Come gli AC/DC, ma senza l'isteria mass-mediatica, come i Motorhead, ma molto meno cool, i Saxon fanno da trent'anni lo stesso disco. Trenta e non quaranta, nonostante la band sia attiva discograficamente dal 1979, perchè escludo il primo lustro degli ottanta, quello della massima espressione, e il secondo, quello in fin dei conti non così tremendo, della fase hair/glam/aor. E' dunque con Forever free del 1992 (vedi che i conti tornano?) si sono messi sulle spalle il ruolo di defenders of the faith e non hanno più sgarrato, muovendosi dall'heavy metal classico al massimo per sconfinare con qualche brano nell'epic/power. Tredici dischi in trent'anni dicono un disco ogni due anni, al massimo tre. Qui dal precedente Thunderbolt ne sono passati quattro, ma in mezzo sono stati rilasciati, rispettivamente, il primo disco solista di Byford e un album di cover (entrambi prescindibili, per chi scrive).
La premessa mi serve per dire che nessuno si aspetta svolte particolari nel sound dei Saxon, ci si accontenta della potenza di fuoco e che il songwriting sia in buona condizione d'ispirazione. E in questo Carpe diem, a partire dall'epica copertina con due legionari romani sul Vallo di Adriano, è un disco riuscito. La produzione è coerente con il mood, i suoni sono potenti, la voce di Biff sempre solida e affidabile. L'attacco con la title track dal "solito" ritornello killer made in Saxon, la successiva Age of steam, con un interessante testo sull'avvento della rivoluzione industriale, e via via l'ottimo mid-tempo The pilgrimage, Remember the fallen, Lady in grey, ci consegnano una band sul pezzo e un leader che, tra gli inevitabili acciacchi dell'età (sono settantuno, eh), gliela ammolla ancora come un ragazzino.
Keep the faith.
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