lunedì 18 giugno 2012

The blues within

Mark Lanegan Band
Blues funeral (2012)


















In principio fu Virna Lisi, che con quella bocca, in un famoso spot dei tempi di Carosello, poteva dire ciò che voleva. Poi sono arrivati tutti una serie di interpreti che quell'effetto lo raggiungevano grazie alla propria voce, uno strumento talmente suggestivo che oggi potrebbe anche intonare i discorsi di Monti ed arrivare comunque al cuore degli ascoltatori. Costoro sono in una lista che va idealemente da Sinatra a Cash. Una lista nella quale ho da sempre incluso anche Mark Lanegan. Questa consapevolezza mi ha folgorato durante l'ascolto di Deep black vanishing train, la penultima canzone di Blues Funeral.

Niente da dire, proprio bello questo album di Lanegan,settimo full lenght della sua produzione solista a otto anni di distanza dall'eccellente Bubble gum. L'artista di Washington ci dà dentro con lo stile oscuro che ha messo meticolosamente a punto da oltre vent'anni a questa parte dopo lo scioglimento dei seminali (in ambito grunge) Screaming Trees, ma si lascia andare anche ad influenze qui elettriche lì elettroniche, eredità del passato e delle numerose collaborazioni (ad esempio con i Soulsavers o con i Queens of the stone age) degli ultimi anni, riuscendo a spiazzare anche il più scafato dei fans con un pezzo come Ode to sad disco, che potrebbe stare nella parte migliore del repertorio dei Depeche Mode o dei Soft Cell.

E' comunque il climax complessivo che riesce a ricreare Mark ad essere straordinario, si tratti delle sue classiche ballate sofferte e maledette (Bleeding muddy water; Leviathan; Phantasmagoria blues; la già citata Deep black vanishing train), di rockettoni più tirati (Riot in my house; Quiver syndrome) o pezzi che intrallazzano con il pop o con l'elettronica (Ode to sad disco; Tiny grain of truth; Gray goes black) , la costante di una classe immensa e di una voce gigantesca (oltre alla qualità dei testi, chiaramente) consentono al livello qualitativo dell'opera di non abbassarsi quasi mai.

E' blues senza esserlo tecnicamente la musica di Mark Lanegan. Lo è nelle suggestioni sempre a tinte fosche che dipinge, nelle storie struggenti e nei saliscendi emotivi che trasmette, tenuti insieme dal filo conduttore di una voce che più blues non potrebbe essere, anche laddove canta un pezzo pop. Non è certo il blues di Muddy Waters o di Robert Johnson che celebriamo con questo disco, è la sua rielaborazione, la sua nuova pelle, il suo nuovo profilo. Più moderno e variegato forse, ma non per questo meno affilato, seducente e pericoloso.

8/10

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