Cosa aspettarsi da una band che come ragione sociale usa il titolo di un'opera di William Shakespeare, che si serve di citazioni dotte e per i titoli delle canzoni ricorre al latino? Beh, come minimo che sia composta da irriducibili nerd e che suoni una qualche sorta di insopportabile rock cerebrale, giusto? Sbagliato, se la band in questione risponde al nome di Titus Andronicus, visto che il gruppo del New Jersey si esprime prevalentemente assecondando i canoni del primo punk inglese.
Il combo capitanato da Patrick Stickles arriva al terzo album in quattro anni e mostra il raggiungimento di una maggiore sicurezza nei propri mezzi, coniugando senza timore pezzi dall'impatto immediato, a brani saturati di testo, tracce brevi (anche brevissime) e pezzi che sfiorano i dieci minuti. Con l'arroganza di chi piazza un anthem da pogo selvaggio perfetto come opener solo alla posizione tre della tracklist (Upon Viewing Oregon’s Landscape with the Flood of Detritus) e il primo singolo addirittura alla sette (In a big city).
Stilisticamente, detto dei debiti nei confronti dei Clash pre-London Calling, dei Pistols e un pò anche di Richard Hell, dentro Local Business troviamo tributi sfacciatissimi ai Ramones (nella seriale Titus Andronicus vs The Absurde Universe [3rd round KO] ), strizzate d'occhio a Elvis Costello (In a small body) e meravigliosi eco del rhythm and blues bianco dei sessanta ( [I am the] Electric man ); il tutto dopo aver aperto l'album con la citazione dei Vangeli Ecce homo per raccontare l'umanità del terzo millennio.
Nome interessante e decisamente fuori dagli schemi, quello dei Titus Andronicus. Difficile immaginare per loro un futuro mainstream analogo a quello dei conterranei (e amici) Gaslight Anthem, ma certo la band è da tenere d'occhio.
7,5/10
7,5/10
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