Difficile scrivere qualcosa di nuovo sui Thunder, il rischio di ripetersi (qui ho taggato i miei precedenti post sul gruppo) è dietro l'angolo e, d'altro canto, di riempire un post con un pedissequo track to track proprio non mi va. Provo a trasferire allora delle suggestioni, partendo da una mia abitudine: ogni volta che esce un nuovo album degli inglesi (Dopamine è il tredicesimo in studio dal 1990 ed è stato pubblicato ad aprile dell'anno scorso) lo inserisco nella rotazione degli ascolti e lì giace per tutto il tempo che serve, nella certezza che prima o poi arriverà il momento giusto per assaporarlo.
Inesorabilmente, il suo tempo è giunto qualche settimana fa riuscendo nel non banale compito di sorprendermi (ancora!)nella sua eccellente costanza qualitativa. Stavolta i Thunder si sono allargati, regalandoci sedici pezzi su due CD (nonostante per il timing di un'ora abbondante sarebbe abbastato anche un unico disco ma, posto che il prezzo è pressochè identico alla release singola e che in pochi ormai comprano il supporto fisico, mi piace pensare che la scelta sia "filosofica", cioè connessa alla volontà di spezzare l'ascolto - e più avanti cercherò di spiegare perchè io alla fine concordi con la scelta - ).
Pronti via ci ritroviamo con la band che ben conosciamo, energica, asciutta, precisa: le chitarre chirurgiche di Morley e la voce splendidamente pulita e british di Bowes sembrano incapaci di invecchiare. One day we'll be free again, Even if it takes a lifetime e Black nascono con le stimmate dell'hard rock classico venuto su dal blues e dal classic errebì. Chi pensa sia banale scrivere pezzi così, inediti ma indissolubilmente legati ai fasti del passato ci provi lui, a comporli con la cadenza e la qualità di questa band. Lo aspetto al varco.
Spesso quando ci si trova davanti ad un opera pensata su due dischi, c'è il rischio di trovarsi le ultime tracce un pò scariche. Nel caso di Dopamine invece, e qui il senso dello stacco da un disco all'altro, la seconda parte della tracklist se non oggettivamente superiore, di certo è quella che più mi ha appassionato e coinvolto, a partire da una Big pink supermoon che si prende il suo tempo e ci regala un sinuoso stacco di sax, per passare al midtempo I don't believe the world, al lento Is anybody out there e la conclusiva No smoke without fire.
Copertina brutta e inspiegabile, quello sì. Per il resto sedici tracce che brillano di luce propria, nessun filler, una grande, grande band di british hard rock. Ma che te lo dico a fare? Tanto continuerai a sottovalutarla.
Nessun commento:
Posta un commento