lunedì 25 aprile 2022

La terra dei figli (2021)

In un'Italia devastata da guerre e successivi intossicamenti di acque e terreni, un ragazzo e suo padre vivono in una sorta di casa/palafitta in una laguna inaccessibile, attraverso un sistema di chiuse, al mondo esterno. Unici "vicini", raggiungibili via barca, Aringo, un vecchio rancoroso, aggressivo e violento e Strega, una donna cieca che ha buoni rapporti con padre e figlio. Il figlio, che vive senza sapere nulla della precedente era "civilizzata", a seguito di un avvenimento dovrà abbandonare quel mondo povero e ingeneroso, ma protetto, per avventurarsi nell'ostile territorio oltre le chiuse della laguna.

Forse, ma aspettiamo le necessarie conferme, dopo tante preghiere non esaudite, il cuore del cinema italiano di genere sta ricominciando a battere. Il 2021 in questo senso è stato un anno particolarmente pregno di segnali. Oltre al tentativo di blockbuster Freaks out, sono usciti un altro eccellente post apocalittico, Mondocane, un noir indipendente di sorprendente fattura, Cattivo sangue (mi piacerebbe recensire entrambi, ma, insomma, si vedrà, intanto segnateveli e magari recuperateli), un ottimo Diabolik, ed ad altri progetti magari meno riusciti (Calibro 9, Bastardi a mano armata, Il mostro della cripta, etc.) ma estremamente lodevoli negli intenti.

Tratto dall'omonima graphic novel di Gipi, La terra dei figli si avvale di una regia (Claudio Cupellini) dosata ed estremamente coerente con il mood distopico della storia che, a sua volta, si intreccia con location rugginose, meravigliosamente desolate (il film è stato girato tra il delta del Po, nel ferrarese, nel Polesine e nella laguna di Chioggia) nel quale lo specchio d'acqua riflette l'immobilismo di un mondo distrutto (si intuisce) dalla bestialità umana che, non ancora paga, invece di capire dai propri errori, amplifica ancora di più la propria crudeltà, stavolta giustificata da un disperato spirito di sopravvivenza. 

Detto di regia, esterni e fotografia, l'altra arma vincente del film è la prova di tutti gli attori. Laddove infatti, il grosso scoglio di produzioni italiane coraggiose è troppo spesso l'amatorialità delle interpretazioni, qui tutti i protagonisti sono resi in modo credibile e convincente, a partire dal figlio, interpretato mostruosamente bene dall'esordiente classe 2001 Leon de la Valèe (già rapper con il nome di Leon Faun) passando al padre (Paolo Pierobon), Aringo (Fabrizio Ferracane, visto di recente in Ariaferma e Il traditore), Maria (Maria Roveran), il capo (Alessandro Tedeschi), per finire con una delle migliori recenti prove attoriali, non a caso fuori dalle sue normali comfort zone, di Valerio Mastandrea (il boia). Nel cast anche Valeria Golino (la strega). Il più grande rimpianto è non averlo visto al cinema.

Anche se deontologicamente sbagliato, lo inserisco "postumo" nella lista dei miei migliori film del 2021.

Disponibile su Sky e Prime video.

lunedì 18 aprile 2022

I saw the devil (2010)


Un serial killer di ragazzine miete come sua ultima vittima la moglie di un agente dei servizi segreti, figlia di un ex commissario di polizia. I due uniscono le forze per individuare il colpevole. In particolare il vedovo, trasfigurato dalla perdita, una volta trovato l'assassino, mette in atto una forma di vendetta terrificante e violentissima, incurante dei danni collaterali che provocherà.

In premessa alla parte critica della recensione voglio segnalare il lavoro della Far East Film, che, oltre a tenere annualmente a Udine la più importante manifestazione cinematografica di film asiatici, da tempo ha anche attivato un sito (Fareastream) dove è possibile scegliere tra un buon numero di film asiatici, vecchi e nuovi, da vedere in streaming. Io mi abbono "random" ma seguo gli aggiornamenti dei titoli, ed è così che ho scoperto dell'inserimento di questo film, scandalosamente inedito in Italia, che era da tempo sulla mia wish list. 

Kim Ji-woon, regista sudcoreano formidabile e poliedrico, capace di girare, tra gli altri, gangster movie (l'epocale Bittersweet life) horror (Two sisters), commedie western ( Il buono, il matto, il cattivo) e fantascienza distopica ( Ilang - Uomini e lupi), con I saw the devil firma un thriller a tinte gore, oscuro, disperato e pervaso dalla violenza, dove la dicotomia tra bene e male, già normalmente sfumata nella grammatica cinematografica orientale, sparisce del tutto. Per mettere in scena questo dramma criminale Ji-woon si affida al meglio che la recitazione del suo Paese possa offrire: per l'agente dei servizi segreti Lee Byung-hun, dolente protagonista di Bittersweet life e per il serial killer Choi Min-sik, indimenticabile nel ruolo principale in Oldboy. Oltre a questo formidabile duo, il plus del film è, ovviamente, la mano dietro la mdp di Kim Ji-woon, che regala più di una sequenza nella quale la tecnica superiore non è fine a sè stessa, ma contribuisce ad alimentare, a seconda dei casi, tensione, pathos, angoscia o empatia con i personaggi. 

Non mi stancherò mai di ripetere quanto il cinema asiatico stia dando al cinema di genere, e in particolare al noir/crime/thriller/horror, portando i classici americani, francesi, italiani, di cui si è alimentato,  ad un livello superiore. Non c'è proprio partita, e dover constatare che un film come I saw the devil (per me tra i migliori thriller dei duemila), a dodici anni dalla sua uscita, non abbia ancora trovato qualcuno che lo distribuisca in Italia mette un'enorme tristezza, oltre a far riflettere sulle scelte strategiche dei nostri distributori (viste le schifezze che invece girano). 

Se non si fosse capito, straconsigliato.

Disponibile su fareastream.it. 

lunedì 11 aprile 2022

Saxon, Carpe diem

Come gli AC/DC, ma senza l'isteria mass-mediatica, come i Motorhead, ma molto meno cool, i Saxon fanno da trent'anni lo stesso disco. Trenta e non quaranta, nonostante la band sia attiva discograficamente dal 1979, perchè escludo il primo lustro degli ottanta, quello della massima espressione, e il secondo, quello in fin dei conti non così tremendo, della fase hair/glam/aor. E' dunque con Forever free del 1992 (vedi che i conti tornano?) si sono messi sulle spalle il ruolo di defenders of the faith e non hanno più sgarrato, muovendosi dall'heavy metal classico al massimo per sconfinare con qualche brano nell'epic/power. Tredici dischi in trent'anni dicono un disco ogni due anni, al massimo tre. Qui dal precedente Thunderbolt ne sono passati quattro, ma in mezzo sono stati rilasciati, rispettivamente, il primo disco solista di Byford e un album di cover (entrambi prescindibili, per chi scrive). 

La premessa mi serve per dire che nessuno si aspetta svolte particolari nel sound dei Saxon, ci si accontenta della potenza di fuoco e che il songwriting sia in buona condizione d'ispirazione. E in questo Carpe diem, a partire dall'epica copertina con due legionari romani sul Vallo di Adriano, è un disco riuscito. La produzione è coerente con il mood, i suoni sono potenti, la voce di Biff sempre solida e affidabile. L'attacco con la title track dal "solito" ritornello killer made in Saxon, la successiva Age of steam, con un interessante testo sull'avvento della rivoluzione industriale, e via via l'ottimo mid-tempo The pilgrimage, Remember the fallen, Lady in grey, ci consegnano una band sul pezzo e un leader che, tra gli inevitabili acciacchi dell'età (sono settantuno, eh), gliela ammolla ancora come un ragazzino.

Keep the faith.

lunedì 4 aprile 2022

Gimme danger (2016)


Tutti ormai riconoscono il fondamentale ruolo che ebbero gli Stooges nel piantare i semi di punk, hardcore e metal anche se, come per altre band seminali, i doverosi riconoscimenti sono arrivati postumi, decenni dopo che i tre fondamentali dischi (The Stooges -1969 -, Fun house - 1970 -, Raw power - 1973 -) vennero sostanzialmente ignorati dal pubblico. 
Jim Jarmush, grande fan della "più grande band di tutti i tempi", nel 2016, dopo la morte dei fratelli Asheton (batteria e chitarra), realizza questo documentario nel quale ovviamente Iggy Pop ha un ruolo centrale ma dove trovano uno spazio importante anche gli altri protagonisti dell'avventura degli Stooges.

Altrettanto centrale nella narrazione è lo scenario storico, con l'America sotto shock per i delitti della famiglia Manson che metteva una pietra tombale sulla stagione dell'amore che aveva contraddistinto la seconda metà dei sessanta. Da lì a breve, con l'avvento dei settanta, sarebbe iniziata una conflittuale stagione di lotte e ribellione incarnata con incredibile preveggenza, rabbia e nichilismo dalla band.

Va da sè che Iggy è un personaggio che da solo potrebbe reggere anche ore di intervista senza annoiare, ma la bravura di Jarmush è quella di creare un patchwork che fluisce dinamicamente tra interviste vecchie e nuove, immagini di repertorio e altri inserti (vecchi film, cartoon, spezzoni di televisione), per un risultato finale oltre che godibilissimo, imprescindibile per chi voglia approfondire la storia e il peso storico di un frontman come Iggy Pop e di una band come gli Stooges.

Gimme danger è disponibile su Rai Play