lunedì 25 luglio 2022

Fontaines D.C., Skinty fia

 


I Fontaines D.C. sono ormai una realtà consolidata della new wave of new wave inglese tardo settanta inizio ottanta. Fieramente irlandesi (Skinty Fia - la dannazione del cervo - è il secondo disco - su tre - con un titolo in gaelico, dopo il debutto Dogrel - filastrocca - ), hanno estrinsecato l'amore per la propria terra in due modalità: la prima, all'esordio, da indigeni, quindi con il forte orientamento polemico proprio di chi ama in modo smisurato la sua terra, la seconda, che sta alla base di molte composizioni di questo album, da emigranti in Inghilterra e quindi più malinconico, nostalgico, evocativo. Per rendere plastico il concetto, la distanza e la diffidenza che ancora c'è tra certa Great Britain e, come vengono volgarmente chiamati gli emigranti irlandesi, i Paddies, Skinty Fia si apre con In àr gCroìthe go deo, che prende spunto dalla recente vicenda di una famiglia irish di Coventry alla quale è stato negato di incidere la frase in gaelico titolo della canzone (significa: per sempre nei nostri cuori) sulla tomba di un congiunto, a causa di un pregiudizio che ancora oggi connette l'uso di questa lingua antica con l'IRA e il terrorismo. 

Nella breve storia di questa band qualcosa l'abbiamo imparata: ad esempio che l'open track orienta in qualche modo il mood del disco. Se nel debutto Dogrel era Big a definire le coordinate post punk e strafottenti del lavoro, e in A hero's death lo stesso faceva la malinconica litania new wave I don't belong, qui si sceglie una strada ulteriormente diversa, con un brano che rimanda alla tradizione celtica (lo stesso farà The couple across the way, la traccia numero sette) e che è frutto della nuova vita da migranti dei ragazzi: uno status che cambia le prospettive e addolcisce i ricordi.  L'irlandesità da lontano è celebrata anche nel pop (che una volta avrebbe potuto essere) da classifica di Roman holiday e nel drammatico, accorato j'accuse di I love you
Al netto di questo aspetto, comunque prevalente, Skinty fia, dovendo scegliere da che parte stare tra l'esuberanza del debutto e la freddezza (a tratti) del secondo lavoro, opta per quest'ultimo campo. Così How cold love is, filosoficamente, si intreccia a I don't belong, aggiungendo alla ricetta l'ingrediente della tossicità in taluni rapporti interpersonali e Jackie down the line inserisce con garbo gli Smiths nella lista dei tanti artisti graditi ai ragazzi. 

Questo disco e Dogrel hanno monopolizzato molti dei miei ascolti delle ultime settimane. Lo sai, io sono quello che quando va in fissa con qualcuno diventa anche noioso nella reiterazione degli argomenti, ma era un pezzo che non mi innamoravo in maniera tanto radicale di una band. Di una band, peraltro, così lontana dai miei clichè. 
Spero che la salute e l'ispirazione ce li conservi a lungo.

lunedì 18 luglio 2022

Kiss kiss bang bang (2005)

 



Harry è al punto più basso della gerarchia dei ladri, al punto che è ridotto a rubare il giocattolo richiesto dal nipote per Natale, quando scatta l'allarme del negozio ed è costretto a scappare assieme al suo complice. Ingaggiati in un conflitto a fuoco con la polizia, Harry scappa e finisce per nascondersi in un ufficio dove stanno "provinando" alcuni attori. Lo shock della fuga e della sparatoria lo portano a fornire una prova attoriale tesissima, che lo vede entrare nel giro del cinema hollywoodiano.

Esordio alla regia di Shane Black, Kiss kiss bang bang, rivisto oggi, emerge per il gioiellino di black comedy e sarcasmo che forse non tutti avevamo compreso al momento della sua uscita. C'è davvero tanta roba e messa in scena egregiamente, in questo film: l'intreccio poliziesco, la critica corrosiva alla comunità della mecca del cinema americano, ritmo, azione e battute fulminanti. 
Robert Downey jr, ad un passo dall'incontenibile notorietà scaturita dal ruolo di Tony Stark/Iron Man (e, a proposito, chissà se è stato proprio l'attore a proporre Shane Black per Iron Man 3), è strepitoso nei panni del ladro onesto, moralista e logorroico Harry Lockhart, così come lo sono, nei rispettivi ruoli, Michelle Monaghan (l'aspirante attrice Harmony) e Val Kilmer (il detective privato Perry). 
Downey jr è anche la voce fuori campo che sfonda la quarta parete demolendo i clichè del cinema popolare USA. Non di secondaria importanza la tenuta dell'intreccio puramente crime, che, nonostante il chiaro intento provocatorio del progetto, tiene fino alla fine col fiato sospeso.

Tra Il grande Lebowski, Hollywood party e Vizio di forma

Da riscoprire


lunedì 11 luglio 2022

Lyle Lovett, 12th of june

Questa maledetta abitudine consumistica di incasellare dentro un genere, sopra la mensola di uno scaffale, un'etichetta ad un artista resiste anche alla fine del mercato discografico. Probabilmente perchè anche le piattaforme di streaming devono alimentare quel mostro chiamato algoritmo e orientare gli ascolti degli utenti, non sia mai che si affacci a qualcosa di nuovo o spiazzante o inaspettato. 

Così capita che ancora oggi, dopo che ha ampiamente dimostrato quanto trasversale possa essere la sua musica, Lyle Lovett, sia ancora considerato solamente un artista country. E' probabilmente sfuggito a qualcuno il fatto che da almeno una ventina d'anni il nostro registra e si esibisce coadiuvato da una band da quindici elementi di chiaro stampo jazzistico (la Large Band) e che le sue composizioni sono tutt'uno con jazz, swing, dixieland, old music in generale. 
All'inconsapevole scopo di ribadirlo, Lyle, per il suo comeback album dopo dieci anni dal precedente, compie due mosse: la prima passare ad un etichetta dalla nobile tradizione jazz (la Verve) e la seconda sparare in faccia all'ascoltatore una partenza 100% jazz & swing, attraverso quattro classici del genere (lo strumentale Cookin' at the Continental di Horace Silver; Straighten up and fly right di Nat King Cole; Gee, baby ain't I good to you di Razaf/Redman - molto nota la versione di Billie Holiday -  e Peel me a grape di David Frischberg) e un pezzo scritto di suo pugno, il trascinante e divertentissimo Pants is overrated
In questa parte del disco (5/12 del totale della tracklist) la Large Band maramaldeggia in lungo e in largo, facendo emergere in maniera prepotente l'alchimia che si è ormai creata tra il leader e i musicisti. Nella seconda parte (quanto sarebbe efficace lo stacco temporale di un lato B di un 33 giri) emerge tutto l'afflato old time country, con le melodie alla Gram Parsons sempre ben presenti, e una manciata di pezzi (Her loving man; 12th of june, dedicata - al pari di Pants is overrated - alla recente nascita dei suoi due gemelli) emozionali che lasciano spazio solo in un'occasione (Pig meat man) all'aspetto più ludico, ma sempre ispirato, del talento compositivo di Lyle.

Se cercavamo un'ulteriore prova che le uscite, ormai rarefatte, di Lovett non siano mai banali il sessantacinquenne texano ce le ha fornite, con un altro disco incantevole.

lunedì 4 luglio 2022

I Molti Santi del New Jersey (2021)

 

New Jersey, fine anni sessanta. La mafia italiana agisce da quel lato del fiume Hudson attraverso "Gentleman" Dick Moltisanti e le diramazioni della sua famiglia, su tutti Johnny Soprano. Il sistema patriarcale sul quale di fonda la comunità italo-americana è scolpito nella roccia: gli uomini a svolgere le varie attività (lecite a copertura di quelle illecite) e le donne a casa. Tutti gli uomini sono sposati e hanno una comare (l'amante) fissa, per farci ovviamente le cose che, nella cultura retrograda dell'epoca, non possono/vogliono fare con la moglie, e spesso le consorti (rigorosamente confinate alla gestione di casa e figli) ne sono a conoscenza. Dick ha però diversi problemi: la moglie non riesce a restare incinta, e, allo stesso tempo, il padre torna dall'Italia con una nuova, giovane, moglie, proprio mentre la manovalanza di colore di cui si serve minaccia di ribellarsi.

La conclusione de I Soprano (qui le recensioni delle stagioni 4 , 5 e 6), per molti - me compreso - perfetta, combinata con la prematura scomparsa di James Gandolfini, ha lasciato orfani i fan della serie. Detto che sarebbe stato delittuoso dargli un seguito, HBO e gli autori hanno cominciato a lavorare su di un prequel, che è finalmente uscito l'anno scorso. David Chase ha però concentrato la narrazione non tanto sul padre di Tony Soprano, Johnny, che pur compare (interpretato da Jon Bernthal), ma su Dick Moltisanti, papà di Christopher, personaggio importante, ma secondario del serial. 
La scelta si è rivelata azzeccata, perchè viene introdotto il personaggio controverso e meraviglioso di un gangster che cerca di compensare i suoi scatti di rabbia e la sua crudeltà (mostrata attraverso due-tre scene intense, ed una, in particolare, splatter) con atti di generosità e, soprattutto, con un rapporto di grande affetto nei confronti del nipote adolescente Anthony Soprano (interpretato da Michael Gandolfini, figlio di James), futuro boss, nonchè, ovviamente, perchè Alessandro Nivola sembra nato per il ruolo, tanto lo veste bene. Non mi ha invece del tutto convinto l'idea di usare Ray Liotta (alla sua penultima prova prima della scomparsa) per il doppio ruolo di padre e zio di Dick.

Anche se il film è perfettamente godibile senza aver visto la serie, è chiaro che ai cultori de I Soprano (produzione che ha fatto costume, oltre a rivoluzionare il mezzo televisivo dei "telefilm") questa pellicola apre il cuore per tutta una serie di ragioni. Gli autori portano infatti sullo schermo alcuni episodi raccontati dai vari personaggi durante le sei stagioni della serie ed è gustoso vederli prendere vita. Poi, è chiaro, godere di alcuni personaggi chiave della narrazione da giovani, con decisioni e accadimenti che si raccordano con i loro comportamenti futuri, fa un certo effetto e ci permette di approfondire le ragioni del rancore accumulato da Junior Soprano, i semi dell'infelicità e della depressione di mamma Livia, l'ignorante spietatezza di Pussy, Paulie e, soprattutto, la verità sui capelli di Silvio (che nella serie sarà interpretato da Little Steven e qui da John Magaro). 
Quando poi si arriva alla sequenza finale e parte a tradimento il giro di basso che caratterizza l'open credits theme, Wake up this morning degli Alabama 3, si raggiunge l'estasi. 
Tra l'altro, per come è strutturato il plot, nulla vieta di sognare una "trilogia prequel".

Insomma c'è modo e modo di realizzare un prodotto "fan service". I Molti Santi del New Jersey è il migliore possibile.