lunedì 30 marzo 2020

Ozzy Osbourne, Ordinary man

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Probabilmente per molti è un'osservazione superflua, ma vorrei rivolgermi a quanti stanno criticando il nuovo disco di Ozzy solo perchè poco "heavy".
Ordinary man potrà essere buono o pessimo, ma non per la sua grammatura metallica, giacchè Ozzy, da un pezzo, non è più l'icona hard&heavy degli ottimi esordi da solista.
Da tempo produce infatti lavori mainstream rock, coadiuvato da una squadra di session man, produttori e manager che servono ad assicurarsi che il "prodotto" finale sia abbastanza commerciale. Nel farlo, a volte riescono a riannodare gli esilissimi fili della storia artistica di Ozzy, e a volte no.
Mai come in questo caso la premessa è doverosa, per affermare che il ritorno sulle scene, da solista, del primo cantante dei Black Sabbath, dieci anni dopo il (lo possiamo dire) pessimo Scream, non è da buttare.

L'incipit di Straight to hell cerca di coniugare il nuovo e il vecchio Ozzy, come accennavo, con un testo blandamente maledetto, steso sopra un hard rock ruffiano, che funziona (così come l'inconfondibile "alright now" in apertura).
Ad aprire l'interminabile lista di ospiti illustri e musicisti da studio che corroborano il lavoro dell'artista inglese, nel pezzo d'apertura suona metà formazione dei migliori Guns 'n' Roses (Slash e Duff McKagan), oltre a Chad Smith (RHCP).
Smith e McKagan sono presenti per quasi tutto l'album, mentre Slash torna con uno dei suoi classici solo, nella riuscita ballata che dà il titolo al disco, interpretata da Ozzy assieme a sir Elton John (ospitata che in altri tempi sarebbe stata "blasfema" e che qui invece risulta funzionale).
Così come stonerebbe un'altra ospitata piazzata per ragioni commerciali, quella di Post Malone, che si prende la scena nella coda del disco, con due brani consecutivi: It's a raid (dove troviamo anche Tom Morello) e Take what you want,  ballad con influenze nu soul, in questo caso davvero evitabile, perchè completamente fuori contesto e perchè la traccia era comunque già inclusa nell'ultimo album di Post Malone, Hollywood's bleeding

Non sempre un prodotto nato e costruito per vendere, prima che per afflati artistici, con una lista di collaboratori lunga una pagina (leggere per credere), riesce a mantenere un filo conduttore, una coerente omogeneità. Ordinary man, che di certo non è il disco dell'anno, riesce invece a suonare come un album coeso, toccando qualche picco di rilievo (All my life; Goodbye; Straight to hell; Eat me) e regalando qualche testo che lascia il segno (Under the graveyard). 
Tutto sommato è un bell'accontentarsi, anche in considerazione delle precarie condizioni di salute di quest'uomo qui.

lunedì 23 marzo 2020

Huey Lewis and The News, Weather

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Con il mio consueto tempismo, arrivo a marzo inoltrato per postare le prime recensioni del 2020.
Dopo gli Anvil, qui sotto, parlo con grande entusiasmo di un artista che non è certo un big irrinunciabile, ma verso il quale nutro affetto e simpatia.
Un artista che non pubblica un album con materiale inedito da quasi vent'anni (Plan B è del 2001) per ragioni che ho scoperto solo cercando in questi giorni in rete informazioni sul suo nuovo lavoro.
Sto parlando, lo si è capito dall'immagine sopra, di Huey Lewis e dei suoi fidati The News, che per anni hanno rappresentato la faccia spensierata del rock radiofonico americano, una faccia che fotografa in maniera immediata il decennio degli ottanta (cinque album su otto sono stati rilasciati in quel periodo) anche per il collegamento che tutti facciamo con la colonna sonora del film culto Ritorno al futuro (tuttavia altrettanto degno di nota è il meno celebre, ma strategico nella narrazione, utilizzo di un brano, Hip to be square, sia nel romanzo che nella trasposizione cinematografica del capolavoro di Bret Easton Ellis American pshyco).

Dopo il successo degli ottanta e il calo dei novanta Huey ha fatto anche un pò di cinema e televisione, in genere in parti secondarie (forse il suo film più noto è Duets, con Gwyneth Paltrow), ma in linea di massima sembrava essere definitivamente uscito dai radar.

Scopro oggi, e così mi ricollego alla premessa, che il buon Lewis ha sviluppato negli anni una grave patologia che gli ha danneggiato quasi irrimediabilmente l'udito, con conseguenze devastanti anche dal punto di vista psicologico.
Non è un fenomeno raro nel mondo del rock, il precedente più noto è quello di Pete Townsend degli Who.

Ad ogni modo, nonostante le oggettive difficoltà, Hugh Anthony Cregg III (vero nome del nostro), è riuscito a riunire i sodali storici e a rilasciare questo Weather, lavoro più lungo di un EP e più breve di un full lenght. 
Sette brani per ventisei minuti di, lo dico subito, one hundred percent Huey Lewis and the News classic sound.
L'album è aperto da While we're young,il brano forse più cool e rilassato della tracklist, che rimanda alle atmosfere vagamente tropicali di Small World (il mio album preferito della produzione lewisiana).
Poi si parte con la nota (ma quanto ci era mancata!) alternanza tra modalità pub rock (Her love is killin' me); soul (Hurry back baby); rock and roll (Pretty girls everywhere) e, a sto giro, dell'ottimo country (One of the boys), della celebrata ditta.
I testi viaggiano leggeri tra love songs, relaxin; liriche esistenziali e perle per uomini in crisi di rapporto con la propria metà. Da questo punto di vista Remind me why I love you again, chiudendo un occhio sul messaggio tipicamente maschilista, da marito in libera uscita, è un vero e proprio inno irresistibile.

Weather è per me un lavoro atteso, che, anche se dà ai fans esattamente quello che si aspettano, grazie alla qualità delle composizioni non può essere accusato di manierismo. 
Se non si fosse ancora capito, siamo di fronte al primo disco emozionale dell'anno, per Bottle of Smoke.

lunedì 16 marzo 2020

Anvil, Legal at last

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C'è poco da fare, non fosse stato quel capolavoro di brutale e condivisa autoanalisi del documentario The story of Anvil, il gruppo canadese sarebbe rimasto nell'oblio in cui era precipitato, pur continuando, sostanzialmente, a rilasciare album.
Quel documentario invece ce li ha fatti amare, così come si ama un amico che continua a provarci no matter what e ha fatto riscoprire a molti il piacere di andare ai loro concerti.
E' nata insomma una profonda empatia anche con chi, è il mio caso, non aveva mai incluso gli Anvil nel proprio radar.

Legal at last (il riferimento è alla marijuana che il governo canadese ha legalizzato - entro certi termini - dal 2018) è il diciannovesimo album in studio della band in una discografia che, dal 1981, si dipana con regolarità in un orizzonte temporale di quarant'anni.
La formazione attuale è un trio, composto, oltre che dai leader Steve "Lips" Kudlow (voce e chitarre) e Robb "Robbo" Reiner (batteria) dal basso (ruolo che cambia quasi ad ogni disco/tour) di Chris Robertson.
L'album è il solito divertente compendio di musica hard & heavy di stampo classico, con brani in tipico stile Anvil, come l'opener che riprende il titolo del lavoro, impreziosita da coretti country&western, assieme a tracce che, in un continuo rimando tra la band e le altre più importanti formazioni coetanee, riprendono atmosfere alla AC/DC (Nabbed in Nebraska); Accept (I'm alive) o contesti doom (Gasoline).
Chiude un altro mid tempo di stampo doom: Said and done, che bene riassume il senso del disco. Tutto, nella proposta della band è già stato detto e fatto, ma ciò nonostante fa piacere riascoltarlo. 
In particolar modo dagli Anvil.

sabato 14 marzo 2020

Quarantena e lavoro poco agile

Da noi hanno trovato un caso positività allo stramaledetto coronavirus, pertanto da qualche giorno sono in quarantena.
Tutto bene dunque? Relax tra libri film e musica?
Al contrario. Lavoro da casa tra skype, telefono bollente e insofferenze familiari.
Insomma, lo smart work è una merda.

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lunedì 9 marzo 2020

Eclipse, Paradiigm (2019)

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L'hard rock melodico (sembra un ossimoro) è vivo è lotta con noi. 
Lo stesso si può dire per la Svezia, terra musicalmente meravigliosa e floridissima di band che si applicano in tutte le declinazioni del metal.
L'ennesima dimostrazione arriva dall'ultimo lavoro degli Eclipse, formazione perlappunto svedese, nel music biz da vent'anni, cadenzati un'estrema regolarità nelle uscite, se è vero che Paradigm è il nono disco rilasciato.
E niente, sto album potrebbe essere preso a riferimento su come si fa glam/aor nel terzo millennio, o, a scelta, su come si naviga in acque arcinote riuscendo comunque a risultare freschissimi e giustificare così la propria esistenza (capito, Airbourne?).
Tra l'altro nelle undici tracce dell'edizione standard del CD, contrariamente alle abitudini delle band hair metal, specializzate nelle classiche ballate strappamutande, non compare nemmeno un lento, al massimo qualche breve incipit acustico o sporadici midtempoes. Il pezzo che viaggia meno veloce è il conclusivo Take me home (forse, non a caso il più debole).
Disco senza filler, pezzi ariosi, ritornelli killer, qualche incursione nel power metal perfettamente funzionale all'obiettivo.
Una quarantina di minuti che passano festosamente a ritmo di pezzi come Viva la victoria, Shelter me, When the winter ends o The masquerade e che ravvivano la migliore tradizione glam/hair/hard rock.

Avanti tutta.

lunedì 2 marzo 2020

MFT gennaio - febbraio 2020

ASCOLTI

Green Day, Father of all
Stone Temple Pilots, Perdida
The Cadillac Three, Country fuzz
Possessed by Paul James, As we go wandering
Myles Goodwyn, and friends
Marc Anthony, Sigo siendo yo
Dirty Shriley, ST
Huey Lewis and the News, Weather
Anvil, Legal at last
Eclipse, Paradigm
Sepultura, Quadra
Albert Cummings, Believe
Ozzy Osbourne, Ordinary man
Biff Byford, School of hard knocks
H.E.A.T., II
Smoke Fairies, Darkness brings the wonders
The Night Flight Orchestra, Aeromantic
The Mahones, 25 years of irish punk
Fabri Fibra, Il tempo vola
Cattle Decapitation, Death atlas
Fever 333, Strenght in numb333rs
Asomvel, World shaker
The Score, Atlas

Playlist

Justice, 2007/2016
Iced Earth, 1990/1998
The Black Crowes, 1990/1995
Swallow the Sun, 2003/2015

VISIONI

Tolo tolo (2,5/5)
Creed II (2/5)
La truffa perfetta (2,5/5)
Sorry, we missed you (3,5/5)
The dirt (3/5)
Finding Steve McQueen (3/5)
Bohemian Rhapsody (2/5)
Il primo re (4/5)
Peppermint, L'angelo della vendetta (1/5)
Bentornato Presidente (3,5/5)
Parasite (4,5/5)
Everly (3/5)
Rocketman (3,5/5)
City of crimes (2,5/5)
Michael Clayton (3,5/5)
Overlord (3/5)
Odio l'estate (3/5)
Irrational man (3,5/5)
Il diritto di opporsi (2,5/5)
Birds of prey (2/5)
Regression (3,5/5)
Upgrade (3,5/5)
Widows - Eredità criminale (3/5)
I morti non muoiono (3,5/5)
Le paludi della morte (3/5)

Visioni seriali

Farina
American Gods
Zero zero zero

LETTURE

Vladimir Nabokov, Lolita