Le leggi che regolamentano lo sciopero nei servizi pubblici essenziali (come sono ad esempio i trasporti) sono la 146/90 e la 81/01.
Gli effetti di queste normative sono stati duplici e controversi.
Da un lato, quello che interessa i lavoratori dei settori interessati, è diventato tremendamente difficile organizzare uno sciopero.
La procedura a grandi linee prevede l'invio di una lettera all'azienda con richiesta di incontro "nell'ambito della prima fase della procedura di raffreddamento".
L'impresa ha dieci giorni di tempo per rispondere e convocare il sindacato.
Se non lo fa o se l'incontro è infruttuoso, le organizzazioni sindacali scrivono un'altra lettera, mettendo in indirizzo Prefettura e Commissione di Garanzia, attivando la "seconda fase della procedura di raffreddamento".
Entro cinque giorni saranno convocati in prefettura insieme alla società interessata dalla procedura, per un tentativo di conciliazione, che non funziona quasi mai.
Adesso si può indire lo sciopero, ma solo di quattro ore e, per ciò che concerne gli aeroporti, escludendo alcune fasce orarie di intenso traffico (dall 07:00 alle 10:00 e dalle 18: alle 21:00)
E' fatta? Macchè.
A questo punto bisogna individuare una data. Si consulta il calendario della Commissione di Garanzia sugli Scioperi e si cerca uno slot libero, che deve essere distanziato di dieci giorni tra l'astensione precedente e di dieci da quella successiva.
Risultato? Su tematiche "calde", chessò un azienda non ha pagato gli stipendi, io sciopero quattro ore, dopo 45-60 giorni. Immaginate l'efficacia dell'iniziativa...
L'effetto contraddittorio delle leggi di regolamentazione sta nel fatto che è stato indebolito il diritto costituzionale di sciopero dei lavoratori, ma non ha diminuito il numero delle astensioni programmate. E basta dare un'occhiata al calendario linkato più su per rendersene conto.
Il problema sta nel coniugare il diritto dei cittadini alla mobilità con quello dei lavoratori a scioperare, e non è di facile soluzione. Servirebbero menti illuminate, una vera, ampia discussione, il coinvolgimento di personalità del mondo politico, civile, sindacale, accademico. Un primo passo potrebbe sicuramente essere quello della legge sulla rappresantività dei sindacati nelle imprese, che limiterebbe il numero delle sigle (che lascerebbe non necessariamente campo ai soli confederali, in alcune aziende sono maggioranza gli autonomi) e di conseguenza, quello delle astensioni.
La CGIL da tempo chiede un'insieme di regole che normino la reale rappresentanza sindacale, un pò come accade nel pubblico impiego, unico settore in Italia ad averle. Perchè è vero che in alcune attività del trasporto aereo ( ad esempio per i i controllori di volo ) basta un sindacatino con dieci iscritti, ed uno sciopero organizzato bene, per metter in ginocchio tutto il trasporto aereo nazionale.
Le regole però non possono essere quello dell'accordo separato sulla riforma della contrattazione firmato da CISL, UIL e UGL il 22 gennaio 2009. A parte altri aspetti simpatici come il taglio del tasso d'inflazione nel calcolo per i rinnovi, o la possibilità per le aziende di derogare ai vincoli contrattuali, l'intesa prevede, per i servizi pubblici, che possa proclamare sciopero solo chi ha la maggioranza dei lavoratori iscritti. Ciò significa che se la CGIL avesse in un impresa il 40% di iscritti e gli altri, tutti insieme, il 30%, non potrebbe portare in sciopero i lavoratori.
A memoria vostra, quando è stato l'ultimo sciopero fatto solo dalla CISL, o dalla UIL, o da entrambe?
Viene da pensare che sia un'accordo fatto su misura per contrastare il sindacato di Epifani, che invece, in determinati momenti storici, gli scioperi da solo ha la forza, la capacità e gli strumenti per farli.
Il ddl discusso ieri ( se ne è occupato anche Ale) non è altro che la logica conseguenza dell'intesa separata firmata da governo, confindustria e organizzazioni sindacali ad eccezione della Cgil.
E' un cavallo di battaglia di Sacconi, ex-socialista che realizza un sogno da società fascista.
Volete sapere qual'è la cosa bella? Se facessimo un referendum, lo vincerebbero loro, perchè su questo tema i cittadini italiani sono sicuramente d'accordo con il governo.
Contro l'accordo separato sulla riforma della contrattazione la Cgil ha organizzato assemblee i tutti i luoghi di lavoro, un referendum e una grande manifesterazione a Roma il 4 aprile. A questo punto quella iniziativa si riempie di ulteriori valori e significati. Siamo destinati, volenti o nolenti e con tutti i nostri limiti, e le nostre contraddizioni, ad essere l'unica grande aggregazione che rappresenta il dissenso.
Almeno fino a quando non si tornerà al sindacato unico di stato...