Nelle ultime
pagine di Portavo allora un
eskimo innocente, volume del
2007 che ripercorre la vita di Francesco Guccini, attraverso una conversazione
con lo stesso cantautore curata da Massimo Cotto, a precisa domanda sui
progetti per un nuovo album, l'artista rispondeva che ormai faceva molta fatica a
trovare l'ispirazione e che aveva pronti non più di un paio di brani. Due o tre
anni dopo, intervistato in tv sui suoi progetti discografici rilasciava seraficamente la stessa identica risposta: "ho pronti due pezzi...".
Quindi se lo chiedete a me, no, non sono sorpreso dalla
dichiarazione di ritiro dalle scene che ha accompagnato l'uscita de L'ultima
thule. L'uomo dell'appennino tosco emiliano da tempo ha altre priorità. La
lettura, lo studio, la scrittura di romanzi. Niente a che vedere con gli
strombazzati annunci di addii dalle scene di gente che ha bisogno di grattare il fondo del
barile di una carriera colata a picco, questo è certo.
Ecco che allora L'ultima thule prende tremendamente sul serio la
vocazione testamentaria che l'autore gli ha conferito ed è aperta da due pezzi
molto autobiografici costruiti sulla nostalgia struggente per l'infanzia, la
giovinezza e i luoghi che l'hanno caratterizzata. Canzoni di notte n. 4 e sopratutto L'ultima volta sono, in alcuni passaggi, davvero toccanti. A
seguire, curiosamente, di nuovo la scelta di presentare una stessa tematica attraverso una coppia di canzoni. Il perimetro è quello della seconda guerra
mondiale dei partigiani, dei soldati che non sono tornati dal fronte. I brani
sono Su in collina (la paternità del brano è divisa tra
un tradizionale emiliano e lo stesso Guccini, ma io tendo a preferire la versione rock dei Gang) e Quel giorno d'aprile. Il testamento di un pagliaccio mette invece alla berlina la società
moderna, su un canone musicale che chiama in causa De Andrè e Capossela. Chiude
l'opera (otto tracce in tutto, tre quarti d'ora di durata) la title track.
E' una grande passione quella che nutro
per Guccini. Nonostante questo è la prima volta che ho l'occasione di parlare di un suo nuovo
album, anche se due o tre suoi dischi finirebbero di sicuro nei
più importanti della vita, semmai riuscissi a riprendere quella rubrica. Questo perchè l'ultimo suo lavoro che ho apprezzato è vecchio di oltre quindici
anni (D'amore, di morte e di altre sciocchezze, 1996), e i successivi (Stagioni,
2000 e Ritratti 2004) li ho trovati un pò deboli.
Quest'ultimo (in tutti i sensi) mi sembra invece centrato, coerente. Estremamente onesto.
In linea dunque con la storia del maestro-insegnate.
7/10
2 commenti:
proprio perché ultimo, continuo a rimandarne l'ascolto. ma davvero sono giò 15 anni da d'amore, di morte e di altre sciocchezze? occazzo!
Non me ne parlare...
:D
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