friends, Wild and free, P.F.F., Six packs of beer, Candidate for suicide sono già degli anthem.

John Mellencamp, Life, death love and freedom. Come per il precedente Freedom road, ma per ragioni diverse (quello a primo impatto era troppo easy, questo troppo oscuro) il Coguaro ci mette il suo tempo, ma poi ti entra subdolo sotto pelle. Questo disco potrebbe essere la sua personale "Nebraska". Produce T.Bone Burnette, e alla lunga si sente.


Kings of leon, Only by the night. Una bella sorpresa. Non mi avevano mai coinvolto prima, nonostante l'iniziale assonanza con i miei generi musicali favoriti. Questo qui invece, che qualcuno definisce la definitiva evoluzione del grunge, ha suono e personalità ben definiti. E' uno di quei dischi da ascoltare in blocco (solo dieci i pezzi), piuttosto che segnalare qua e la qualche traccia.


Mavis Staples, Live - Hope at the Hideout. Si può definire un live d'altri tempi. Quelli della Franklin (l'incantevole Live in Paris) per la precisione. C'è tutta la passione politica, l'orgoglio nero e la liturgia classica del cantante predicatore qui dentro. Oltre ai classici della Staples, della sua famiglia e alcuni standards adatti allo scopo (For what's it's worth dei Buffalo Springfield, Down in Mississippi di Ry Cooder, Will the circle be unbroken della Nitty Gritty Dirt Band). Classicone.


Ray La Montagne, Gossip in the Grain. Dopo tanti consigli inascoltati (anche del Maurino), ci sono approdato. Grande la soddisfazione per un album che parte come un disco di Otis Redding, con la strepitosa You are the best thing, e poi continua su binari più introspettivi, cantautoriali, con Let it be me e I still care for you (dalle parti dei Buckley). La traccia 6 s'intitola Meg White,ed è un'inaspettata dedica alla parte femminile dei White Stripes, eseguita su uno stile che mi viene da definire stop and go, ma non so se rendo l'idea. Hey me hey mama potrebbe rimandare a Anders Osborne, mentre Henry nearly killed me è un bluesaccio diabolico. Chiude la ballata folk che dà il titolo all'album. Autunnale.


Gaslight Anthem, The '59 sounds. Arrivano da qualche parte del New Jersey, grandi ammiratori di Springsteen e del punk inglese. L'open track Great expetactions chiarisce subito tutto il background, in Meet me by the river titolo e ritornello ("No surrender, my Bobby Jean")pagano il tributo alle canzoni storiche del Bruce locale. Devo aggiungere altro? Naaa. Niente di nuovo, ma cazzo, con attitudine.

Ryan Adams & The Cardinals, Cardinology. Il precedente Easy tiger sembrava un ottimo punto d'arrivo per questo geniaccio sregolato from Jacksonville, North Carolina, e invece, quasi inaspettatamente Adams e la sua cricca cacciano un altro masterpiece, se possibile superiore al suo predecessore. Una grande attenzione alla melodia e alle magniloquenti aperture dei ritornelli (Go easy; Fix it) ma anche qualche durezza da rock duro (Magick) e tanta ispirazione. Gli faceva difetto la continuità, direi che, se due indizi fanno quasi una prova, adesso ha anche quella.

The Boxmasters, omonimo. Quel simpaticone di Billy Bob Thornthon non molla la sua passione per la musica, d'altro canto da ragazzo, prima di essere un attore è stato batterista. Dopo i suoi esordi a proprio nome, con due dischi in cui ha messo in luce una buona voce da crooner, su melodie country rock, ecco il debutto della sua band, un power trio che si ispira, sia musicalmente che come look, ai primi sessanta. Il cd è doppio, un disco di cover e uno di brani inediti. Si passa dal rock and roll al country al pop sixties appunto. Un lavoro "spensierato", ma ben realizzato.

Frank Zappa, You can't do that on stage anymore. Il mio ennesimo tentativo di capire questo musicista. Spero sia la volta buona...







venerdì 14 novembre 2008

Si è fatto buio

Dovrei commentare la sentenza della scuola Diaz, ma davvero non mi va. Di certo non mi ha stupito, ecco. Qualcuno pensa che ci fosse il clima politico per fare strike dei vertici della Polizia (tutti puntualmente in carriera) del 2001? Non facesse incazzare, la chiosa di qualche esponente della destra ("sentenza troppo pesante") sarebbe anche divertente. Già, da spanciarsi dalle risate.
Non c’è solo la sentenza della macelleria messicana della Diaz, comunque. E’ il clima generale del paese a preoccupare pesantemente. Quasi ogni giorno c’è la dimostrazione della deriva (come vogliamo chiamarla, se non fascista, autoritaria?) verso la quale stiamo (consapevolmente?) scivolando.
Gli annunci di invio della Polizia nelle scuole occupate, le picconate di Kossiga, l’infiltrazione di picchiatori nel corteo degli studenti, l’attacco sistematico, scientifico alla CGIL, l’occupazione della sede CGIL di Roma da parte dei giovani di AN, l'atteggiamento complessivo del governo che vuole ridurre il potere sindacale, relegandolo ad un ruolo quasi notarile, di presa visione delle decisioni assunte, la Confindustria e i contratti individuali. E pensare che siamo solo al primo anno di governo della destra...

C’è stato un periodo anni fa, in cui, non so se per paranoia o in prospettiva di un pericolo reale, moltissimi dirigenti comunisti, del sindacato e della politica, dormivano lontano da casa, a volte anche in auto, per timore di retate improvvise dei vari servizi segreti o della polizia. Si sta tendendo a questo?
Non lo so, forse esagero, ma credo che, chi fa politica o sindacato,e in genere tra chi prende posizione in mezzo alla gente, schierandosi con i valori storici della sinistra, cominci a sentirsi un pò accerchiato.

mercoledì 12 novembre 2008

Don't stand so close to me


Ogni giorno si presenta, immancabilmente, un'occasione che mi ricorda quanto io detesti quelli che per parlarti si avvicinano fino a che puoi sentirgli l'alito e vedergli il colore delle mutande attraverso la bocca aperta. In genere poi questa gente, guarda caso, non è mai della specie troppo gradevole, il che limiterebbe un pò il mio fastidio, ma piuttosto del genere che, come direbbe Patrizio, non li toccheresti nemmeno con un bastone.

Ieri stavo bevendo un caffè alle macchinette, quando mi si avvicina questo tizio che sembra che proceda per forza d'inerzia, tanto è lo sforzo profuso per camminare, e che ha sempre un'espressione da faccia appesa. Mi ricorda Drupi, quel cane con le occhiaie dei cartoon Hanna e Barbera. E' il genere di persona che ha sempre qualcosa da chiederti. Quando lo vedo mi si gela il sangue nelle vene. Ieri poi stava masticando un panino e aveva le briciole che gli contornavano la bocca come stelle su un cielo limpido di piena estate.

Lo saluto, e spero che sia troppo impegnato per rivolgermi la parola. Invece si avvicina. Io a quel punto immagino la musichetta dello Squalo. Ecco che mi arriva a un palmo dal naso. Sento l'odore della poltiglia di pane e salame che è in corso di masticazione. Vedo le sfumature delle briciole sulla barba di due giorni. Faccio un passo indietro, lui ne fa due avanti. Avvicino il bicchierino del caffè al naso per inebriarmi di quell'odore, ormai sono letteralmente con le spalle al muro. Mi arrendo e spero che duri poco. Gli dico quello che vuole sapere e aggiungo - ma quando hai bisogno telefona pure, eh! -

Una volta ho fatto un corso in cui spiegavano che ognuno di noi ha intorno a se una bolla immaginaria, di dimensioni variabili a seconda delle specifiche personalità. Questo spazio è nostra proprietà privata, solo noi scegliamo se e con chi condividerlo. Un'invasione di questo spazio intimo equivale ad una vera e propria violazione alla nostra persona .

L'esperimento da fare, tra due che si conoscono poco, è camminare uno in direzione dell'altro e fermarsi nel momento in cui percepiamo un uleriore avvicinamento come invasione della nostra bolla. I risultati sono curiosi, per qualcuno lo stop arriva a due metri dall'altro, per altri a dieci centimetri.

Gente come Drupi invece sfida quotidianamente la legge fisica sull'impenetrabilità dei corpi.


martedì 11 novembre 2008

Silly news 2

Lo sapevate che nell'epoca d'oro del calciatore gallese, i tifosi del Manchester Utd allo stadio cantavano, rivolti alla squadra avversaria, Giggs will tear you apart, sulla musica di Love will tear us apart dei Joy Division?
Sapevatelo, su rieducational cìannel.

Silly news

A 60 anni suonati, e vent'anni dopo il suo ultimo lavoro discografico, è tornata Grace Jones. Il disco nuovo si chiama Hurricane, anche se francamente, non me ne può fregare di meno, visto la Jones mi è sempre rimasta indifferente. Interessante e bizzarra è invece questa sua opinione sull'aumento del consumo di coca in tutta Europa:

"Quello che nessuno dice è che con la droga si eccede perchè è vietato farne uso. Se non si può prendere liberamente, finisce che tutti vanno in bagno a sniffare e, visto che la coda alla toilette spesso è molto lunga, una volta dentro, se ne prende più del necessario. Ecco come nasce l'eccesso."

Quindi, visto che possiamo ormai considerare persa la battglia sulla legalizzazione, per combattere l'uso di droghe, basterà aumentare i cessi nei locali. E ci voleva tanto?

lunedì 10 novembre 2008

Attaccami la spina


Appena la testa ha smesso un pò di ronzare, e approfittando della casa libera (evento questo per me ormai rarissimo) ho messo su questo doppio dvd antologico della band australiana, trovato ad una cifra interessante in un mediaworld che vendeva tutta la produzione degli AC/DC a prezzo speciale.

Nella sua edizione ordinaria l'opera è composta da due dvd (quella da collezionisti ne ha uno in più) equamente divisi tra i Bon Scott Years (74/80) e il successivo periodo di Brian Johnson, con materiale che arriva fino al 2003.La confezione è semplice ma elegante, un buon lavoro di packaging.

Il primo dvd è ovviamente quello più interessante, con i primi video semi amatoriali e le prime apparizioni televisive della band, che irrompe in una specie di discoring australiano (classica situazione ggiovanile dei 70, con le ragazze intorno al palchetto), con la forza di un milione di trichhetracche, suonando High voltage. Scott è vestito in modo improbabile, metà Plant, metà Mercury, ma quando resta praticamente a torso nudo, con i pantaloni che gli strizzano il pacco, e lo sguardo luciferino dritto in telecamera, è chiaro a tutti che gli AC/DC sono fuori target per quella trasmissione. Angus è in completo da scolaretto color carta da zucchero, capelli lunghi, scandalosamente giovane.

Il disco prosegue con altri documenti storici, come le esibizioni live di T.N.T. e School days, in bianco e nero, alla St Albans High School, durante le quali Angus (per la prima volta?) si cala le brache e mostra il suo sederino da poppante al pubblico, o meglio alle ragazze in prima fila.

Concludono il dvd alcune interviste, altri clip, e un filmati in super 8, girato a Nizza nel dicembre 1979, solo due mesi prima della prematura scomparsa di Bon Scott.

Il secondo disco è un pò meno interessante, comincia dal 1981, con il successo planetario di Back in black e con l'avvento del simpatico, ma meno carismatico, Brian Johnson, e prosegue fino ai recenti successi, con i tour da stadio sempre sold-out, con tanta spontaneità in meno e tanto senso per il buisness in più.

venerdì 7 novembre 2008

Australiana?

Influenza.
Della peggior specie.
Mi sento come avessi una decina di band death metal che mi suonano contemporaneamente nella testa, 24 ore su 24.

mercoledì 5 novembre 2008

Yes, we made it


Barack Obama e' divenuto questa notte il 44.o presidente degli Stati Uniti, e' il primo nero a conquistare la Casa Bianca: un risultato storico. L'affluenza record ha allungato le code ai seggi nell'Unione e ha reso piu' lento lo spoglio dei suffragi, ritardando l'annuncio della vittoria del candidato democratico.

La certezza, non matematica, ma politica, e' stata acquisita quando il candidato democratico s'e' aggiudicato l'Ohio, uno Stato chiave, lo Stato che tutti i candidati repubblicani divenuti presidenti hanno vinto.

L'America e' andata al voto nel pieno d'una crisi finanziaria che le toglie fiducia e che deve ancora fare sentire l'impatto sull'economia reale, mentre le difficolta' militari e politiche in Iraq e in Afghanistan incrinano le certezze e le sicurezze della Super-Potenza unica. In un momento difficile, con un esercizio di democrazia che la conferma fucina di coraggio per l'Occidente, l'America ha scelto e ha scelto il cambiamento: un presidente giovane, nero e relativamente inesperto, ma che e' un simbolo di speranza e che impersona il sogno americano. All'Est e al Sud, Obama s'e' imposto in alcuni Stati Chiave di questa competizione: ha fatto suo il New England, ed era scontato, i Grandi Laghi, ma soprattutto ha confermato il potere democratico in Pennsylvania e ha strappato ai repubblicani l'Ohio e lo Iowa, oltre ad altri Stati contesi.

I risultati dell'Ohio e dello Iowa sono stati il segnale della disfatta per il candidato repubblicano John McCain, arrivato all'Election Day in forte ritardo in tutti i sondaggi. E che neppure i suoi sostenitori ci credessero lo diceva la differenza di immagini tra l'attesa della festa per Obama a Chicago, dove c'erano decine di migliaia di persone entusiaste, e l'attesa a Phoenix, dove i sostenitori di McCain erano pochi e disorientati.

Per McCain, non e' stato un tracollo. Per Obama, non e' stata una vera e propria valanga, specie in termini di voto popolare - ma il computo esatto dei suffragi non e' ancora definitivo -. Ma dalle urne esce un'America nuova, che Barack Obama dovra' guidare dal 20 gennaio, quando s'insediera', fuori dalla crisi, ridandole fiducia in se stessa e restituendole la simpatia del Mondo.

martedì 4 novembre 2008

Lansdale, finalmente!



Un pò deluso, anche in funzione delle enormi aspettative, dalla lettura di Rumble Tumble, romanzo della serie Hap & Leonard, che ho trovato assolutamente ordinario nel genere , ho invece trovato profondo coinvolgimento in questa raccolta di racconti (una sorta di best of) di Joe R. Lansdale.



Avevo sentito dell'eclettismo di questo scrittore, ma davvero, bisogna immergersi nella lettura dei suoi racconti per rendersi conto di come riesca a passare non solo da un genere, ma da un registro (drammatico, sentimentale, comico) all'altro senza tradire incertezze.



La selezione contiene sedici racconti di lunghezza variabile, le mie preferenze vanno alla black comedy Girovagando nell'estate del '68, al breve, ma irresistibile Godzilla in riabilitazione, al surreale Un signor giardiniere, al fantascientifico Nel deserto delle Cadillac, con i morti, al malinconico I treni che non abbiamo preso, al thriller Incidente su una strada di montagna (e dintorni) e al romantico Non viene da Detroit.



Discorso a parte meritano alcuni episodi, la cui violenza mi ha un pò turbato. E sì che non sono esattamente una collegiale, in quanto a soglia di sopportazione. Il fatto è che Lansdale, quando colloca la violenza contestualizzandola alla realtà (in genere delle zone più povere e degradate dell'america del sud), e quindi senza la "giustificazione" della storia palesemente di fantasia, lo fa dando vita a personaggi che incarnano davvero la banalità del male. Li rende protagonisti di atti di violenza indicibili, perpetrati con una naturalezza che da sola fa spavento, che si mostra in tutta la sua ottusa ineluttabilità. E' il caso de La notte che si persero il film dell'orrore e di Una serata al drive-in.



Chiudono la raccolta due "saggi" di Lansdale sulle sue più grandi passioni: il drive-in (suo soggetto preferito al quale ha dedicato diversi racconti e più di un romanzo) e l'horror.



Una lettura consigliata a tutti (se potessi la suggerirei come spunto per due o tre sceneggiature anche a Tarantino), nel caso non si fosse capito.










lunedì 3 novembre 2008

TV on demand

Licio Gelli (una benemerita carriera come fascista, simpatizzante della Repubblica di Salò, doppiogiochista con la Resistenza, collaboratore dei servizi segreti inglesi e americani, infine agente segreto della Repubblica italiana), venerabile maestro della P2 (organizzazione massonica che si proponeva solamente di sovvertire l'ordine costituito in Italia, attraverso uno strutturato Piano di Rinascita Nazionale - il cui testo completo è qui - responsabile probabilmente di decine di episodi di destabilizzazione degli anni settanta - qui una lista probabilmente incompleta dei presunti coinvolgimenti - e alla quale aderirono centinaia tra politici, uomini d'affari - tra cui il nostro amatissimo presidente del consiglio, tessera 625 -, politici, magistrati, giornalisti - la lista completa dei nomi coinvolti è qui - ) ha un suo personale programma televisivo sul network nazionale Oden.

Nella trasmissione il sommo Venerabile spiega la storia d'Italia, nella prima puntata ha ringraziato Berlusconi (e come avrebbe potuto esimersi, visto che B. gli ha realizzato buona parte del progetto Rinascita?) e ha attaccato il PD.

Per rispondere indirettamente al commento nel post sulle violenze del Blocco Studentesco, non sono questi fatti a sorprendermi, è vero, la storia italiana con le varie strategie della tensione è lì a testimoniare quante volte questa tattica è stata usata dal governo.

Quello che mi stupisce è che ormai questi si sentono così forti da non provare nemmeno a nascondere le loro iniziative, che si tratti di menare dei ragazzini, prendersi il merito di aver eliminato i comunisti dalla storia o aver rincoglionito la popolazione con la tv commerciale. Tanto non ci sono reazioni particolari, esclusi i soliti noti.
Ecco, al massimo è questo che un pò mi preoccupa.

La leva musicale del 97, part III

Ieri il nipote acquisito mi ha presentato uno stropicciatissimo foglio di quadernone A4, con scritta una lista di pezzi per la sua playlist. Quale gioia nel vedere l'evoluzione nei gusti del ragazzo, avvenuta nonostante la cultura musicale dei genitori sia ferma a Pooh e Nomadi.
Linkin Park, Metallica, Amy Winehouse, Eminem, 50 Cents, Caparezza, Silvestri, Madonna, Marracash.
Mi assumo orgogliosamente una parte del merito, ma è molto farina del suo sacco.
Non ho lo scanner, altrimenti avrei postato direttamente lo splendido foglio a righe che mi ha passato, pura arte moderna.
Nel dettaglio della richiesta:

LINKIN' PARK
in the end
numb
faint
forgotten
what i've done
EMINEM
stan
without me
lose yourself
cleaning out my closet
CAPAREZZA
abiura di me
cacca nello spazio
fuori dal tunnel
vengo dalla luna
AMY WINEHOUSE
back to black
rehab
MADONNA
give it to me
sorry
4 minutes
FABRI FIBRA - in italia
50 CENTS - in da club
MARRACASH - badabum cha cha
MAROON FIVE - makes me wonder
DANIELE SILVESTRI - salirò
RASMUS - in the shadows

Dopotutto c'è ancora speranza in questo effimero mondo degli adolescenti.