mercoledì 29 settembre 2010

Soul bombs


SOUTHSIDE JOHNNY AND THE ASBURY JUKES
Pills and ammo
self release/Leroy Record Label, 2010



So che è una formula abusata, ma, davvero nel caso di Southside Johnny vale la considerazione che riascoltarlo è come ritrovare dopo tanto tempo un caro, vecchio amico.

Questo inossidabile dinosauro del rock ha forgiato il suo sound da soulman nella seconda metà degli anni settanta quando l'amicizia e gli scambi musicali che lo legavano a Springsteen, Little Steven e il giro della E Street Band erano così intensi, che se non fosse stato per la causa legale che lo bloccò per tre anni (dopo Born to run e fino a Darkness), di certo il boss avrebbe pubblicato un disco di soul / r&b in perfetto stile Southside (la montagna di inediti, solo in parte pubblicata su Tracks è lì a dimostrarlo).

Tra l'altro la straordinaria miscela che John Lyon (vero nome del nostro) aveva shakerato non si esauriva con i tributi al suo sconfinato amore per Sam Cooke, ma utilizzava componenti di rock and roll, di blues, venature boogie e episodi r&b.
Dopo il periodo d'oro (1976/1981), durante il quale, anche grazie alla collaborazione di Springsteen, vennero fuori pietre miliari quali I don't want to go home, This time is for real, Hearts of stone, Havin' a party e il live Reach up and touch the sky, cominciò per lui un lento declino che lo portò a tentare altre strade, perlopiù da solista simil-crooner, fino alla scoppiettante rinascita di Better Days, nel 1992.

Poi un'altro calo di interesse del grande pubblico accompagnato stavolta anche da quello delle major, fino alla recente decisione di vendere i suoi lavori direttamente allo zoccolo duro dei fans, attraverso la rete. Questa scelta ha fatto sì che nella prima decade degli anni zero, tra materiale inedito, dischi di cover e recuperi dal repertorio storico, Southside abbia infilato una dozzina di uscite.

Pills and ammo, pubblicato qualche mese fa, riprende decisamente il canovaccio stilistico del periodo migliore. Quello che lo distingue dall'essere un prodotto un pò patetico riservato a vecchi nostalgici è la qualità delle composizioni e la freschezza del sound.
I fiati pestano giù di brutto già in Harder than it looks, che subito apre la manetta del gas su un refrain (il primo di una lunga sequenza) letteralmente irresistibile. Più sporca e sostenuta in prevalenza dall'elettrica e dal pianoforte è Cross that line, mentre l'armonica blues sorregge Woke up this morning e Lead me on è il primo lentaccio full band.

One more time to rock è un altro torrenziale blues elettrico, mentre il rock and boogie fa capolino in Keep on moving. You can't bury me (rancorosamente autobiografica?) è fatta apposta per amare la voce rasposa di Johnny e la conclusiva Thank you è una delicata love song, indispensabile chiosa per un disco così.

A quasi sessantue anni d'età Southside Johnny riesce ancora a fare scintille insieme ai suoi Asbury Jukes. Con feroce consapevolezza, senza aver più nulla da chiedere e rifiutando ogni compatimento per quello che avrebbe potuto essere e invece non è stato. Come si fa dico io a non volergli bene?



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