Gli appassionati di metal di lunga data, che, oltre ad ascoltare questo genere, non hanno mai smesso di leggerne le gesta su riviste, libri e, ovviamente, la rete, hanno fatto il callo all'incoerenza dei propri beniamini.
Non si indignano più se cambiano idea più spesso di quanto si lavino i capelli (per quelli che ancora ne hanno). Niente di scandaloso quindi se il mitologico Dee Snider, dopo aver seppellito i Twisted Sister, e dopo aver dichiarato di volersi affrancare dal metal, abbia rilasciato un disco dal titolo... For the love of metal.
Le perplessità semmai possono emergere dall'ascolto dei brani dell'album, scritto e prodotto da Jamey Jasta degli Hatebreed (in pratica in buon Dee si è limitato a raggiungere gli studi di registrazione per interpretare le dodici tracce), visto il sound pompato e modaiolo delle composizioni, che rimanda, oltre agli stessi Hatebreed, ai Five Finger Death Punch e alla roba che tanto piace alle moderne piattaforme musicali, siano esse televisive o social.
Un lavoro questo nel quale è praticamente impossibile rintracciare l'identità artistica di Snider, annullata in favore di un mood totalmente spersonalizzante.
Le canzoni possono anche essere piacevoli ad un ascolto distratto, ma, ad eccezione dell'intensa Dead Hearts (love the enemy), il cui testo verte sul bullismo, cantata assieme ad Alissa White-Gluz degli Arch Enemy, si ha sempre l'impressione di trovarsi davanti ad un prodotto usa-e-getta, mentre noi dall'icona Dee Snider ci aspetteremmo sempre qualcosa di più.
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