giovedì 30 marzo 2023
Recensioni capate: L'ultima notte di Amore (2023)
lunedì 27 marzo 2023
Dead for a dollar (2022)
Il cacciatore di taglie Max Borlund è ingaggiato da un ricco proprietario terriero con ambizioni politiche per riportare a casa la moglie Rachel, a suo dire rapita da un nero, disertore dell'esercito americano. Borlund, che prende molto sul serio il suo lavoro, si mette sulle tracce della donna, coadiuvato da un militare, ex compagno del rapitore. Parallelamente, dopo un periodo di reclusione di cui proprio Borlund è responsabile, esce di prigione il vendicativo Joe Cribbens.
Walter Hill torna (e già questa è un'ottima notizia!) al western, genere che ha contribuito prima a rilanciare negli anni ottanta con l'imprescindibile I cavalieri dalle lunghe ombre e, successivamente, a ribadire con il più meditativo Geronimo e infine con Wild Bill. In verità possiamo dire che il pattern di Hill sia sempre stato quello dell'epica western, anche nei suoi crime urbani (Johnny il bello), nei suoi action più riusciti (Strade di fuoco, i due 48 Ore, Danko, I trasgressori, Ancora vivo) o nelle sue scorribande nelle periferie più nascoste dell'american dream (I guerrieri della palude silenziosa), per cui resta nella sua comfort zone.
Da grandissimo fan del maestro, incurante dell'inevitabile scorrere del tempo (quest'anno le primavere sono 81), ogni sua nuova produzione mi provoca eccitazione. In questo caso poi, il cast suntuoso (Christoph Walts, William Dafoe e Rachel Brosnahan) mi faceva davvero sperare (avevo molto apprezzato Nemesi, del 2016) per il meglio. Ahimè, il destino cui sono stati relegati i registi nati dal movimento della "nuova Hollywood" e che si sono poi affermati, anche commercialmente, negli anni ottanta (oltre a lui John Landis, Carpenter, Brian De Palma - il cui recente Domino è stato letteralmente brutalizzato da tagli di montaggio che hanno portato il regista a disconoscere l'opera - Coppola, per citare ovviamente quelli ancora in vita) è quello di essere costretti, se vogliono lavorare, a smazzersela con budget ignobilmente bassi, irrispettosi della storia e del contributo dato al Cinema da questi Maestri.
Qui sta il problema del film. Per contenere i costi gli esterni sono ridotti al minimo, gli interni sono quello che sono, l'uso del digitale è insopportabile, addirittura rumors dal set segnalano problemi legati alla sicurezza degli stuntmen. E non c'è niente da fare, nonostante il mestiere di Hill tutto questo risulta un ostacolo evidente. Manca la sporcizia, sembra tutto clamorosamente finto, la fotografia è fredda (per tacere delle sequenze con la pellicola virata al color seppia nei quali sembra di assistere ad una soap brasiliana) e di questa assoluta povertà di mezzi ne risente anche la recitazione dei big del cast, spaesati (soprattutto Dafoe, irriconoscibile) e mai credibili, al netto della Brosnahan, che è l'unica a, mio avviso, a salvarsi.
Un vero peccato, perchè la storia, manco a dirlo un classicissimo western plot che richiama i grandi miti (Un dollaro d'onore su tutti), con i protagonisti "intrappolati" dagli eventi in una cittadina sperduta (del Messico) ad attendere il loro destino, avrebbe potuto essere un altro colpo andato a segno da parte di Hill.
C'è da rimarcare tuttavia come, anche in questa condizioni "ingiocabili", il Maestro, almeno per il sottoscritto, non scenda mai sotto la sufficienza.
Noleggiabile su Sky e Prime.
giovedì 23 marzo 2023
Playlist sciuè sciuè 3 (more new than old)
02 Broken Spokes, Driving nails in my coffin'
03 IAM, Dangeroux
04 Thunder, Big pink supermoon
05 Orbital, Satan
06 Neil Young, Everyboy's know this is nowhere
07 Fever Ray, Even it out
08 Sumerlands, Dreamkiller
09 Lee Fields, Sentimental fool
10 Pere Ubu, Modern dance
11 Rattlesnake Milk, .38 Special
12 Mac Miller, So it goes
13 Host, Tomorrow's sky
14 Tove Lo, I'm to blame
15 Riverside, I'm done with you
16 Radiohead, The national anthem
17 Kabaka Pyramid, The kalling
18 Eladio Carriòn, Hellcat
19 The Troops of Doom, Altar of delusion
20 A.A. Williams, Lovesong
lunedì 20 marzo 2023
Thunder, Dopamine (2022)
Difficile scrivere qualcosa di nuovo sui Thunder, il rischio di ripetersi (qui ho taggato i miei precedenti post sul gruppo) è dietro l'angolo e, d'altro canto, di riempire un post con un pedissequo track to track proprio non mi va. Provo a trasferire allora delle suggestioni, partendo da una mia abitudine: ogni volta che esce un nuovo album degli inglesi (Dopamine è il tredicesimo in studio dal 1990 ed è stato pubblicato ad aprile dell'anno scorso) lo inserisco nella rotazione degli ascolti e lì giace per tutto il tempo che serve, nella certezza che prima o poi arriverà il momento giusto per assaporarlo.
Inesorabilmente, il suo tempo è giunto qualche settimana fa riuscendo nel non banale compito di sorprendermi (ancora!)nella sua eccellente costanza qualitativa. Stavolta i Thunder si sono allargati, regalandoci sedici pezzi su due CD (nonostante per il timing di un'ora abbondante sarebbe abbastato anche un unico disco ma, posto che il prezzo è pressochè identico alla release singola e che in pochi ormai comprano il supporto fisico, mi piace pensare che la scelta sia "filosofica", cioè connessa alla volontà di spezzare l'ascolto - e più avanti cercherò di spiegare perchè io alla fine concordi con la scelta - ).
Pronti via ci ritroviamo con la band che ben conosciamo, energica, asciutta, precisa: le chitarre chirurgiche di Morley e la voce splendidamente pulita e british di Bowes sembrano incapaci di invecchiare. One day we'll be free again, Even if it takes a lifetime e Black nascono con le stimmate dell'hard rock classico venuto su dal blues e dal classic errebì. Chi pensa sia banale scrivere pezzi così, inediti ma indissolubilmente legati ai fasti del passato ci provi lui, a comporli con la cadenza e la qualità di questa band. Lo aspetto al varco.
Spesso quando ci si trova davanti ad un opera pensata su due dischi, c'è il rischio di trovarsi le ultime tracce un pò scariche. Nel caso di Dopamine invece, e qui il senso dello stacco da un disco all'altro, la seconda parte della tracklist se non oggettivamente superiore, di certo è quella che più mi ha appassionato e coinvolto, a partire da una Big pink supermoon che si prende il suo tempo e ci regala un sinuoso stacco di sax, per passare al midtempo I don't believe the world, al lento Is anybody out there e la conclusiva No smoke without fire.
Copertina brutta e inspiegabile, quello sì. Per il resto sedici tracce che brillano di luce propria, nessun filler, una grande, grande band di british hard rock. Ma che te lo dico a fare? Tanto continuerai a sottovalutarla.
giovedì 16 marzo 2023
Recensioni capate: Rosalìa, Motomami (2022)
lunedì 13 marzo 2023
Nido di vipere (2022)
Un'elegante borsa Louis Vuitton viene infilata a fatica nell'armadietto di un centro massaggi e saune. Al termine della giornata, Joong-Man, l'addetto alla pulizia del posto, nel controllare eventuali oggetti dimenticati, la rinviene. Curioso, il lavoratore apre la cerniera, facendo una scoperta sorprendente: la borsa è piena zeppa di banconote. Il ligio addetto custodisce il bagaglio nel magazzino assieme ad altri effetti personali dimenticati e va a casa. Joong-Man è in una situazione economicamente incerta, la moglie ha problemi di salute, l'anziana madre ha la demenza senile e lui non può pagare la retta universitaria della figlia. Al culmine della disperazione, dopo che viene licenziato dalla sauna per due soli ritardi, peraltro giustificati dai suoi vari casini, prende la decisione di appropriarsi del denaro, ignaro di quanti siano quelli che lo stanno cercando e quanto dannatamente pericolosi siano.
Grande successo in Corea del Sud nel 2020 e arrivato in Italia due anni dopo, Nido di vipere, debutto cinematografico del regista Kim Yong-hoon (ovviamente niente a che spartire col dittatore della Corea del nord, la cui pronuncia occidentale del nome è identica) è davvero un gioiello di film che intreccia armoniosamente il Kubrick di Rapina a mano armata e il Tarantino di Jackie Brown con gli yakuza movie, la violenza e il sadismo dei crime movie asiatici, il black humor e il grottesco, senza rinunciare - come consuetudine - ad una spietata fotografia della condizione sociale dei ceti meno abbienti in Corea.
Film corale, con tre storylines principali, collegate a loro volta alle traiettorie di altri personaggi. In meno di due ore di durata Yong-hoon riesce a tratteggiare efficacemente tutti i suoi character, amandoli allo stesso modo, sia i cattivi che i meno cattivi (buoni buoni, come spesso succede nel cinema di queste latitudini non ce ne sono), tra colpi di scena, twist of fate e doppi finali. Un crime a tutto tondo, violento, spietato e apparentemente senza speranza, che si muove però, magicamente, su ali leggere.
Uno dei film dell'anno.
giovedì 9 marzo 2023
Recensioni capate: Siccità (2022)
Il tema della progressiva riduzione dei ghiacciai e, di conseguenza, dei bacini idrici necessari al normale sviluppo delle colture ma anche alla vita quotidiana, è enorme, e probabilmente se ne parla meno, in termini di emergenza prioritaria, di quanto se ne dovrebbe fare. Più che opportuna e apprezzabile dunque l'idea di Virzì (autore anche del soggetto e co-sceneggiatore) di realizzare un film la cui protagonista è proprio lei, la siccità. Nonostante però la pellicola sia realizzata in maniera efficace in quanto a comparto tecnico, effetti speciali e fotografia (tutta saturata al giallo - forse anche troppo? - per rendere angosciante la situazione di afa e sete), al film manca una resa complessiva convincente, un adeguato sviluppo dei personaggi, insomma quell'amalgama complicata da raggiungere (a meno che non ti chiami Robert Altman) quando realizzi un film corale, con storylines plurime che viaggiano parallele per poi intrecciarsi. Così, nonostante un cast importante (Orlando, Mastandrea, Ragno, Marchioni, Bellucci e altri) il risulto appare dimenticabile. Dell'argomento a titolo del film faremmo invece bene a ricordarcene.
lunedì 6 marzo 2023
Zeal & Ardor, S/T (2022)
Non è questo il caso dello svizzero/statunitense Manuel Gagneux, leader degli Zeal & Ardor, che, avvalendosi di una combo flessibile di quattro - sei musicisti, e dentro una traiettoria di liriche caratterizzate da un preciso impegno sociale (a favore del movimenti che sostengono gli afroamericani) arriva al terzo full-lenght in otto anni operando una contaminazione pericolosa, ma posso, dirlo, fruttuosa, tra il gospel e il metal estremo.
Questo per sintetizzare l'aspetto più particolare di un disco che tuttavia regala belle suggestioni anche in ambito folk, ambient/black e industrial. Si percepisce chiaramente, nell'ascolto delle quattordici tracce, per tre quarti d'ora di musica, che compongono il self titled, il lavoro, le limature, la cura nella stesura e nella realizzazione delle composizioni. Solo così si passa da un gospel-industrial (Zeal&Ardor), all'alternanza tra linee vocali clean, screaming e growling ( solo a titolo esemplicativo: Death to the holy; Feed the machine), a esplosioni di batteria "triggerata", a pezzi western (Golden liar), di nuovo all'ambient/black (Emersion). Un vero e proprio viaggio dunque, che riesce a rendere omogeneo il continuo switch tra generi, sia da una traccia all'altra, che nell'ambito dello stesso pezzo. Una modalità che di certo non inventa Gagneux, ma che sicuramente l'artista maneggia con non banale perizia.
Sicuramente uno dei dischi da rimarcare dello scorso anno, una band da tenere d'occhio e un ringraziamento ad Ale per avergli dato ampio spazio, facilitandomene la conoscenza.
giovedì 2 marzo 2023
Meine Lieblingsdinge, Gennaio Febbraio 2023
Windfall (2,5/5)
Visioni seriali
The bad guy (3/5)
LETTURE
Chris Offutt, Nelle terre di nessuno