sabato 30 giugno 2012

Chapeau, prof. Monti!

Dopo la sbornia di felicità per l'uscita di scena di Berlusconi è arrivata l'amara considerazione che il governo Monti fosse chiaramente orientato a politiche liberista di destra,che se concluse, porteranno il nostro paese ad avere sempre meno Stato nella sanità, nella scuola e nel lavoro.


Dal punto di vista dei princìpi e delle scelte politiche quindi, considero decisamente Mario Monti come un avversario, però, e qui sta la differenza sostanziale rispetto al ventennio berlusconiano, il professore ha anche tutto il mio rispetto perchè penso che, pur perseguendo azioni che non condivido minimamente, la sua intenzione sia quella di traguardare l'Italia ad una situazione di tranuillità rispetto alle norme UE, restituindele nel contempo credibilità e dignità agli occhi dei colleghi stranieri.


Diciamoci la verità. Da quanto tempo l'Italia non imponeva con autorità e autorevolezza la sua linea economica-strategica (sul tema scudo anti-spread) alla più che riluttante Germania? Certo, prezioso è stato il contributo dell'alleanza franco-spagnola, ma anche quella va saputa costruire, ed è difficile farlo se si arriva tardi ai summit perchè il cialis c'ha messo un pò a fare effetto.


Questo aspetto a mio avviso è un sintomo di normalizzazione del nostro Paese. Ho sempre sostenuto che negli altri Stati euopei, che fosse la destra o la sinistra a governare, era comunque un'idea di Stato e di bene comune a prevalere, mentre da noi, ultimamente erano gli interessi privati di un tizio a tenere in scacco politica interna, internazionale e problemi della collettività.


Oggi non è più così e anche se la direzione assunta dall'esecutivo mi vede su posizioni ostinatamente contrarie, dimostrare che si può umiliare la Merkel senza chiamarla culona inchiavabile ha il suo bel perchè.

venerdì 29 giugno 2012

MFT, giugno 2012

LA MUSICA
New stuff: Hank III, Long gone daddy. Counting Crows, Underwater sunshine. Jack White, Blunderbuss. Gossip. A joyful noise. The Cult, Choice of weapon. Neil Young, Americana. Richard Hawley, Standing at the sky's edge. Maximo Parx, The national heath. Alejandro Escovedo, Big Station. Il Pan del Diavolo, Piombo polvere e carbone. Chris Robinson Band, Big moon ritual. Alabama Shakes, Boys and girls. Xavier Rudd, Spirit bird.



Old stuff: Johnny Cash, The essential. Outkast, Speakerboxxx/The love below. Stan Ridgway, The big heat. Damage Plan, New found power. Waylon Jennings, Ultimate.



LETTURE

George R. R. Martin, Le cronache del ghiaccio e del fuoco, vol I
Don Wislow, L'inverno di Frank Machine


LE SERIE TV
Sons of Anarchy, stagione 4

mercoledì 27 giugno 2012

It's (de)evolution, babe!




Seguo sempre con divertita e solidale apprensione l'epica battaglia dell'amico Filo con la bilancia perchè anch'io nel mio piccolo, di recente mi sono ritrovato a fronteggiare il medesimo problema.


Dopo una vita a "peso standard" (intorno ai 65 chili) infatti, negli ultimi anni ho cominciato a ingrassare fino a mettere su una ventina di chili in più e anche se l'incremento di peso, rispetto alla mia altezza, in se stesso non sarebbe una tragedia, il problema è che i chili non si distribuiscono, diciamo così, in maniera democratica. Detto in stampatello, m'è cresciuta la panza.




La novità all'inizio è stata dirompente: a calcetto ho cominciato ad avvertire l'ebrezza della pancia che asseconda i miei movimenti rimbalzando su e giù come fosse una parte independente dal resto del corpo, e tuttora ogni volta che osservo la rotondità dell'addome allo specchio, reagisco con un misto di meraviglia e incredulità, manco fossi una donna al quarto mese di gravidanza.






Come combattere l'insorgente, inedita, condizione fisica di fuori peso? Le solite cose, mangiare meno e più sano. Fare costante attività fisica (il calcetto non vale, o perlomeno non basta). E qui sorgono i problemi, perchè per entrambe le soluzioni occorre determinazione e tempo, e io ultimamente, oltre a non conoscere più il significato della parola tempo libero, mi sono scoperto anche pigro.




Ragioni oggettive di lavoro schizofrenico e conseguente alimentazione incasinata a parte, mi sembra di essere nella situazione di quelle squadre di calcio abituate a stare nelle zone alte di classifica (la champions league dei magri) che, una volta scivolate in basso, non essendo abituate a lottare per evitare il declassamento, scivolano regolarmente in serie B. Ecco, ho l'impressione di venire risucchiato in quella categoria di uomini che accetta la spirale del declino fisico quale condizione inesorabile della vita, al pari della foresta di peli dentro naso e orecchie che cresce rigogliosa contestualmente al disboscamento dei capelli in testa.




La cosa curiosa è che non ho ancora deciso se sia peggio l'arrendersi alla panza da divano o combatterla manco fosse una crociata religiosa. La verità sta nel mezzo?

lunedì 25 giugno 2012

Le lunghe vacanze di Duritz e dei Counting Crows

Counting Crows
Underwater sunshine (or what we did on our summer vacation)
Cooking Vinyl (2012)















Aaahhhh (sospiro), i Counting Crows..... Se avessi avuto un blog ai tempi di August and everything after o Recovering the satellites vi avrei di certo fracassato le balle tutti i giorni, per quanto mi ammaliava il loro rock poetico e introspettivo capace di improvvise esplosioni di gioia. Già, anche se poi l'aspetto più rilevante dell'arte della band è che riusciva a creare quella rarissima empatia per cui sembrava che la loro musica, i loro testi, in quel determinato momento si rivolgessero proprio a me. Su tutto, la particolarissima voce di Adam Duritz amalgamava splendidamente il sound della band, conferendogli quel quid di ulteriore riconoscibilità tra mille altre proposte pop. La forza e il limite dei Counting Crows sta nel fatto che non erano nè indie nè mainstream e col tempo questa condizione (oltre ad un fisiologico calo di ispirazione) sembra aver impaludato il gruppo, che in vent'anni ha pubblicato solo cinque album.


Underwater sunshine (Or what we did on our summer vacation) è il sesto titolo della collezione, ed è un disco composto esclusivamente di cover. Dando una veloce occhiata alla tracklist noto che su quindici pezzi solo tre sono quelli che mi sono già noti (Return of the gravious angel, di Gram Parsons; You ain't going nowhere, di Dylan e The ballad of El Goodo, dei Big Star). Questa condizione mi ha tolto la possibilità dell'immediato confronto con gli originali, ma al tempo stesso è come se mi regalasse dei pezzi inediti.


E in effetti l'ascolto di Underwater sunshine (classica copertina surreale/onirica, marchio di fabbrica dei CC) è estremamente piacevole. Untitled (Love song) sarebbe dei The Roman Rye, ma i Counting Crows la fanno loro e Adam la indossa come un vestito su misura, facendoci un figurone. Lo stesso si può affermare per Start again dei Teenage Fanclub; Hospital di Coby Brown; mentre per Mercy dei Tender Mercies Duritz veste con successo i panni di Van Morrison. Sono convincenti anche Meet on the ledge dei Fairport Convention, Coming around dei Travis e Ohh la la dei Faces e il trittico conclusivo Jumping Jesus dei Sordid Humor e le già citate You ain't going nowhere e The ballad of El Goodo (la versione scaricabile da iTunes contiene due pezzi in più: Borderline di Madonna e Girl of the north country, ancora di Dylan).


E' chiaro che il disco di cover sa un pò di salvataggio in corner da una situazione di difficoltà (tra l'altro un buon terzo di questi pezzi arrivano dal repertorio di B-sides e inediti del gruppo e quindi sono già noti ai fans), ma se la necessità dei Counting Crows era quella di togliersi di dosso un pò di polvere e prendere la rincorsa per ripartire, l'obiettivo è stato a mio avviso centrato. E' chiaro che ora viene il difficile. La band (che nel tempo è rimasta sostanzialmente immutata nei suoi componenti) è chiamata a dare un seguito a quest'opera, cercando l'ispirazione e la convinzione dei tempi migliori. Il tempo ci dirà se Underwater sunshine è servito da start-up o ha segnato il definitivo declino.




7/10

sabato 23 giugno 2012

Album o' the week / Outkast, Speakerboxx/The love below (2003)



Andrè 3000 e Big Boi, ovvero gli Outkast, protagonisti di una delle migliori offerte di hip hop negli anni a cavallo tra i novanta e gli zero. In questo album si sono sdoppiati, dividendo in due parti le caratteristiche della loro musica: in un ciddì (Speakerboxxx) il divertimento del rap più trascinante e nell'altro (The love below) le ballate black. Il risultato? Roba come The way you move; Hey ya!; Ghetto musik; Roses; Prototype. Attitudine come se piovesse.

venerdì 22 giugno 2012

SOA 4!!!

Sono finalmente riuscito a recuperare la quarta stagione di Sons of Anarchy (thank you buddy!) e con l'entusiasmo di un bambino che scarta i regali a Natale mi sono messo immediatamente a guardarla. L'episodio di apertura è spettacolare: violenza, colpi di scena, nuovi grandiosi personaggi (l'integerrimo sceriffo interpretato da Rockmond Dunbar, già visto in Prison Break e sopratutto un nuovo procuratore generale, interpretato in maniera barocca da Ray McKinnon, caratterista dal volto piuttosto noto) e un doppio finale che ti fa maledire il fatto di non avere tempo a sufficienza per spararti subito il seguito. La stagione è molto lunga, tocca infatti il record di quattordici episodi, e già nella prima puntata sono disseminati tanti e tali spunti che credo serviranno tutti per dipanare la matassa di intrighi, trame e sottotrame presenti. Sia sempre lodato lo sceneggiatore Kurt Sutter.

giovedì 21 giugno 2012

80 minuti di Rancid

Proprio in questi giorni il gruppo di Tim Amstrong è in tour per celebrare i ventanni di attività. Mi sembra un'ottima occasione per fare un riassunto dei sette album fin qui pubblicati dai Rancid, (quasi) sempre all'insegna di una miscela deflagrante di punk, ska e reggae. Trenta brani sono molti, ma la durata della playlist si attesta comunque sotto la fatidica soglia degli ottanta minuti...


1) Ruby Soho
2) Bloodclot
3) It’s quite alright
4) Life won‘t wait
5) Maxwell murder
6) Adina
7) East bay night
8) I wanna riot
9) Nihilism
10) The 11th door
11) Fall black down
12) Radio
13) Roots radical
14) Time bomb
15) Last one to die
16) Salvation
17) Olympia Wa
18) Tenderloin
19) Lock, step & gone
20) Animosity
21) Loki
22) Rejected
23) Corruption
24) Journey to the end of the East Bay
25) Old friend
26) The wars end
27) Black derby jacket
28) St. Mary
29) Dead bodies
30) The way i feel




martedì 19 giugno 2012

Fire and Ice: Il Trono di Spade stagione due



Il Trono di spade ho cominciato a guardarlo un po’ controvoglia, ed esclusivamente per le perentorie esortazioni espresse da Ale nel suo blog e sul forum. I primi episodi della prima stagione li ho visti dunque un po’ alla cazzo di cane, frammentandoli spesso e ricavandone una confusione ancora superiore a quella che fisiologicamente ti coglie davanti ad una saga così complessa. Invero non so dire quando esattamente sia scoccata la scintilla, probabilmente si è trattato di un continuo crescendo fino ai fuochi d’artificio delle ultime puntate, di certo c’è che oggi, laddove c'era scetticismo, c'è una vera e propria passione. Altra particolarità del mio rapporto con questo serial è dato dal fatto di aver visto le due stagioni fin qui prodotte in sequenza senza soluzione di continuità, grazie al ritardo accumulato con la prima e il (quasi) perfetto timing della seconda. Credo che questa dinamica abbia avuto alla fine valenza positiva, sia dal punto di vista della maggiore comprensione degli eventi e delle sottotrame, che inevitabilmente vanno un po’ a perdersi quando intercorre troppo tempo tra la fine di una season e l’inizio dell’altra, sia perché sarebbe stata una vera sofferenza attendere gli sviluppi della storia dopo gli accadimenti che avevano concluso la prima annata.


Diciamo subito che la seconda stagione è con ogni probabilità leggermente più debole della prima, o forse, non potendo contare più su un personaggio di peso come Ned Stark/Sean Bean, semplicemente è diventata ancora più corale, con tutte le puntate (ad eccezione della nove) suddivise tra i vari plot/personaggi della storia. Il sottotitolo della stagione è “La guerra sta arrivando”, e in effetti gran parte delle puntate sono di preparazione per lo spettacolare finale in cui Stannis Barathion, fratello del defunto Re Robert, attacca Approdo del Re per sedersi sul Trono di Spade illegittimamente occupato dalla dinastia Lannister e dal malvagio Geoffry. Ma la guerra è anche quella che vede accendersi altri focolai a seguito dell'instabilità venutasi a creare dopo la morte di Robert, e che vede coinvolte tutte le terre dei Sette Regni. Per il resto violenza, sesso e linguaggio esplicito sono assicurati, anzi se possibile, ancora più esasperati, mentre l'aspetto fantasy della storia, ai margini nella prima stagione, comincia a farsi sostenuto.


Tra le decine di protogonisti della saga, i Lannister sono probabilmente la casata più affascinante del mondo immaginato da Martin. Intelligenti, belli, malvagi, subdoli, spietati, crudeli, pericolosi. Hanno tutto ciò che serve per farsi detestare nel profondo ma sono altresì innegabilmente dotati di un fascino oscuro. Tra le loro fila c’è poi un personaggio straordinario (il nano Tyrion, interpretato da Peter Dinklage, nella foto) che, seppur in questa stagione perda un po’ della sua magnifica irriverenza, si candida comunque al ruolo di best character.


Tra gli altri personaggi, quello che probabilmente subisce l’evoluzione più imprevista (una vera e propria discesa agli inferi) è Theon Greyjoy/Alfie Allen, fin qui fattosi notare solo per la sua infinita allupaggine (che lo porterà a fare una delle più colossali figure di merda che la storia ricordi) e la sua discreta stupidità, ma che da questa stagione si macchia di peccati ben peggiori. Nessuna particolare novità invece per Robb Stark/Richard Madden e l’imbalsamato (spero sia a causa del freddo!) Jon Snow/Kit Harington. Tra le donne un posto di rilievo va riservato alla straordinaria quindicenne Arya Stark/Maisie Williams, all’orgoglio regale di Daenerys Targaryen/Emilia Clarke e all’introduzione di un nuovo personaggio, la misteriosa e sensuale alleata di Stannis, Melisandre/Carice Van Houten.


Ho notato, nella caratterizzazione dei personaggi, nella loro evoluzione, una certa somiglianza tra lo stile di George G. G. Martin (ammesso che la trasposizione televisiva sia fedele a quella letteraria) e quello di James Ellroy. Entrambi giocano in maniera spiazzante con i figli della propria creatività. Entrambi spesso sono spietati con quelli più positivi e virtuosi, ma al tempo stesso fanno sopravvivere attraverso imprevedibili evoluzioni quelli che appaiono maggiormente deboli e sprovveduti, e cambiano in continuazione la prospettiva del lettore su quelli più subdoli e indecifrabili. Approfondirò questa mia intuizione con l’ormai inevitabile acquisto dei libri della saga, nel tentativo di mitigare l’attesa per le prossime stagioni.


A questo proposito mi viene l’ansia a pensare che alla distanza la HBO potrebbe decidere di sospendere la serie, vista la prospettiva di una durata a luuungo termine e l'instabilità del responso del pubblico. Per intanto la terza stagione è in corso di produzione, tocca attendere e accontentarsi.

lunedì 18 giugno 2012

The blues within

Mark Lanegan Band
Blues funeral (2012)


















In principio fu Virna Lisi, che con quella bocca, in un famoso spot dei tempi di Carosello, poteva dire ciò che voleva. Poi sono arrivati tutti una serie di interpreti che quell'effetto lo raggiungevano grazie alla propria voce, uno strumento talmente suggestivo che oggi potrebbe anche intonare i discorsi di Monti ed arrivare comunque al cuore degli ascoltatori. Costoro sono in una lista che va idealemente da Sinatra a Cash. Una lista nella quale ho da sempre incluso anche Mark Lanegan. Questa consapevolezza mi ha folgorato durante l'ascolto di Deep black vanishing train, la penultima canzone di Blues Funeral.

Niente da dire, proprio bello questo album di Lanegan,settimo full lenght della sua produzione solista a otto anni di distanza dall'eccellente Bubble gum. L'artista di Washington ci dà dentro con lo stile oscuro che ha messo meticolosamente a punto da oltre vent'anni a questa parte dopo lo scioglimento dei seminali (in ambito grunge) Screaming Trees, ma si lascia andare anche ad influenze qui elettriche lì elettroniche, eredità del passato e delle numerose collaborazioni (ad esempio con i Soulsavers o con i Queens of the stone age) degli ultimi anni, riuscendo a spiazzare anche il più scafato dei fans con un pezzo come Ode to sad disco, che potrebbe stare nella parte migliore del repertorio dei Depeche Mode o dei Soft Cell.

E' comunque il climax complessivo che riesce a ricreare Mark ad essere straordinario, si tratti delle sue classiche ballate sofferte e maledette (Bleeding muddy water; Leviathan; Phantasmagoria blues; la già citata Deep black vanishing train), di rockettoni più tirati (Riot in my house; Quiver syndrome) o pezzi che intrallazzano con il pop o con l'elettronica (Ode to sad disco; Tiny grain of truth; Gray goes black) , la costante di una classe immensa e di una voce gigantesca (oltre alla qualità dei testi, chiaramente) consentono al livello qualitativo dell'opera di non abbassarsi quasi mai.

E' blues senza esserlo tecnicamente la musica di Mark Lanegan. Lo è nelle suggestioni sempre a tinte fosche che dipinge, nelle storie struggenti e nei saliscendi emotivi che trasmette, tenuti insieme dal filo conduttore di una voce che più blues non potrebbe essere, anche laddove canta un pezzo pop. Non è certo il blues di Muddy Waters o di Robert Johnson che celebriamo con questo disco, è la sua rielaborazione, la sua nuova pelle, il suo nuovo profilo. Più moderno e variegato forse, ma non per questo meno affilato, seducente e pericoloso.

8/10

sabato 16 giugno 2012

Album o' the week / David Allen Coe / For the record (1985)




Personaggio di punta dell'outlaw country americano (insieme a Johnny Cash, Waylon Jennings e Merle Haggard) pressochè sconosciuto dalle nostre parti, David Allen Coe oltre a rappresentare gli aspetti di deriva, solitudine e alcolismo tipici del (sotto) genere, ha spesso infilato nei suoi testi anche tematiche più sconcie e irriverenti, diventando nel tempo (la classe è del 39) una figura di culto del panorama musicale indipendente americano (nel 2006 ha inciso insieme ai membri rimasti dei Pantera con la sola assenza di Anselmo un album dal titolo Rebel meets rebel). For the record è una raccolta che fa il punto dei suoi primi dieci anni di carriera e contiene molti dei pezzi che ancora oggi sono tra i più richiesti dai fan ( You never even call me by my name; Jack Daniels if you please; Longhaired redneck; Willie, Waylon and me; Take this job and shove it; Would you lay with me).

venerdì 15 giugno 2012

80 minuti di Black Eyed Peas

Si saranno anche sputtantati eccessivamente, i Black Eyed Peas, ma essendo io tuttaltro che un fan radicale dell'hip hop, continuo bellamente ad apprezzarli. Il gruppo di will.i.am e Fergie ha inciso finora sette album e una camionata di singoli, dai quali, a fatica, ne estraggo venti per la playlist di oggi.

1) Boom boom pow
2) Falin’ up
3) Pump it
4) My style (feat. Justin Timberlake)
5) Joints and jam
6) Shut up
7) Rock that body
8) Don’y phunk with my heart
9) What it is
10) Hey mama
11) Imma be
12) Bed empire
13) Weekend
14) Don’t lie
15) Que dices
16) Where is the love
17) Meet me halfway
18) Get original
19) I gotta feeling
20) Mas que nada

mercoledì 13 giugno 2012

L'ecologia per i più piccoli



Spiace recensire negativamente un prodotto per bambini orientato alla favola ecologica ma purtroppo, al netto della positività del messaggio, questo Lorax mi è sembrato davvero fiacco e "telefonato" a partire dalla storia passando per i protagonisti per finire ai personaggi comici (quelli classici di ogni cartoon). E sorvolo sulla modalità musical che mi è pesantemente indigesta (ma qui ok, è questione di gusti). La storia è quella della città futuribile priva di alberi dove l'aria si compra da un losco individuo che assomiglia in maniera impressionante a Cetto Laqualunque, notissima caricatura di Albanese.La storia muove tra flashback per scoprire la causa di questa situazione e vicende in tempo reale. Nell'ambito di un film molto colorato ma senza particolari colpi di genio, il personaggio più efficace è senza dubbio quello di Lorax (il buffo essere baffuto in locandina che a dispetto delle apparenze non è il protagonista principale ) doppiato anche in italiano da Danny De Vito. Scelta almeno questa azzeccata visto che l'italiano con cadenza inglese del piccolo attore americano è davvero spassoso (gli altri doppiatori USA sono Zac Efron e Taylor Swift, mentre da noi alcune parti cantate sono affidate a Marco Mengoni). Per il resto passo falso della Universal dopo il trionfale ingresso nel mondo dei cartoon rappresentato da Cattivissimo me (di cui è in lavorazione il sequel). A Stefano è piaciuta la scena degli orsetti/defribillatori. Penso giusto quella.

martedì 12 giugno 2012

Passioni impreviste


Mio malgrado mi sono scoperto fan di Master Chef Italia. Per chi, come me fino a qualche settimana fa, non sapesse di cosa si tratta è presto detto. Si parla di un talent-show (format internazionale) di cucina, dove i concorrenti ambiscono al riconoscimento (appunto) di Master Chef, che prevede, oltre a quel pò di fama e prestigio, che la tv regala, un premio in denaro e la pubblicazione di un libro di ricette a proprio nome. La competizione prevede diverse prove di abilità tra i fornelli, in un crescendo di complessità che ovviamente va di pari passo con la progressiva eliminazione dei concorrenti. Pezzo forte del programma, come di norma per questi format, oltre al campionario di varia umanità dei partecipanti, il ruolo dei tre cuochi-giudici, inesorabili e intransigenti fino alla maleducazione, neanche fossero sergenti con le reclute di un campo di addestramento dei marines USA.
Dicevo che mi ci sono appassionato mio malgrado, perchè da tempo ormai la televisione la guardo poco ed esclusivamente per i film, i serial o le partite di calcio. A mia discolpa posso dire che, diversamente dagli altri reality/talent, ogni puntata di Master Chef dura un'inezia (meno di un ora), è sobria e non sbircia i concorrenti dal buco della serratura, visto che il programma si concentra esclusivamente sull'aspetto della gara e non sui dietro le quinte. L'attuale programmazione (su Cielo) trasmette le repliche della prima stagione, sulla seconda ancora non so nulla.

lunedì 11 giugno 2012

Peaceful, easy feelings

John Mayer

Born and raised

(Columbia) 2012




























Devo essere sincero, non ho ancora capito se John Mayer sia uno vero o se invece si tratti di un prodotto abilmente preconfezionato dall'industria musicale. Il dubbio viene vedendo tutto l'hype, finora francamente ingiustificato, che l'ha sostenuto e il look fin troppo glamour del ragazzo (per modo di dire, visto che è del 77). Anche dal punto di vista prettamente musicale l'artista non ha preso una direzione univoca, muovendosi tra rock-blues, pop e errebì, raggiungendo sempre ottimi risultati commerciali ma comunicando anche l'impressione che non sappia ancora bene cosa fare da grande.


Born and raised, l'album in studio numero cinque della discografia di Mayer, persevera nel trend, scegliendo ancora una volta un canone musicale differente dai precedenti: quello folk. Il disco è infatti una raccolta di brani contraddistinti da atmosfere prevalentemente soffici e acustiche, tutte piuttosto orecchiabili e molto levigate, con un lavoro molto accurato di produzione che toglie ogni sbavatura e imperfezione. Il risultato è un lavoro che vede i suoi momenti migliori nell'apertura di Queen on California e più avanti in Speak for me, Love is averb e A face to call home. Un disco sicuramente piacevole che ben si adatterebbe a commentare le immagini di un film così come di un bello spot patinato, ma che forse ha un suo punto debole nella tenuta nel tempo. Oltre a non sciogliere, almeno per il sottoscritto, il dubbio espresso in premessa.



6,5/10

sabato 9 giugno 2012

Album o' the week / Tommy Conwell and the New Rumblers, Rumble (1988)



Mi sono imbattuto in Tommy Conwell and the New Rumblers quando, tanti tanti anni fa, quello che cercavo dalla musica era il rockandroll semplice e diretto che stava nel timing dei tre-quattro minuti. In questo senso Tommy era perfetto. Di lui ho due album, Guitar trouble e il (leggermente) più noto Rumble, dal quale hanno messo la testa fuori dall'anonimato gli estratti I'm not your man e If we never meet again. Ho fatto una ricerca per vedere che fine avesse fatto dagli ottanta ad oggi e ho scoperto che il tempo non è stato molto clemente con il vecchio Tom, passato da un look alla fronte del porto (sulla copertina è quello con jeans e gilet a pelle) ad un sosia di Michael Chiklis (The Shield, la Cosa dei Fantastici Quattro). Non solo, la sua parabola discendente deve essere stata davvero dura se attraverso il suo sito si offre di impartire lezioni private di chitarra della durata di un ora e mezzo ciascuna. Però solo se siete di Oreland PA, eh. Che altrimenti dovreste pagargli anche la trasferta.

venerdì 8 giugno 2012

Growin' up

La stagione scolastica 2011/2012 in famiglia non sarà ricordata come la più tranquilla per Stefano, attraversata come lo è stata da sue intemperanze comportamentali e da un'irrequietudine pressochè costante in classe che alla fine hanno avuto ripercussioni anche sul profitto. E considerato che stiamo parlando della seconda elementare, la prospettiva non è proprio tranquillizzante.


Qui magari sfogo un pò di ansia buttandola sull'ironico, ma chiaramente dover gestire per tutto l'anno (con il supporto delle maestre) questa situazione, seppur con tutte le immancabili rassicurazioni del caso da parte di parenti e amici ("è una fase, passerà"; "massì, son bambini..."), è stata fonte di tensione e preoccupazione.


Però qui, e solo qui, contando sulla vostra discrezione, posso riportare due episodi sui quali ho faticato a soffocare un sorriso, mentre facevo la parte che mi compete redarguendo perentoriamente mio figlio.



Il primo è recentissimo. Nei giorni scorsi il debosciato e teppista ha imbrattato con una scritta un muro laterale della scuola, utilizzando, per fortuna, in luogo della bomboletta spray, il frutto di un albero, che strofinato sul muro lasciava giù un verdastro intenso. Per i più curiosi aggiungo che il soggetto della composizione letteraria aveva a che fare con la "cacca molle". La bravata gli è costata, oltre all'inesorabile nota delle maestre e una punizione da parte nostra, la condanna ad un lavoro "socialmente utile". Su mia proposta alla scuola infatti, ha ri-tinteggiato (con il mio aiuto) il muro imbrattato. Alla fine la cosa, oltre a suscitare le invidie degli amichetti che morivano dalla voglia di usare pure loro il rullo da imbianchino, gli è anche piaciuta.


L'altro episodio, il più incredibile ma assolutamente autentico, si è verificato a seguito di un colloquio che ha sostenuto da solo con una dirigente scolastica. Premesso che noi gliel'avevamo messa giù molto easy e tutt'altro che in prospettiva punitiva, anticipandogli cose del tipo "questa maestra ti chiederà solo come ti trovi a scuola, con i compagni, etc." , e che detta dirigente si pone per natura sempre in maniera molto dolce e materna, la reazione di Stefano ci ha lasciato senza parole.



Uscendo dall'ufficio della dirigente infatti, fissandomi con un'espressione da duro tipo Bruce Willis in Die Hard, indicando con il pollice la porta appena chiusa alle sue spalle, ha sentenziato: "E questa qui dovrebbe raddrizzarmi?"






Lo so, non ci si crede.






mercoledì 6 giugno 2012

80 minuti di Hank III ( 2/2 )

Seconda parte della playlist antologica di Hank III (qui la prima). So che stavate in pensiero.


1) Nightime ramblin’ man
2) Thrown out of the bar
3) Tore up and loud
4) Low down
5) Trash ville
6) Troopers hollar
7) Crazed country rebel
8) Long hauls and close calls
9) I wish i knew
10) Gutter stomp
11) Day by day
12) Mississippi mud
13) Rebel within
14) Lonesome daddy
15) The sun comes up
16) Country heroes
17) Drinkin’ over mama
18) Devil’s daughter
19) Angel of sin
20) Cocaine blues (live)

lunedì 4 giugno 2012

Metamorfosi

Afterhours
Padania
(Germi) 2012
















Hanno ancora qualcosa da dire, gli Afterhours? La band, tra le più più autorevoli del panorama italiano degli ultimi vent'anni, prova con Padania a rispondere affermativamente. E lo fa in maniera rumorosa e spiazzante, assecondando la personalità del suo leader, Manuel Agnelli.

Il disco che saluta dopo dieci anni il ritorno in formazione del chitarrista Xabier Iriondo infatti è talmente denso, stratificato, contraddittorio, geniale, controverso e ricco di spunti da disorientare in più di un occasione l'ascoltatore, reclamando una soglia di attenzione e sedimentazione non comune già a partire da Metamorfosi, la prima traccia in scaletta, dove i nostri dimostrano che il collegamento con gli Area non si è esaurito dopo l'impersonificazione di quella band nel film del 2004 Lavorare con lentezza. Palese è infatti il tributo che Agnelli paga all'approccio di Stratos all'intonazione. I risultati, per una forma di rispetto dei due interpreti, non sono paragonabili, visto che l'estensione vocale del cantante degli Area, che usava la sua voce come un vero e proprio strumento tentando di spingerla oltre i limiti umani, è inarrivabile, ma è da apprezzare il coraggio di proporre un approccio al pop che era all'avanguardia nei settanta e che continua anche oggi ad essere tuttaltro che accessibile alle masse. La traccia poi è posta in apertura quasi con intenti intimidatori verso l'ascoltatore, in modo da destarlo dai suoi preconcetti sui contenuti dell'opera.

Di segno opposto sono invece le successive Terra di nessuno e La tempesta è in arrivo, rientranti nell'ambito di uno stile meno di rottura e riconducibile al marchio Afterhours, mentre la pregnante Costruire per distruggere rappresenta il primo climax dell'opera: un pezzo davvero sincero e palpitante, così come la title-track Padania.
La parte centrale dell'album è probabilmente quella in cui la band si concede la maggiore dose di sperimentazione, tra dissonanze, cambi di tempo,riverberi, violini usati come unghie sulla lavagna e sovrapposizioni di voci (Ci sarà una bella luce, Spreca una vita, Giù nei tuoi occhi) e dove, inevitabilmente, coesistono intuizioni felici e meno riuscite.
La struggente Nostro anche se ci fa male è uno degli episodi più vincolati al modo classico di comporre degli Afterhours. Una canzone che parla d'amore, d'abbandono e dei demoni oscuri che agitano questi sentimenti. Chiude il lavoro La terra promessa si scioglie di colpo, che dietro l'apparenza di una ballata pianistica nasconde una tensione trattenuta e che è anch'essa da annoverare nel lotto dei pezzi che lasciano il segno.

La considerazione finale che mi sento di fare è che Padania, a partire dal titolo (che continua a non piacermi nonostante la band si sia sperticata in spiegazioni filosofiche sulla sua origine, dissociandosi dalle connotazioni secessioniste/politiche) è un lavoro sporco, imperfetto e slabbrato. Proprio queste caratteristiche in alcune parti costituiscono la sua forza genuina mentre in altre si ha l'impressione che siano un pò derivate e fini a se stessi. E' un disco che esalta e coinvolge ma che in alcuni pasaggi rischia concretamente la comicità involontaria: talvolta l'interpretazione di Agnelli più che accostarsi a Demetrio Stratos richiama Celentano, addirittura Elio.

L'album è tuttavia la feroce dimostrazione che gli Afterhours non si sono imborghesiti, non tirano a campare e non fanno dischi tanto per fare. Non sono insomma diventati la cover band di loro stessi come tanti altri illustri colleghi italiani e stranieri. Continuano al contrario a sfidare il loro passato, inciampando magari, ma rialzandosi sempre. E io, nell'ammirare questo coraggio non comune e parafrasando una strofa da Nostro anche se ci fa male, "ho imparato a amare il loro dolore piuttosto che non amarli più".



7/10

sabato 2 giugno 2012

Album o' the week / Cypress Hill, Black Sunday (1993)



La voce canzonatoria di B-Real, le rime che sembrano filastrocche dell'asilo ma lasciano secchi, i teschi, la maria. Cazzo, avevo fatto passare troppo tempo dall'ultima volta...