Sostiene Stephen King, nell'appassionante prefazione a questo romanzo (da leggere in realtà come postfazione, visti i numerosi "spoiler"), che Jim Thompson nella sua prolifica bibliografia abbia scritto tanti hard boiled usa-e-getta a esclusivo scopo alimentare, con qualche significativa eccezione, laddove ha invece realizzato dei capo d'opera, se non proprio capolavori.
Uno è senza dubbio questo L'assassino che è in me, agghiacciante viaggio nella mente deviata di Lou Ford, assassino seriale che come copertura svolge la mansione di vice sceriffo in una cittadina del Texas. Una di quelle province americane modello Springfield dei Simpson, in cui ognuno, dal miliardario al ragazzo della pompa di benzina, recita una parte e tutti si conoscono, l'unica differenza con i personaggi creati da Matt Groening è che Thompson ne dà una versione in acido. Lou si camuffa bene tra i volti noti del paese, ma nasconde un animo brutale e omicida totalmente privo di freni, vincoli morali ed empatia. Fin qui certo, si può parlare solo parzialmente di trama in anticipo sui tempi, e in effetti è sul linguaggio che Thompson è avanti mezzo secolo. Quando può parlare liberamente, e in genere succede un attimo prima di uccidere la sua preda, Lou non ha limiti, come quando minaccia chi gli sta davanti di scoparlo con una pannocchia avvolta nel filo spinato che conserva per le occasioni speciali. La brutalità delle sue azioni si amplifica laddove l'autore le scatena non per impeto d'ira ma a valle di una lucida preparazione con annesso afflato liberatorio, gonfiato dalla lunga attesa, che si porta via ogni paravento pubblico e decoro morale.
Dal romanzo nel 2010 è stato tratto un film di Michael Winterbotton con un buon cast (Casey Affleck, Jessica Alba, Bill Pullman, Kate Hudson) che non gode di buona stampa, ma che non ho avuto modo di vedere per farmi un'idea personale.
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