giovedì 22 dicembre 2011

Querce



Chickenfoot

III (eOne Music, 2011)




Dunque è vero che quelli bravi fanno sembrare facili anche le cose che non lo sono. Il secondo disco dei Chickenfoot (Sammy Hagar;Joe Satriani; Michael Anthony; Chad Smith e a sto giro anche l'immenso Kenny Aronoff a dare una mano), chiamato burlescamente III (lo avevano fatto anche i mai troppo rimpianti Traveling Wilburys) dà esattamente questa impressione. Hard rock commerciale (io lo chiamo così anche le se definizioni si sprecano) di sicuro impatto per chi a questo suono, che ha avuto la sua massima affermazione da metà ottanta fino all'avvento del grunge, è generazionalmente legato.


In realtà ci provano in tanti a replicare codesta formula senza arrivare ai risultati pirotecnici dei giurassici componenti dei Chickenfoot. Già, perchè non è mica semplice fare un disco così perfetto, suonato e cantato da dio, senza una sbavatura ne una nota fuori posto o un riempitivo per allungare il timing totale, con un tiro da far impallidire ben più giovani e agguerriti competitors musicali.


Seguendo un canovaccio influenzato più dai lavori passati di Hagar e Anthony, che alla storia artistica degli altri due (seppur con alcune eccezioni), l'album alterna magistralmente pezzi potenti (se proprio devo pescare dico almeno Last temptation; Alright alright; Dubai blues), ballate AOR (Come closer; Different devil; Something going wrong) e persino riusciti pezzi di critica sociale (l'intensa Three and a half letters e l'hidden track No change, forse i miei preferiti).


Sul progetto trionfa, e c'è poco da fare, la voce inossidabile di Hagar che è anche l'unico a firmare (o co-firmare) la totalità delle composizioni. Bravi gli altri a creare un automatismo che non sbaglia un colpo. Danno tutti l'impressione di partecipare a qualcosa che li coinvolge, li appassiona e li diverte. Sarà mica questo (oltre alla classe cristallina) il segreto di quelli bravi?









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