Quando sostengo che l'ormai pavida industria cinematografica italiana non ha rispetto per le persone di talento, il primo nome a cui penso, tra gli artisti in vita, è quello di Michele Soavi. Figlio dello scrittore Giorgio, prima di cominciare a girare in proprio, lavora con maestri del calibro di Aristide Massaccesi (Joe D'Amato), Lamberto Bava, Dario Argento e Terry Gilliam per poi debuttare, nella seconda metà degli ottanta, con il genere horror, mettendo a segno un trittico convincente (Deliria, La chiesa, La setta). Successivamente si occupa di un film nato sfortunato, per il malinteso che sta dietro l'operazione Dellamorte Dellamore (1994), sceneggiato su un soggetto di Tiziano Sclavi e per questo inizialmente ritenuto dai fan di Dylan Dog il film sul loro eroe. In realtà l'opera, visionaria, grottesca, onirica, era tutt'altro e questo ne decreta il fallimento al botteghino, una lunga iato di Soavi dal cinema e l'inizio della sua liason con commercial e televisione.
Ci vogliono dodici anni perchè, nel 2006, finalmente, venga di nuovo data la possibilità al regista di lavorare per il grande schermo con una storia tratta dal romanzo di Massimo Carlotto Arrivederci amore ciao, nel quale lo scrittore padovano mette a frutto la sua esperienza di latitante per costruirvi attorno una micidiale struttura noir, di cui, per fortuna, qualcuno ha colto le potenzialità cinematografiche.
Giorgio Pellegrini (Alessio Boni) è un ex-terrorista rosso scappato in America Latina, che ha la possibilità di essere condonato grazie ad appoggi politici di altri rifugiati influenti. Rientrato in Italia fa, suo malgrado, la conoscenza con i metodi spicci e la scarsa moralità dell'agente della DIGOS Ferruccio Anedda (Michele Placido) con il quale, dopo aver vanamente tentato di condurre un'esistenza onesta, stringe un'alleanza criminale. Parallelamente gestisce un club per "il vesuviano", un intrallazzone conosciuto in carcere. Nell'ambito di questa attività, scopre il pesante indebitamento di un uomo d'affari cocainomane e, contattata la moglie Flora (la quarantenne e bellissima Isabella Ferrari), dietro il ricatto di rovinare l'impresa di famiglia, la obbliga ad intrattenere rapporti sessuali con lui.
La necessità di avere una facciata rispettabile da mostrare in società gli farà decidere in seguito di mettere in piedi un'attività onesta con una famiglia regolare, cosa che realizzerà sposando l'ingenua Roberta (Alina Nedelea). Ma, come in ogni noir che si rispetti, il passato tornerà a tormentare Giorgio.
La faccio breve: raramente ho visto in produzioni italiane una crime story così convincente, cattiva e anticonvenzionale. Il personaggio di Alessio Boni è strepitoso: un figlio di puttana dalla faccia d'angelo e gli occhi azzurri che per la propria sopravvivenza passa sopra chiunque, in maniera lucida e determinata. A partire dalla sequenza iniziale nelle foreste sudamericane, quando per riavere il passaporto uccide alle spalle e a sangue freddo l'amico di sempre, con il quale era fuggito dall'Italia, per passare alla soffiata dei nomi di tutti i vecchi compagni terroristi resa ad un luciferino Michele Placido, fino all'agghiacciante atto finale, Giorgio si rivela come un'inarrestabile strumento di morte che si attiva in un istante, qualora la sua esistenza, la sua libertà o il suo stile di vita siano messi in pericolo.
Non è un caso che l'unica persona per cui Pellegrini sembra provare qualcosa di autentico (Flora/Ferrari) sia anche quella che non si concede a lui spontaneamente ma attraverso l'umiliazione del ricatto. Nonostante questo atto spregevole, a causa della propria personalità distorta, Giorgio si illude di poter costruire con lei una relazione "normale" e quando Flora, pagato il debito, lo scarica facendo deflagrare tutta la sua rabbia repressa, l'ex terrorista ha dipinto sul volto l'ingenuo sbigottimento di un fanciullo.
Giorgio Pellegrini è un personaggio nero di altissimo livello, uno che, in altri posti dove le storie hard boiled hanno la giusta considerazione, avrebbe avuto una lunga fila di attori smaniosi di interpretarlo. Da noi invece la produzione si è trovata di fronte ad una sfilza di no dei soliti attorucoli borghesi che, letta la sceneggiatura, hanno temuto per la propria carriera. Lo stesso Boni, pur accettando, chiede a Soavi per quale folle ragione voglia fare un film così.
Soavi, da par suo, gira in maniera magistrale: soggettive inquietanti (la carcassa del coccodrillo che galleggia in acqua fino a raggiungerne la riva, all'inizio del film); interni memorabili (il luogo dell'interrogatorio di Giorgio da parte di Anedda, con il pavimento allagato, le riprese dentro il club); meravigliose immagine oniriche (l'albero visto dal basso dopo l'esplosione della bomba); retaggi dalle precedenti produzioni horror (tutta la sequenza finale che vede protagonista Roberta, contenente un dichiarato tributo a Shock di Mario Bava), ma anche scene d'azione eccezionali, come quella della rapina.
Due parole infine sulla colonna sonora. Anche qui scelte all'insegna di un pubblico internazionale, con passaggi di pop elegante come Shout dei Tears for Fears e She drives me crazy dei Fine Young Cannibal, ma anche classici enormi come Aqualung dei Jethro Tull e Smoke on the water dei Deep Purple o piccole gemme della tradizione italiana come la struggente La notte di Adamo. Infine Insieme a te non ci sto più della Caselli, di cui il titolo del film riprende un passaggio. Che dire? Dopo aver visto Arrivederci amore ciao non riuscirete più ad ascoltarla con la spensieratezza di prima.
Niente di meno che un capolavoro.
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