lunedì 17 gennaio 2011

Tel chi el Zamora



Milano, anni 60. Il Walter è un ragioniere scapolo che si avvia ai 40 anni. Preciso (ma non pignolo, come sottolineano i colleghi) ed affidabile sul lavoro, non ha in pratica vita sociale ne particolari passioni , non coltiva hobbies e non segue alcuno sport. Condivide con la sorella appartamento e tran tran quotidiano. L'evento che darà luogo ad un vero e proprio sisma della sua serafica esistenza è rappresentato dal cambio di lavoro e dalla fissa del nuovo capo per il calcio, fissa che lo porta ad obbligare tutti i dipendenti di sesso maschile a cimentarsi amatorialmente con questo sport, con l'obiettivo dichiarato di giungere al pirotecnico finale di stagione: la grande partita scapoli-ammogliati del primo maggio di ogni anno.




Strano a dirsi, visto che il protagonista della storia è un uomo di 36 anni e non un ragazzino, ma questo di Roberto Perrone (giornalista del Corriere della Sera) ha la struttura di un romanzo di formazione. E questa è la prima considerazione. La seconda è che il libro è scritto in maniera molto semplice, asciutta. Dopo le prime pagine pensi: mah, questo avrei potuto scriverlo anch'io. In genere questa considerazione porta all'annoiato accantonamento dell'opera, ma in questo caso, e qui sta la sua forza, non succede, anzi ti trovi a terminarlo in mezza giornata tanto è scorrevole la lettura.
Terza e ultima analisi, da Fuga per la vittoria in poi non si può fare un'opera di finzione sul football (film o libro che sia) senza metterci il calcio di rigore decisivo all'ultimo minuto della partita della vita. Spero di non togliere suspance ai potenziai lettori dicendo che neanche Perrone sfugge a questa regola. E' però probabilmente consapevole del clichè a cui ricorre, e allora se lo gioca togliendogli la responsabilità di essere il fulcro della storia. Addirittura ne anticipa l'avvento rispetto alla narrazione in tempo reale.

Zamora è in definitiva un romanzo leggero e godibile, che ha come spunto la passione sportiva per antonomasia degli italiani, ma che offre anche una disimpegnata lezione sulla regola che, nella vita, non è davvero mai troppo tardi per cambiare.

2 commenti:

Matteo ha detto...

Il direttore che obbliga i dipendenti a seguire le sue passioni è fantozziano fino all'osso. Ed è un pregio eh, bada bene.

monty ha detto...

Sì, c'avevo pensato.
D'altro canto visto il periodo
storico del romanzo, analogo a quello raccontato nei
primi libri di Villaggio,
probabilmente le cose andavano
davvero così.