domenica 30 dicembre 2012

Hacienda, Shakedown


Ormai è una sorta di monopolio. Dove c'è un suono rhythm and blues elegantemente vintage e opportunamente ruffiano, c'è Dan Auerbach. Così è anche per la produzione di Shakedown, terzo album dei dei texani Hacienda. I tre fratelli Villanueva  (che degli Hacienda costituiscono l'ossatura), da parte loro, aggiungono alla formula di Dan qualche spolverata di glam rock, chetelodicoaffà, rigorosamente seventies.

Però siamo seri, trovatemi un ascoltatore mediamente informato sulla musica pop (in senso allargato) che non ricolleghi il sound di questo album direttamente a El camino dei Black Keys e giuro che da oggi mi occuperò solo di canti gregoriani.

Una volta tolto dalle scarpe il sassolino dell'originalità (che ad ogni modo non è esclusiva neanche di Auerbach, abilissimo a ricreare, rielaborandolo, un sound del passato) posso comunque tranquillamente affermare che il disco è sicuramente divertente, efficacemente conciso (siamo sui dieci brani che superano di poco la mezzora di musica) e diretto.

Pur essendo orecchiabilità e gangi mnemonici caratteristica di tutte le tracce che compongono il full-lenght, Let me go, Savage, Don't keep me waiting e Doomsday sono probabilmente le tracce che più rimangono in testa, in un perpetuo effetto nostalgia.

6,5/10

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