giovedì 20 gennaio 2011

Gli scarafaggi non hanno re (cit)





Difficile pensare al regista Paolo Sorrentino senza che scatti il collegamento con il suo attore feticcio Toni Servillo. Ecco, la pigra sinapsi si attiva anche per l'esordio letterario del regista campano, visto che nei ringraziamenti viene citato proprio il protagonista de Le conseguenze dell'amore come ispirazione per Tony Pagoda, mattatore unico e indiscusso fulcro del romanzo.

Chi è Tony Pagoda? Un cantate melodico napoletano che all'apice della sua carriera arriva ad esibirsi financo al Madison Square Garden davanti ad un pubblico adorante, con Frank Sinatra a complimentarsi nei camerini. Nel privato Tony è un cocainomane abituale con una dipendenza feroce dalla pucchiacca. A quarant'anni è anche uno che la sa lunga su tutti gli aspetti della vita, e non perde occasione per farlo pesare a tutti: amici, parenti, band. La famiglia è ai margini della sua vita, la casa solo un porto sicuro dove rifugiarsi occasionalmente. I rapporti con moglie e figlia sono unicamente improntati ad una formale convivenza. E' però proprio da questo microcosmo sociale che s'innescherà una reazione di eventi che porterà la vita di Tony ad un'incredibile svolta radicale.





Sorprendente è l'aggettivo più usato dalla critica per definire l'esordio letterario di Sorrentino. Anche se i recensori partivano probabilmente prevenuti, a causa dei mediocri risultati ottenuti da altri artisti italiani che si sono cimentati in ambiti differenti dalle loro abituali tazze da tè (chissà perchè mi viene in mente sempre il Ligabue regista e/o scrittore), mi sento di condividere questa lapidaria impressione. Aggiungo che,a mio avviso, lo stupore più grande nasce dal trovarsi al cospetto di un'opera dotata di una strabordante urgenza comunicativa.
Così strabordante che risulta difficile recensire Hanno tutti ragione restando nei consueti canoni di valutazione. E' necessario ricorrere a metafore, perchè le parole ti sommergono come fa l'onda di tsunami con una capanna di fango, la struttura della storia ti travolge come un interminabile rap suonato a tutto volume, sei obnubilato neanche avessi preso residenza in una fumeria d'oppio .

Il lato negativo di questa caratteristica è che in più di un frangente la concentrazione del lettore vacilla sotto i colpi di una narrazione che a tratti si fa ridondante,verbosa. Gli incisi, le lunghe parentesi aperte infiacchiscono un pò la verve del racconto, la sua continuità, il potenziale dei personaggi (questo aspetto mi ha fatto scattare un collegamento - probabilmente improprio - con il Don Chisciotte di Cervantes che intervallava continuanamente il filo narrativo principale delle gesta del protagonista Don Alonso Quijano con storie di personaggi collaterali), ma è un difetto che passa in secondo piano, perchè il Paolo Sorrentino scrittore dimostra di essere davvero bravo a dipingere una tela che mischia tonalità malinconiche con sfumature comiche, tinte ciniche ad una spietata analisi sull'Italia degli ultimi trent'anni.

Sono tanti i passaggi memorabili del racconto, dall'iniziazione sessuale del giovane Pagoda con una nobildona decaduta, all'esilio in Brasile, al "poema del comodino vuoto", all'amore/odio con l'amica Rita, fino alle tecniche di seduzione per individui non avvenenti. C'è infine spazio anche per un inatteso colpo di scena finale (buttato via come un dialogo de Gli occhi del cuore, recitato male per scelta stilistica della produzione) e per un finale che ti strozza la gola per quanto riesce ad essere doloroso nella sua ineluttabilità.

Avercene, di esordi così.

4 commenti:

massi78 ha detto...

più che "le conseguenze dell'amore", un cantante melodico napoletano cocainomane a me fa venire in mente "l'uomo in più". ma probabilmente dovrei leggere il libro per capirlo.

monty ha detto...

è così massi.
infatti il servillo che ispira
pagoda è descritto con parrucca e
rayban.
esattamente come figura nel bellissimo "l'uomo in più".

Gemelle a rotelle ha detto...

Bravobravo.
C'è da dire che Sorrentino è regista troppo meticoloso per essere casuale come scrittore. E se ha scritto un libro è perchè ci teneva proprio e voleva farlo bene.
Trovo che non divaghi neanche tanto, ti sfido a leggere "Cent'anni di solitudine", quello sì che divaga!
Io sono a pag 190...

Filo ha detto...

Oltre a quello che hai scritto tu,
a me ha colpito molto questa storia che anche nell'essere (più?) spregevole e meschino in fondo ci sia un'umanità e una sensibilità fuori dal comune.


Inciso per i curiosi: nell'audiolibro di "hanno tutti ragione" è proprio Servillo che recita/legge il libro.