mercoledì 6 febbraio 2013

Steve Earle, Non uscirò vivo da questo mondo



Dopo una raccolta di racconti il cantautore folk (e country e rock) della Virginia Steve Earle giunge al primo romanzo e lo fa continuando a concedere al lettore molto di se stesso, in maniera meno esplicita rispetto a quanto fatto nel racconto che dava il titolo alla suo esordio letterario (Le rose della colpa, del 2005), ma continuando ad usare elementi e situazioni che conosce bene: la tossicodipendenza, le periferie degradate del sud degli states dove convivono disperazione e grande umanità, le lotte civili e, ovviamente, la musica, già a partire dal titolo del libro.

Non uscirò vivo da questo mondo (I'll never get out of this world alive) prende infatti spunto da una delle canzoni più note di Hank Williams, che raggiunse il successo, ironia della sorte, proprio dopo il prematuro decesso del re del country, che resta uno degli artisti più amati di sempre negli states. Ed è proprio Hank Williams, anche se in forma di fantasma, che, nell'anno di grazia 1963, tormenta le giornate e le notti di Doc, suo medico di fiducia ai tempi del massimo successo che ora, anche a causa della sua dipendenza dall'eroina, è caduto in disgrazia e si è rifugiato nella periferia malfamata di San Antonio. Il posto si chiama South Presa e lì il dottore si paga la dipendenza esercitando illegalmente la professione con ciò che passa il convento: cioè perlopiù aborti su prostitute e cuciture su ferite da armi da taglio o  da fuoco. Così, tra delinquenti, tossici e puttane tutto fila a South Presa, finchè nello studio improvvisato di Doc si presenta Graciela, una ragazzina messicana spaurita che deve interrompere la sua gravidanza.

Adotto un termine discografico per dire che non tutto va per il verso giusto nel primo full-lenght letterario di Earle. L'opera procede a strappi, a fasi coinvolgenti si alternano momenti di stanca e passaggi a vuoto. Steve dà probabilmente il meglio di se quando descrive il paesaggio dove si svolge gran parte della storia, nel tratteggiare lo stato di tossico di Doc (con una perizia che solo un drogato può conoscere così dettagliatamente), nel collegare le vicende di fantasia a quelle reali (come l'omicidio di J.F.Kennedy), nella denuncia del razzismo strisciante della Chiesa e nel portare avanti battaglie civili scomode, come quella sull'aborto che da sempre è tema di feroci conflitti in USA. E anche l'idea di utilizzare nel romanzo l'irascibile fantasma di Hank Williams era buona ma poteva essere gestita e sviluppata meglio, magari approfondendo maggiormente i rapporti passati tra il countryman e il dottore, per evitare la sensazione della furbata mirata ad attirare lettori (sopratutto in patria).

Analogamente ad altri, anche prestigiosi, musicisti, il nome di Steve Earle continua a stare meglio sulla copertina di un disco rispetto a quella di un libro, seppure nella sua opera a tratti emerga del talento e nel complesso il lavoro risulti tutt'altro che banale.


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