Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, la recensione di Vale Sapisi di un romanzo romantico che affronta il tema della sordità.
Quando, qualche anno fa, iniziai a studiare la Lingua dei
Segni ne ero totalmente affascinata, grazie ad essa scoprii una comunità e la
sua cultura. Cominciai a partecipare alle attività organizzate dalle
associazioni di sordi, m'impegnai in una serie di attività di volontariato e
scrissi anche qualche racconto con l'intento di trasmettere il mio entusiasmo e
far conoscere la condizione dei sordi. Rileggendoli però, non mi piacquero,
avevano qualcosa di artificiale, falso. Li misi da parte e non ci pensai più.
Oggi sono abbastanza convinta che per scrivere di disabilità bisogna conoscerla
molto, molto bene, e avere delle capacità letterarie solide. Se poi a scrivere
è un disabile, ancora meglio. Al primo anno di corso LIS lessi “Il grido del
gabbiano”, l'autobiografia dell'attrice sorda Emanuelle Laborit e, anche se non
era un capolavoro a livello letterario, mentre lo leggevo sentivo di
comprendere almeno un po' dei sentimenti che l'autrice provava la sua
condizione.
Però, devo dire, sono rimasta abbastanza delusa da questa lettura, principalmente perché non ho trovato una narrazione soddisfacente della disabilità: anche se in queste pagine se ne parla e ci sono dei lunghi monologhi dei protagonisti rispetto al loro passato (infanzia e prima giovinezza), non ho avuto la percezione di cosa comporti essere sordo, quali siano le conseguenze nella vita quotidiana. I ragazzi sordi comunicano perfettamente e non hanno mai un problema; Sofia e Brando si capiscono troppo bene, io e il mio ragazzo siamo entrambe udenti e ogni tanto litighiamo, magari travisiamo quanto ha detto l'altro, come può essere che tra due giovani che vengono da realtà così diverse sia sempre tutto tanto perfetto?
E poi, non viene esplicitato il modo in cui i personaggi comunicano. Io che ho fatto i corsi Lis so che i sordi possono segnare o leggere il labiale e parlare, ma mi chiedo cosa possa capire chi non conosce la sordità. Ci sono anche momenti che mi hanno lasciata molto perplessa, come quando si scopre che Sofia non ha mai fatto incontrare Brando ai suoi genitori e (spoiler) questi scopriranno che il futuro marito della figlia è sordo solo il giorno del matrimonio. “Non volevo creare imbarazzo” dice lei, ma a me non sembra una cosa molto carina, soprattutto verso il povero Brando, tenuto nascosto ai futuri suoceri, come se ci si vergognasse di lui.
Mi dispiace doverlo dire, ma questo libro è semplicemente brutto, affronta un tema importante in modo goffo e superficiale, con una scrittura veramente povera e infantile, e questo è tanto più grave considerato che i protagonisti sordi sono ispirati a persone reali e Daniele e Mauro hanno collaborato con le loro storie al romanzo. Le loro esperienze, come quelle delle persone che fanno parte della comunità riportate al termine del volume, avrebbero meritato ben altra scrittura. Un vero peccato.
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