Siamo a maggio e non avevo ancora recensito un disco del 2021. So di dare un dispiacere alle mie folte legioni di lettori, ma è altamente improbabile che con il ritardo accumulato possa uscire, a fine anno, il consueto consuntivo sui migliori dischi. Va beh, ce ne faremo una ragione.
Ma torniamo a noi e a questo focus sul ventitreesimo album dei miei amati Saxon, che, a quarantadue anni dal loro esordio, offrono al proprio pubblico la prima raccolta interamente composta di cover. Ecco, la recensione rischia di essere davvero sintetica e mi brucio subito il giudizio finale: siamo di fronte probabilmente al prodotto più sciatto e svogliato della carriera degli inglesi.
Perchè Biff, realizzare un disco così? D'accordo la pretesa di tributare un riconoscimento agli eroi di gioventù, ma non si potevano compiere scelte diverse a partire dalla selezione delle canzoni, evitando di mettere in fila con piglio scolastico una serie di "greatest hits" al pari di una cover band alle prime armi, con risultati tra il superfluo e l'imbarazzante (Immigrant song dei Led Zeppelin, Hold the line dei Toto)? Perchè non sforzarsi di individuare nel repertorio dei Deep Purple o dei Rolling Stones qualche pezzo meno sputtanato di Speed king e di Paint it black da far conoscere ai propri fan più giovani?
Perchè pubblicare una performance come questa, senza guizzi e con versioni che richiamano quelle originali, ma suonate peggio?
A fine ottanta i Saxon avevano avuto l'ultimo scampolo di notorietà fuori dalla platea metal con la cover di Ride like the wind di Christopher Cross, ecco, l'esempio di quella intelligente intuizione è stato completamente dimenticato da Byford e soci, che si sono andati ad impelagare in un'operazione priva di ispirazione (altro che "inspirations"), senza alcun contenuto artistico e che, ovviamente, non ha raggiunto alcun risultato commerciale.
Se volete conoscere le canzoni delle altre band tributate nel disco cercate su wikipedia, per quanto mi riguarda ho dedicato già troppe parole a questa ciofeca.
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