venerdì 15 luglio 2011

The other side of the story












Quante volte abbiamo sentito, dall'alto della loro ricchezza, i grandi del rock ricordare come la musica gli abbia salvato la vita? Che senza quest'arte avrebbero probabilmente finito per diventare tossici persi o a fare il lavoro in fabbrica dei loro genitori.

Beh, in mezzo ai (tutto sommato) pochi che sono riusciti a raggiungere livelli tali da costruirsi grattacieli privati (ogni riferimento agli U2 è voluto) , ce ne sono molti che la fama e la ricchezza l'hanno solo sfiorata, per poi tornare indietro esattamente al punto di partenza, come in un folle gioco dell'oca. Nonostante questo, una parte di loro, seppur nell'indifferenza generale, a discapito dei rifiuti del mercato e incurante di sfiorare il patetico, non ha mai mollato.

E' questa la storia degli Anvil, e l'idea di raccontarla in un documentario è un'intuizione dannatamente geniale. The Story of Anvil spezzerà il cuore di qualunque attempato amante non solo del metal, ma del rock in generale. Lo farà sorridere, emozionare, commuovere, divertire. La band canadese, che ha raggiunto il suo apice di gloria a metà anni ottanta con l'album Metal on Metal e con l'esplosione dell'hair-metal (anche se il loro genere è più vicino al trash), non è mai riuscita ad avere alcun million-seller tra i suoi album (tutti riportanti in copertina la trashissima incudine, nome e simbolo del combo).

Il nucleo del gruppo è formato da Steve "Lips" Kudlow, chitarrista e cantante, e Robb Reiner, batterista. I due si conoscono da ragazzini e il film basa proprio sul loro rapporto il filo narrativo della storia. La pellicola si apre con la band che suona nell'apoteosi di un festival metal in Giappone nel 1984, vediamo Lips vestito con delle cinghie di pelle nera unite al centro del petto da un anello, suonare l'elettrica con un vibratore. A commentare le immagini, le parole d'elogio agli Anvil di Lemmy dei Motorhead, Slash e Lars Ulrich dei Metallica. L'azione poi si sposta nella Toronto innevata dei giorni nostri. Un furgone di catering arranca sulle strade ghiacciate. A guidarlo proprio Lips, faccia stanca e affondata in un pesante copricapo, che parlando all'operatore spiega il suo lavoro da autista di catering.

Nonostante il frontman degli Anvil si mantenga facendo un lavoro anonimo, la band, vale a dire lui e Robb, non si è mai sciolta. Suona dove capita, nei piccoli club o nei pub. La vediamo partire per un tour sconclusionato in Europa, guidata da un "manager" sui generis. E' Tiziana, un ragazza italiana dalla bestemmia facile, che svolge però l'attività per pura passione, senza ricevere da quanto si capisce, emolumenti dalla band. Tra gestori che non pagano le serate, colleghi rockstar che li guardano come una cacca di piccione sulla manica, treni persi o non presi per mancanza di prenotazione, cresce l'empatia e l'affetto per questi cinquantenni che una volta inseguivano un sogno e oggi non si sa bene cosa. Vediamo i familiari, perlopiù perplessi e negativi rispetto alla "carriera" dei loro cari, vediamo Robbie spesso silenzioso e soprattutto vediamo Lips,al contrario, parlare in continuazione, un fiume in piena letteralmente inarrestabile.

Non mancano le disavventure per registrare, pubblicare e distribuire un nuovo album (This is thirteen) con il vecchio produttore che gli scuce 12.000 dollari, e le major che, una ad una, li rimbalzano come un muro di gomma gettandoli nello sconforto più profondo, ma alla fine il sorriso da bambino felice che si allarga sul viso di Lips quando riceve la telefonata giusta, è uno dei momenti più toccanti del film.

In molti hanno paragonato The Story of Anvil a This is Spinal Tap, il film (anche quello imperdibile) di Rob Reiner che parodiava le band di heavy metal, ma beh, io non sono d'accordo. Quello era un sarcastico sfregio ad un mondo che si prendeva troppo sul serio, The Story of Anvil è più un film su due folli irriducibili che hanno la stessa speranza di farcela nel music buisness di un fienile di sopravvivere ad un tornado. Ma che nonostante questo non si fermano. E non smetteno di progettare (e di parlare, nel caso di Lips, diamine dev'essere una delle persone più logorroiche di tutti i tempi!).

Non si può non amare dei personaggi così. Non si può non provare per loro autentico affetto. Onestamente spero che il successo di critica che il progetto ha raccolto abbia rilanciato la carriera della band che tra l'altro proprio in queste settimane ha pubblicato un nuovo album, Juggernaut of Justice. Di sicuro, dopo averlo visto, anche voi come me diventerete nuovi fans dell'incudine. Garantito.


1 commento:

Anonimo ha detto...

Sì, molto carino. Mi piacerebbe vedere quello degli Spinal Tap