Osservo il grande palco prima dell'inizio del set e noto la totale assenza di strumenti, al netto di tre postazioni, una di batteria e due di tastiere/sintetizzatori. Il resto è tutto spazio libero che Gahan si prenderà da consumato entertainer.
Mancavo i Depeche Mode in concerto da oltre un quarto di secolo, era il settembre del 1998 per il tour che accompagnava la pubblicazione dell'antologia The singles 86-98. Fu un concerto estremamente piacevole, anche perchè, in assenza di brani inediti da promuovere, la band si concentrò esclusivamente su vecchi classici e recenti hit già assimilate.
Tornando seri, a non essere cambiata, se non in meglio, è la voce del frontman dei DM, potente, pulita e profonda, a dimostrazione di una vita ora condotta nel segno della corretta condotta salutistica e del professionismo.
Dopo un canonico, breve set di apertura dei Deeper, band di Chicago che viene a dirci quanto la lezione dei Cure sia ancora pedissequamente mandata a memoria dai giovani virgulti, con una puntualità da me sempre apprezzatissima (in quanto forma di rispetto per chi magari è lì dal mattino e poi sotto il palco da ore - non il mio caso che sono col culo sulle poltroncine del secondo anello - ) parte, con uno stage immerso nella penombra, l'open track dell'ultimo Memento mori, il cupissimo industrial-gospel distopico ed evocativo My cosmos is mine. Con la successiva Wagging tongue, sempre dall'ultimo lavoro, si chiude la doppietta iniziale che permette all'ugola di Gahan di raggiungere la giusta fasatura.
Da lì in avanti ci saranno solo altri due brani, sui ventuno complessivamente eseguiti, da Memento mori (Ghosts again e l'ottima Before we drown) e poi via col revival delle musiche più adorate dalle masse (cit.) , da Walking in my shoes alla conclusiva Personal Jesus, in mezzo, tra le altre, Policy of truth, Black celebration (dedicata, forse un pò freddamente, a Fletcher), Enjoy the silence, Stripped, Never let me down again, per una setlist, quella del leg 2024 del tour, sostanzialmente bloccata.
Curiosamente, l'highlight della serata è però uno degli unici due pezzi cantati da Martin Gore, che si è esibito in una versione solo piano (suonato dal tour member, anch'egli ormai storico, Peter Gordeno) e voce di Strangelove. Un'interpretazione che mi ha riempito il cuore di emozione e gli occhi di lacrime. Subito dietro, in ordine di apprezzamento soggettivo, il pezzo che più aspettavo, A pain that I'm used to, una canzone che adoro, regalata in una versione molto più carica e aggressiva dell'originale e peraltro l'unica in cui Gordeno abbandona la confort zone di tasti e pulsanti per imbracciare il basso (strumento assente per il resto del concerto, ovviamente "compensato" dal lavoro di campionamento e sintetizzatori).
Alla fine saranno oltre due ore di show impeccabile, ad alto livello di intrattenimento, anche per la consueta trascinante partecipazione del pubblico, costantemente coinvolto nei cori da Martin e Dave, che in più di un'occasione ha portato l'esibizione dei brani ai "tempi supplementari" trascinando oltre il previsto il sing-along (in un'occasione, per l'assonanza del coro al pezzo dei Doors, Gahan ha accennato a Riders of the storm), al punto da far esclamare a David: "so much better than Torino!", la precedente serata italiana dove, si deduce, evidentemente l'accoglienza è stata meno entusiastica.
I DM sono insomma una delle pochissime band nate al tramonto dei settanta, sull'onda di un nascente, grande contenitore musicale comunque collocato nel vasto movimento post punk (l'elettronica e il synth-pop), che più sono progredite ed evolute (quanti gruppi con un pezzo come Just can't get enough sarebbero morti da one-hit-wonder?) e che nel corso del tempo meno hanno toppato le scelte artistiche, al punto che, a memoria, non ricordo un loro album completamente cannato, e anzi.
foto da rockol: https://www.rockol.it/gallerie-fotografiche/7612/28-marzo-2024-forum-assago-mi-depeche-mode-in-concerto/543750
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