Va beh, togliamoci il dente. Eccolo qui l'album dei Fontaines D.C. che proietta la band irlandese al successo mainstream. Dietro una delle copertine più brutte che mi sia capitato di vedere, undici brani che puntano apertamente al grande pubblico tentando una difficile connessione con la storia del gruppo, costruita fin qui con tre album all'insegna della crescita costante. Dietro le dichiarazioni che accompagnano ogni nuovo album, (aspetto ormai metabolizzato e gestito da Chatten da consumata rock-star), e che tendono a "giustificare" l'alleggerimento dei pattern con la volontà di allontanarsi dai temi irlanda-centrici, c'è in realtà la legittima ambizione di allargare la propria fan-base. Mettendo in conto di perdere, o ridurre, quella storica, chiaramente più snella.
Probabilmente consapevoli dell'effetto straniante creato con una traccia così anomala, nel proseguo della tracklist i Fontaines D.C. piazzano i pezzi probabilmente migliori dell'intero lavoro, su tutti In the modern world e Bug, prima dell'altrettanto valida, al tramonto dell'album, Death ink.
E' certamente importante per una band darsi degli obiettivi e ancora di più lo è riuscire a raggiungerli, non è un'operazione banale decidere di fare un passo in direzione mainstream ed avere scaltrezza e capacità artistica di riuscirvi, restando tutto sommato fedeli alla propria storia (mi viene il paragone con Springsteen, che con Born in the USA ha sempre continuato a proporre il suo blu collar rock, semplicemente poppizzandolo). Per quello che mi riguarda, senza tragedie (visto che, ahimè, non ho più sedici anni), nei Fontaines D.C. dei primi tre, splendidi, dischi (due recensioni le trovi qui e qui) e arrivo a dire forse finanche il lavoro solista di Chatten (qui) mi ci trovavo di più.
Cioè questo passaggio da una musica da fili elettrici scoperti, dagli spasmi di una Hurrican laughter o di una Televised mind, dalla malinconia atonale di I don't belong o di una How cold is love, alla coolness di Starbuster o Here's the thing fatico a sedimentarlo. Insomma, le mie solite menate. Romance resta comunque un buon disco, senza dubbio sopra la media della roba che di questi tempi fa classifica o visualizzazioni a rotta di collo. Nella mia bolla snob, sono felice di averli visti dal vivo prima del grande botto.
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