Per quello che mi riguarda, i Fontaines DC hanno rappresentato la novità più interessante nell'ambito del recente panorama musicale internazionale. Considero i tre album fin qui rilasciati (Dogrel, A hero's death e Skinty fia) esempi di una trasversalità musicale non comune e fatico davvero a considerare anche uno solo dei brani ivi contenuti banali filler. Un'onda poderosa insomma, dotata di una forza tale da farmi accantonare un intero movimento (quello metal), che era tornato ad accompagnarmi da lustri, e che mi ha incuriosito al punto da indurmi a scandagliare il vasto panorama del revival post punk (senza peraltro mai riuscire a replicare l'epifania raggiunta con il gruppo irlandese).
Nonostante ciò, a riprova del fatto che sto perdendo colpi, non sapevo che il cantante/frontman della band avesse pubblicato un album solista. Me ne sono accorto solo controllando le liste dei migliori dischi del 2023 delle varie riviste, dove, in qualche caso, veniva citato questo Chaos for the fly. La prima cosa che ho fatto, prima di recuperarlo, è stato cercare informazioni sul futuro dei Fontaines DC e solo dopo le rassicurazioni di rito (sarebbero al lavoro sul successore di Skinty fia) mi sono concentrato sull'ascolto di questo solo project, che deve il suo titolo ad una battuta della Morticia della famiglia Adams: "What's normal for the spider...is chaos for the fly".
Non ho mai capito il senso dei progetti solisti in cui membri di band ancora in attività si prendevano una pausa per... replicare l'identico sound della formazione di provenienza. E guardate che è quasi sempre così. Chatten non lo fa, e già qui ci siamo. Il disco a suo nome è un patchwork straniante di stili e umori che hanno forse come unico denominatore comune un'oscurità e una malinconia di fondo, anche laddove, apparentemente, le atmosfere sono rilassate, quasi spensierate.
L'attacco è per The score, un brano che ci riporta a quel movimento new folk che ha attraversato gli anni zero (Midlake, Fleet Foxes, Grizzly Bear), che non brillava certo per allegria. La combo testo musica è comunque estremamente valida e probabilmente la scelta di aprire il lavoro con un brano così esprime una precisa volontà di imprinting. La successiva Last time every time forever, è forse quella inizialmente più assimilabile alle cose Fontaines DC, ma ecco che quando entra un controcanto femminile la percezione muta radicalmente.
Pochi brani e risulta evidente come l'approccio a queste canzoni da parte di Grian sia crooneristico, da cantante confidenziale, ben lontano quindi dai suoi inizi legittimamente sgraziati e post punk sull'esempio di Ian Curtis. Questa modalità viene esaltata soprattutto in brani dal sapore quasi lounge come Bob's Casino (dove il nostro, novello Dean Martin, ospita la fidanzata Georgie Jesson per un duetto che riporta alla mente i vari che si sono succeduti nel tempo per Somethin' stupid) nel quale trova spazio anche una tromba che tanto ricorda Herp Alpert. Lo stesso dicasi per un'altra traccia che viaggia leggera sulle stesse ali dell'easy listening anni sessanta: East coast bed.
C'è poi lo skiffle-folk di Salt thowers off a truck e di Fairlies ad intervallare i momenti più introspettivi, perchè, come scrivevo, il disco è pervaso da una sua anima nera, oscura, che emerge quasi a prescindere dalle intenzioni dell'autore e che si nasconde in brani come l'opener o All of the people, I am so far, per poi manifestarsi, bellissima e malinconica, nella conclusione di Season for pain.
Nessun caos qui dentro. Semplicemente un disco che si farà ricordare.
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