lunedì 30 aprile 2012

Still crazy after fifty years


The Chieftains
Voice of ages
(Hear Music) 2012

I Chieftains celebrano i loro primi cinquant'anni restando ben saldi alla loro storia. Che è fatta di tradizione irlandese, contaminazioni con musiche etniche del mondo (è di solo due anni fa la release di San Patricio insieme a Ry Cooder) e collaborazioni con artisti dalle più disparate radici musicali.

Gli arzilli vecchietti in Voice of ages si circondano di ospiti pescando  dalla nuova scena musicale, mettendo a disposizione il loro consolidato sound fatto di flauti, violini, arpe e fise.
Le loro deliziose gighe si alternano alle incantevoli ballate, dipingendo un quadro sempre suggestivo e poetico. Incantevole l'apertura lasciata alle voci femminili di Imelda May (Carolina Rua) e della all-female band Pistol Annies (Come all ye fair and tender ladies). Altro interessante gruppo country emergente coninvolto nel progetto i Civil Wars (formazione sulla quale prima o poi tornerò) con una convincente interpretazione di Lily love.

Ma credo di non essere smentito se affermo che le ospitate più gustose siano quelle del talento Justin Vernon aka Bon Iver  (Down in the willow garden) e di un Paolo Nutini che continua il suo percorso di allontanamento dalle sonorità pop degli esordi (Hard times come again no more), ma anche degli ottimi Low Anthem (School days over) e dei Decemberist che riprendono When the ship comes in di Dylan.
Molto divertente poi la traccia numero quattordici (The Chieftains in orbit)che non vede la partecipazione di un musicista di professione, ma dell'astronauta NASA Candy Coleman che introduce il pezzo strumentale raccontando di come si sia portata in uno dei suoi viaggi spaziali un tin whistle appartenente al leader del gruppo Paddy Moloney ed un flute di Matt Molloy, per poi esibirsi in una melodia al flauto sulla quale si adagia con grazia la band. La conclusione è per Lundu, un altro strumentale al quale contribuisce Carlos Nunez, affermato musicista di cornamusa galiziana.

Il valore e il limite di quest'opera, la numero trentacinque della carriera del gruppo, è quello di non aggiungere nulla alla propria cifra stilistica consolidata. Per inciso a mio avviso sarebbe folle pretendere qualcosa di diverso. I Chieftains sono i migliori nel veicolare una certa tradizione irlandese e questo è il loro ruolo nel music buisness. Ragion per cui chi apprezza questo canone troverà pane per i suoi denti, gli altri possono levarsi lo sfizio di ascoltare alcuni tra i più stimolanti nomi dell'indie e del folk misurarsi con questo sound senza tempo.

6,5/10


sabato 28 aprile 2012

MFT, aprile 2012

LA MUSICA
New stuff: Hank III, Long gone daddy. Calibro 35, Ogni riferimento... Afterhours, Padania. Counting Crows, Underwater sunshine. Jack White, Blunderbuss. Norah Jones, Little broken hearts. AA/VV, Chimes of freedom. The Chieftains, Voice of ages

Old stuff: Alarm, Anthology. Big Country, The ultimate collection. Runrig, The long distance. Pantera, The great southern trendkill.

LE SERIE TV
Da finire: Il trono di spade. Dexter stagione 6
Da iniziare: Boardwalk Empire stagione 2. Homeland


venerdì 27 aprile 2012

Way down in the hole, The Wire stagione due


Quest'uomo


è Frank Sobodka, responsabile del sindacato al porto di Baltimora e straordinaria figura tragica, fulcro centrale della seconda stagione di The Wire. A interpretarlo Chris Bauer, che ci offre una prova eccezionale di recitazione trattenuta costruita quasi esclusivamente sulle espressioni facciali, sugli sguardi, sul linguaggio del corpo. E' lui a mio avviso il protagonista indiscusso del secondo capitolo della saga che si svolge appunto ai docks della capitale del Maine, dove il lavoro scarseggia e gli uomini vengono chiamati a giornata, a seconda del numero di navi che ormeggiano. Il sindacato gestisce le liste di lavoratori da impiegare, ma c'è crisi di occupazione e l'unica speranza di crescita è la ristrutturazione di una zona del porto (il molo del grano), i cui lavori necessitano però di autorizzazioni istituzionali ai massimi livelli e per averli bisogna fare lobby ungendo un determinato schieramento politico. Allo scopo di trovare i fondi il sindacato, in combutta con un'associazione criminale e con la complicità di buona parte degli operai del porto, ogni tanto fa sparire un container di merce. E' per una buona causa e sono tutti convinti di non danneggiare nessuno. Fino a quando scoprono nella maniera più drammatica il contenuto di un container disguidato... Questo evento, unito ad una banale lite con l'anziano e indisponente maggiore di polizia della zona scatenerà un escalation di eventi dalle conseguenze catastrofiche.

E i buoni? I protagonisti della serie? Ci sono tutti ma gli autori sono abili a tenerli in qualche modo fuori dalla luce dei riflettori (la cosa vale sopratutto per McNalty) concentrandosi molto sui nuovi personaggi e tenendo vivo il collegamento con le vicende delle case popolari, soggetto della prima stagione.

Il ritmo della storia subisce un'impennata rispetto alla prima tornata di episodi, tutto accade in maniera più vorticosa, seppur la storia riesca comunque a prendersi il tempo e gli sviluppi non siano quasi mai banali (a proposito di situazioni non comuni in un prodotto televisivo, per ben due volte viene mostrato il pene di Ziggy, superdotato figlio di Frank). La musica ha un posto d'onore da subito, "ospiti" del baraccio del porto nel primo episodio i Nighthawks, leggendaria band USA di rock-blues. In seguito diversi momenti significativi della serie sono sottolineati da lunghi passaggi di brani più o meno noti: mentre scorrono le immagini di McNalty che ubriaco perso fa autoscontri con la propria vettura  ci sono i Pogues di Transmetropolitan; un'altra puntata è aperta da I walk the line di Johnny Cash che esce da uno stereo a cassette e le ultime immagini dell' episodio conclusivo sono accompagnate da I feel alright di Steve Earle. In pratica un soundtrack composto saccheggiando la mia collezione di dischi.
La considerazione finale è ancora una volta estremamente positiva. Gli autori di The Wire hanno una capacità straordinaria di introdurre personaggi credibili e palpitanti che sono i punti di forza del progetto, e di sviluppare storie estremamente verosimili. Anche la seconda stagione, così come la prima, si congeda infatti dal suo pubblico con un'amarezza di fondo e una vittoria a metà del corpo speciale di polizia capitanato da Daniels (Lance Reddick).

Faccio una pausa prima della terza. So già che quando terminerò la visione della saga mi sentirò un pò smarrito.

giovedì 26 aprile 2012

80 minuti di Arcade Fire

Ci sono diverse filosofie in merito alla compilazione  della playlist monografica, ma io mi limiterei grossomodo a due filoni principali. Uno è quello di mettere insieme i brani preferiti di un artista che conosciamo come le nostre tasche e dalla cui discografia preleviamo i nostri pezzi preferiti (che quasi sempre esulano da quelli più noti). L'altra serve invece come introduzione ad un artista poco noto e quindi, contrariamente alla prima corrente di pensiero, prevede un utilizzo massivo di singoli e pezzi che hanno goduto di maggior esposizione. E' il caso della playlist odierna, che verte sugli Arcade Fire (un EP e tre full-lenght all'attivo, Funeral del 2004; Neon bible del 2007 e The suburbs del 2010) band tra le più elogiate dalla critica mondiale che da queste parti non ha mai goduto di molta considerazione.

1. Neighborhood 1
2. Ready to start
3. Cold wind
4. Black mirror
5. We used to wait
6. Sprawl II
7. Neighborhood 2
8. Rebellion (Lies)
9. Keep the cars running
10. Rococo
11. Haiti
12. Neighborhood 3
13. Intervention
14. City with no children
15. Wake up
16. No cars go
17. Crown of love
18. Speakin in tongue (with David Byrne)

mercoledì 25 aprile 2012

Quei briganti neri

E quei briganti neri mi hanno arrestato,
In una cella scura mi han portato.
Mamma, non devi piangere per la mia triste sorte:
Piuttosto di parlare vado alla morte.

E quando mi han portato alla tortura,
Legandomi le mani alla catena:
Tirate pure forte le mani alla catena,
Piuttosto che parlare torno in galera.
E quando mi portarono al tribunale

Dicendo se conosco il mio pugnale:
Sì sì che lo conosco, ha il manico rotondo,
Nel cuore dei fascisti lo cacciai a fondo.

E quando l'esecuzione fu preparata,
Fucile e mitraglie eran puntati,
Non si sentiva i colpi, i colpi di mitraglia,
Ma si sentiva un grido: Viva l'Italia!
Non si sentiva i colpi della fucilazione,
Ma si sentiva un grido: Rivoluzione!

(Canto popolare dei partigiani, la versione che segue è interpretata dai Gang)

martedì 24 aprile 2012

Calci-nel-culo



Quante volte noi voraci divoratori di fumetti di super-eroi abbiamo pensato di infilarci una calzamaglia colorata e andare fuori a combattere davvero i cattivi? Innumerevoli, garantito. Beh certo, poi abbiamo compiuto i dieci anni anni e abbiamo realizzato che sarebbe stata una pessima idea. Dave Lizewski (interpretato da Aaron Johnson) invece, nerd della scuola, nonostante sia un adolescente e non più un bambino, questo folle progetto lo attua sul serio. Privo di alcun tipo di abilità nel combattimento e ovviamente senza poteri particolari, cerca di lasciare il segno nella lotta al crimine e in qualche modo ci riuscirà.

Kick-Ass (tratto da un fumetto scritto da Mark Millar e disegnato da Romita jr) è un film curioso. Pur parodiando i clichè dei comics alla fine diventa nello svolgimento un vero e proprio film sui giustizieri in maschera. Nella sua violenza di tipo splatter può ricordare Tarantino (e i film di genere a cui il regista americano si è ispirato), ma possiede anche delle parti comiche molto ben costruite e una volgarità in alcuni episodi abbastanza pesante . Oltre al già citato Johnson, fanno parte del cast Chloe Moritz, una bimba di dieci anni incredibilmente calata nella parte di una spietata super-eroina tipo ninja e Nicholas Cage, suo padre e collega in costume.

A volte i film che non sanno scegliere quale canone assumere risultano un pò irrisolti. Al contrario Kick-Ass è riuscito. Oltre ad essere divertente, colorato e caciarone.


lunedì 23 aprile 2012

Le immagini mettetele voi

Calibro 35
Ogni riferimento a persone esistenti...
(Venus) 2012

















L'Alfetta della pula sta inseguendo la Lancia Fulvia dei feroci malviventi che, come minimo, da quando si sono alzati dal letto hanno fatto colazione con un panetto di coca, rapinato tre banche, stuprato delle suore e ucciso a sangue freddo degli innocenti. Stridere di gomme, donne con carrozzina che si scansano giusto in tempo. Il montaggio delle riprese magari aumentato di velocità, con un involontario effetto comico. Chiunque di noi ha prima o poi visto un poliziesco all'italiana degli anni settanta, un genere tutto nostro che nel tempo ha assunto il nome di poliziottesco.




Non si limitano a omaggiare con brani originali il sound di quei film, i milanesi Calibro 35, attivi dal 2007 e in costante crescita di considerazione in Italia e all'estero, ma certo le suggestioni più marcate sono proprio quelle derivate dalla blaxpotation de noartri, come la straordinaria title track posta in apertura sta a dimostrare. Gli ambiti si allargano infatti alla fusion, al funk, ad una certa lounge e forse anche a qualche richiamo progressive, con le tastiere (hammond, organo) sugli scudi. Ed ecco appunto che un brano come Il pacco, con i suoi coretti maliziosi, ben si presterebbe invece ad una commedia italiana ad episodi della fine dei sessanta.




Pur non essendo esattamente un appassionato del genere, ne complessivamente di musica strumentale, devo dire che mi sono ritrovato ad appassionarmi a questo album, e mi è tornato in mente Stefano Benni, che invitava i lettori del suo Il bar sotto il mare ad usare quei brevi racconti come testi di canzoni. Allo stesso modo i Calibro 35 potrebbero sfidare i loro ascoltatori a sovrapporre immagini a questo patchwork di suoni. Potrebbe uscirne, ne sono certo, qualcosa di interessante ed originale.




7/10

sabato 21 aprile 2012

Album o' the week / Davide Van De Sfroos, Best of (2011)



In più di un'occasione, recensendo dischi di artisti che conoscevo poco, sull'onda dell'entusiasmo per la scoperta mi ripromettevo di andare a recuperare gli episodi precedenti della discografia del soggetto in questione. Colgo l'occasione per dire che quasi mai la cosa ha funzionato perchè i dischi del passato non mi hanno coinvolto più di tanto. E' anche il caso di Davide Van De Sfroos, che mi aveva letteralmente stregato con il suo Pica! nel 2008, ma che non ha ottenuto lo stesso effetto (se non in qualche episodio) con i suoi primi lavori. A destare di nuovo la mia attenzione questa esaustiva antologia (2cd, 30 brani), che mi risparmia la fatica di selezionare i brani più interessanti per comporre una playlist.

mercoledì 18 aprile 2012

80 minuti di Arctic Monkeys

E' il turno della band inglese che ha inciso quattro album (Whatever people say i am, nel 2006; Favorite worst nightmare, nel 2007; Humbug nel 2009 e Suck it and see del 2011) e due EP. La mia playlist comprende una ventina di brani, con particolare attenzione ai singoli.
1. The view from the afternoon
2. Black treacle
3. Brianstorm
4. My propeller
5. Crying lighting
6. Still take you home
7. I bet you look good on the dancefloor
8. Teddy picker
9. Death ramps
10. This house is a circus
11. Fakes tales of San Francisco
12. Matador
13. The hellcat splanged shalalala
14. Don't sit down cause i've moved your chair
15. Pretty visitors
16. Flourescent adolescent
17. Leave before the lights come on
18. Cornerstone
19. If you were there, beware
20. Suck it and see
21. When the sun goes down

martedì 17 aprile 2012

Tryin' to get to heaven



Non so, sarò io ad avere una morbosa attrazione per le figure controverse e tragiche degli sconfitti, ma dalla lettura del libro Nel fango del dio pallone ho trovato in Carlo Petrini un personaggio così dilaniato dai rimorsi e dai sensi di colpa da sembrare uscito da un libro di Dostoevsij.

La sua morte arriva con le prime pagine dei giornali ancora una volta riempite dall'ennesimo scandalo del calcio scommesse e da un'altra scomparsa improvvisa di un giovane calciatore, come a dare un beffardo senso all'ultima parte della sua esistenza, spesa proprio a denunciare eventi come questi.

Petrini ha passato la prima parte della sua vita vivendo come se non dovesse morire mai e la seconda come un morto che camminava solo per racconatare storie che nessuno in Italia aveva voglia di approfondire.

Se esiste al mondo un modo per riscattarsi da un'esistenza nata vigliacca e superficiale, non ne conosco uno più coraggioso di quello usato da Petrini.

Mi viene da ridere se penso che con ogni certezza, nessun protagonista del mondo del pallone parteciperà alle sue esequie, e più di uno tirerà un sospiro di sollievo.




lunedì 16 aprile 2012

Il cinquantesimo sogno di Amnesty

Artisti Vari
Chimes of freedom, the songs of Bob Dylan
Onoring 50 years of Amnesty International
(Amnesty International/Fontana) 2012















Ha fatto le cose in grande Amnesty International per celebrare i suoi primi cinquantanni di impegno nel mondo. Settantadue artisti coinvolti in altrettante rivisatazioni di pezzi di Bob Dylan non è esattamente una cosa che si vede tutti i giorni. Il gigantesco lavoro è racchiuso in quattro cd a prezzo speciale i cui ricavi andranno totalmente alla causa dei diritti umani propugnata da Amnesty.

Non so dire quali artisti abbiani inciso appositamente per questo tributo e quanti abbiano invece pescato dal proprio cassetto di inediti, dopotutto qualunque band sia mai salita su un palco ha, prima o poi, suonato (e probabilmente registrato) un pezzo di Dylan.
Un lavoro così imponente mal si coiniuga con la voracità di ascolti di questi tempi digitali, e di certo in qualche episodio si va di skip, ma nel complesso mi sembra doverso prestare un pò di attenzione alle interpretazioni del maestro qui presentate, anche perchè non compaiono solo i pezzi più noti (onestamente, a chi serviva un'altra versione di Knocking on heaven's door?), ma anche chicche da veri fans.

Uno che sicuramente non ha inciso il suo pezzo per l'occasione, scusate il macabro umorismo, è Johnny Cash, che apre la raccolta con una One too many mornings rifatta con il boom-chicka-boom, suo inconfondibile marchio di fabbrica. Patti Smith irrompe con Drifter's escape, pezzo proveniente da John Wesley Harding, album del 1967. Il primo cd, a parte qualche eccezione (i Rise Against con Ballad of Hollis Brown o i Gaslight Anthem di Changin of the guards per esempio) predilige le atmosfere suggestive e rarefatte, spesso con ottimi risultati. La versione di Simply twist of fate regalata da Diana Krall ad esempio è da groppo in gola, ma convincono anche Most of the time di Betty Lavette, Love sick in chiave messicana grazie ai Mariachi El Bronx, Blowin in the wind acusticamente jamaicana grazie a Ziggy Marley, la versione oxfordiana di Girl from the north country di Sting, i My morning Jacket (You're a big girl now) e Mark Knopfler (Restless farewell).

Il cambio di registro del secondo disco è battezzato dai Queen of stone age, che imprimono il loro sound a Outlaw blues. Lenny Kravitz rispetta le sonorità originali di Rainy day women #12 & 35. Immancabile Steve Earle che intona con il contributo della violinista Lucia Micarelli uno dei miei pezzi preferiti di Dylan, One more cup of coffee. Altra presenza opportuna quella di Billy Bragg con Lay down your weary tune, mentre Elvis Costello pesca una License to kill da Infidels del 1983. Joan Baez (Seven curses) e Jackson Brown (Love minus zero/No limits) rimpolpano la schiera dei dinosauri, la presenza di Adele con Make you feel my love è la botta di modernità che chiude la facciata.

Dal terzo compact segnalo una toccante versione di I want you da parte della poco nota Ximena Sarinana, mentre tra i big Bryan Ferry, ancora fresco di tributo personale all'autore di Freewheelin piazza lì una Bob Dylan's dream e Carly Simon trasforma Just like a woman in una ballata jazzistica. L'attesa botta di vita arriva con la giga infuocata che i Flogging Molly fanno di The times they are a-changin, il punk veloce dei Bad Religion alle prese con It's all over now baby blue e i My Chemical Romance che si cimentano nella Desolation row già ascoltata sugli end titles di Watchmen.


Sorprendentemente ispirata la I shall be released dei Maroon 5 che apre l'ultimo disco, così come è convincente Political world dei Carolina Chocolate Drops. La versione di Like a rolling stone della coppia Seal/Jeff Beck paga un pò il pizzo a quella fantastica degli Stones, mentre è scolastico Mick Hucknaill su One of us must know. Michael Franti mette le infradito a Subterrean homesick blues, Lucinda Williams aggiunge pathos al pathos di Trying to get to heaven e giù giù fino ad arrivare a Pete Seeger che correttamente canta Forever young. La chiusura è per lo stesso Dylan con Chimes of freedom.


Chiaramente operazioni come questa vivono di alti e bassi, di interpretazioni ispirate e di altre elementari, che poi con canzoni come quelle di Bob Dylan la metà del lavoro è già fatto, tutto sta a non rovinarle. Ci sono moltissimi big in questa raccolta, altri mancano in maniera inspiegabile. L'assenza di Springsteen ad esempio, sia per il rapporto che ha con Amnesty che per quello con Dylan, è abbastanza anomala. Al di là di questa mia considerazione il valore globale del prodotto (contributo ad Amnesty, la qualità del materiale e ultimo ma non ultimo il prezzo contenuto) merita sicuramente l'acquisto.


7/10

sabato 14 aprile 2012

Album o' the week / Lloyd Cole and the Commotions, Rattlesnakes (1984)



Nella compagnia di ragazzotti provinciali Mauro era quello complessivamente un pò strano. Non che facesse chissà che cosa, però era uno di quei tipi che sembrano non essere mai perfettamente sintonizzati sulla frequenza degli altri. La sua anarchia caratteriale si rispecchiava anche nei gusti musicali, che sono diventati di dominio pubblico ai tempi delle prime uscite con l'automobile di papà. Era la metà degli ottanta e mentre gli altri si sfondavano di Vasco Rossi, Luca Carboni, U2, Springsteen o Tina Turner le casse della sua Alfasud di famiglia risuonavano al ritmo di Rem, Cure, Julian Cope, Brian Eno. E Lloyd Cole and the Commotions. E' evidente che nelle dinamiche giovanili questa deviazione dai gusti del branco esponeva Mauro al pubblico ludibrio ogni qualvolta era il suo turno di mettere a disposizione la macchina per l'uscita del sabato sera, ma ecco, riascoltando oggi Rattlesnakes, il debutto della band di Cole (contenente Perfect skin, Forest fire, Rattlesnakes) tocca riconoscerli un'enorme lungimiranza.

venerdì 13 aprile 2012

E' sempre tempo di pirati




Sono molto affezionato allo studio di animazione inglese Aardman Animation, creatore del mitico duo Wallace & Gromit e di altri lavori (Galline in fuga) in stop-motion.

Non potevo quindi farmi mancare questa nuova uscita cinematografica, anche considerato il soggetto piratesco che su Stefano riesce ancora a difendere la sua posizione di fascino nonostante la sempre più crescente insidia di mostri, alieni e super-eroi.

Beh, la pellicola non (ci) ha deluso, nonostante a mio avviso debba molto al tema della modernità negli schemi di avventura classica introdotto dalla saga dell'orco Shrek. La storia, che si muove tra l'ambizione dei gaglioffi di mare di essere premiati nel mondano evento degli awards per i pirati più pericolosi e il "cameo" di improbabili comprimari (nientedimeno che Charles Darwin, da qui il sottotitolo in originale - In an adventure with scientists - ), riesce a conservare un respiro di avventura classica, non del tutto colonizzata quindi dallo stile dei cartoon hollywoodiani.

La musica. Quasi casco dalla poltrona quando, in una delle primissime sequenze, parte il devastante tema di Fiesta dei Pogues. Meno d'effetto perchè più prevedibile, ma sempre un bel sentire, London calling dei Clash con il vascello dei pirati che fa rotta su Londra. Altri potenziali grimaldelli per fare breccia nella formazione musicale di Stefano.

Un ultima annotazione: nella versione originale la voce del protagonista Capitan Pirata è di Hugh Grant, in quella italiana di Christian De Sica. E sapete cosa vi dico? Ci sta dentro.

giovedì 12 aprile 2012

Ottanta minuti di Volbeat

Inauguro una nuova rubrica (che come le altre del blog potrebbe finire dopodomani o resistere nel tempo) pubblicando le playlist monografiche che di norma allestisco per me, nell'ottica che siano di un qualche interesse anche per qualcun'altro. L'esordio è per i Volbeat, band danese che attinge principalmente da 'Tallica e Social Distortion. I venti pezzi che ho compilato provengono dai quattro album fin qui pubblicati dal combo: The strenght/The sound/The songs (2005); Rock the rebel/Metal the devil (2007); Guitar gangster & Cadillac blood (2008) e Beyond hell/Above heaven (2010).






1. Hallelujah goat

2. Guitar gangster & cadillac blood

3. Who they are

4. Heaven nor hell

5. Sad man's tongue

6. The mirror

7. Mary Ann's place

8. A new day

9. The garden's tale

10. The human instrument

11. Radio girl

12. Rebel monster

13. Still counting

14. Thanks

15. A warrior's call

16. Fallen

17. 16 $

18. I only want to be with you

19. Pool of booze, booze, booza

20. I'm so lonely i could cry

martedì 10 aprile 2012

Noi e gli Offlaga

Offlaga Disco Pax
Gioco di società

(Venus) 2012













"Di politica sapevo solo che quando c'era Pajetta in televisione dovevo stare zitto,
altrimenti volava un coppino o uno scappellotto.
Se invece c'erano Fanfani o Almirante volava un coppino se li stavo ad ascoltare.
In casa le idee erano chiare e si comunicavano senza troppo approfondimento.
Una trasmissione di valori efficace.
Ancorchè vagamente
dolorosa."


Ecco, gli Offlaga Disco Pax possono piacere ad un pubblico anagraficamente trasversale, ma a chi è nato alla fine dei sessanta e ha avuto la fortuna di avere i genitori comunisti (cit), spezzano proprio il cuore. Prendete la citazione in prologo, estrapolata da Piccola storia ultras, è come un'immagine in bianco e nero della mia infanzia (al netto degli scappellotti, ma il senso è fortissimamente quello), così come potrebbe essere autobiografica Palazzo Masdoni, che bene esprime l'orgoglioso senso di appartenenza che animava gli attivisti del P.C.I. , e che torna utile anche per parlare di un altro elemento dell'arte degli ODP: non si sa mai dove vanno a parare i loro pezzi, occhio a distrarsi osservando il dito perchè quasi sempre l'obiettivo è la luna. Piccola storia ultras dovrebbe raccontare l'educazione calcistica del protagonista (quello che per Nick Hornby fu la prima partita dell'Arsenal e per il ragazzino degli Offlaga è un match della Reggiana) e invece com'è che si finisce a parlare dei morti della manifestazione sindacale del 7 luglio 1960 a Reggio Emilia? Lo stesso dicasi per Sequoia, che racconta un episodio dell'infanzia di un bambino nella Reggio dei primi settanta, ma lascia trapelare il peso della differenza sociale dei vari protagonisti e dolorose scorie della seconda guerra mondiale.


Stilisticamente, chi ha apprezzato (molto) l'esordio del gruppo e (un pò meno) il secondo album, ritroverà dentro Gioco di società tutti gli elementi portanti del mestiere ODP, le piccole/grandi storie, l'irresistibile cadenza reggiana di Max Collini e lo stile musicale elettronico/artigianale. Eppure c'è anche un piccolo cambiamento dentro questo nuovo capitolo dell'avventura. Le tracce Desistenza e sopratutto Parlo da solo si avvicinano alla forma cantata più che al reading. Certo è sempre un cantato particolare, quasi timido e maldestro, però serve a spezzare lo stile un pò monocorde delle composizioni.


Una piccola digressione che lascia intatta la suggestione che riescono a dipingere con le loro tele gli Offlaga Disco Pax, piccola ma rigorosa realtà nostrana.

7.5/10

domenica 8 aprile 2012

Long gone motherfuckers

Curioso l'atteggiamento delle major. Quando hanno particolari artisti sotto contratto fanno di tutto per non agevolarne l'opera, ma appena i suddetti artisti girano i tacchi e si accasano altrove ecco che parte il floriregio di uscite "postume". La Curb Records, ex etichetta di Hank III, aveva pubblicato un secondo dopo l'approdo ad altri lidi di Williams Hillbilly Joker, album vecchio di qualche anno che all'epoca della sua prima incisione il management della label aveva rifiutato. Ma il barile non è ancora stato grattato fino in fondo, se è vero che a giorni verrà pubblicato Long Gone Daddy, album contenente sei inediti del periodo Risin Outlaw e Lovesick, broke and driftin, più quattro cover. Al di là del valore dell'album (che valuteremo senza pregiudizi), un'altra operazione che il buon Hank accoglierà con un malefico ghigno sul viso, mentre seduto sulla sua sedia a dondolo preferita,sul portico di casa, infila cartucce dentro al suo canne mozze e scruta fiducioso l'orizzonte.

venerdì 6 aprile 2012

Maghi e pellegrini

Pilgrim
Misery Wizard
(Poison Tongue/Metal Blade) 2012















Dei Pilgrim si sa solo che sono un trio dall'aspetto tra il grottesco e l'inquietante, che provengono genericamente dal Rhode Island e che wikipedia non ha ancora una scheda su di loro. Aspetti marginali. Perchè la cosa che più conta è la musica che fanno. E quella è basata su tostissimi riff in rigoroso stile doom-metal di (ineluttabile) derivazione sabbathiana. L'allucinato viaggio nell'opera dei Pilgrim si apre con Astaroth, nella quale si naufraga fino a dimenticarsi che a metà pezzo ancora non hanno iniziato a cantare, e che cominceranno a farlo solo a due terzi dell'opera. Quello dei testi è un aspetto che evidentemente i tre ritengono secondario, se è vero che il trend di lasciare libero sfogo alle pesanti cadenze chitarristiche prima che alla voce si ripete per tutto il disco, che, per inciso, tende all'ora di durata anche se consta di soli sei pezzi. Unico limite, una certa, inevitabile, ripetitività che comunque non sottrae troppo fascino all'operazione complessiva.

7/10

martedì 3 aprile 2012

You can't be neutral on a moving train

Ani Di Franco
Which side are you on?
(Righteous babe, 2012)












Per una abituata a far uscire in pratica un disco all'anno (sedici album dal 1990 al 2008), l'orizzonte temporale di quasi un lustro dall'ultima release appare come una piccola eternità ,anche se la scelta di fermarsi è stata dettata sempre e comunque dalla massima libertà artistica che ha fin qui contraddistinto l'opera di Ani Di Franco, visto che il gap intercorso non è da attribuire ad un appannamento creativo, ma alla decisione di fare la mamma a tempo pieno per la piccola Petah Lucia, nata nel 2007.

La maternità non ha in ogni caso scalfito la verve corrosiva, l'impegno sociale e politico della cantautrice, anzi se possibile l'ha resa ancora più affilata. I temi della diseguaglianza e della protervia del potere si amalgamano con quelli della cura dell'ambiente, delle solitudini, delle derive esistenziali, delle libertà individuali. La voce dell'autrice è al culmine della sua profondità, pur essendo sostanzialmente un disco folk, Which side are you on? ci rivela infatti una capacità di intonare i pezzi da parte della Di Franco che molto ha a che vedere con il mood delle cantanti di jazz della prima metà del secolo scorso, al punto che sarebbe interessante prima o poi vederla confrontarsi con canoni differenti dai suoi abituali, con l'ausilio magari di una big band.

Il disco parte così come te l'aspetti, Life boat e Unworry sono delicati (nei suoni) affreschi acustici, ma con la title track si ha la prima impennata. Il pezzo, introdotto dal banjo di Pete Seeger, è costruito sullo stampo della più classica canzone di protesta dei Guthrie, degli Ochs, dei Seeger perlappunto e, attraverso un crescendo irresistibile, trova sfogo nella martellante domanda del ritornello "Da che parte stai adesso? / Da che parte stai ?). Quasi fosse un consuntivo degli ultimi anni, nel testo c'è tutto: gli imbrogli di Bush, la politica economica di Reagan, il femminismo, persino l'auspicio del socialismo (A little socialism / Don't scare me a bit!). Un pezzo diretto e molto coinvolgente, adatto a divenire slogan in una delle tante "Occupy" che stanno scuotendo le fondamenta finanziarie dell'America.




Proseguendo nella tracklist, la libertà sessuale (Ani si dichiarò a suo tempo bisessuale) è l'oggetto di Promiscuity ( How far is too far? / How much is enough? / You gotta test this stuff), altro highlight del disco. La quasi bossa nova di Splinter è invece al servizio di un testo ecologista mentre il pamphlet femminista Amendment fa perno sulla libertà di scelta in merito all'aborto (tema sempre al centro di violentissimi conflitti in USA). Segnalo infine una If yr not orientata all'esistenzialismo ( If you’re not getting happier as you get older / Then you’re fuckin’ up) e Albacore, una toccante canzone d'amore che è scandita dai tempi di una litania.




In estrema sintesi, tra mille dubbi e incertezze, nello smarrimento di questi tempi difficili, una scelta di campo sicura almeno noi l'abbiamo: stare dalla parte di Ani. Sempre.


7.5/10