lunedì 4 febbraio 2013

Ghost, Opus eponymous (2010)


Mi ha sempre fatto sorridere il termine rock satanico, perchè invece che immagini terrificanti mi porta alla mente i servizi sulla ggioventù bruciata trasmessi da La vita in diretta o Studio Aperto, i moniti bacchettoni di Giovannardi o le strepitose ironie musicali degli Elii.
Figurarsi quindi se ho mai prestato orecchio a quanti veicolavano l'adorazione per satana (maiuscolo o minuscolo? Boh!) attraverso il cosiddetto black metal.
Del tutto privo di esperienza specifica, sono quindi arrivato agli svedesi Ghost spinto dal chiacchericcio attorno alla band, che con un solo album, questo Opus Eponymous, uscito peraltro tre anni fa, e un tour pressochè ininterrotto (da soli, nel festival o a supporto di grandi nomi della scena metal) ha riscosso un notevole interesse tra fan, critica e industria musicale.

Da un certo punto di vista le manifestazioni di interesse scatenate dal gruppo appaiono sproporzionate rispetto all'offerta musicale dei quattro, che si limitano a riproporre formule già viste e sentite,a partire dal travestitismo, elemento che sembrava aver fatto il suo tempo, ma che viene rilanciato dai Ghost quale cardine della loro proposta, attraverso un rimando al passato che cita le più note masked band della storia: i Kiss (per il segreto delle identità pubbliche dei musicisti), Alice Cooper (per la teatralità), i Mercyful Fate e King Diamond (per il connubio stile musicale/testi).  Gli svedesi si presentano infatti sul palco con il front-line vestito dal papa-zombie che campeggia sulla cover (Papa Emeritus) e gli altri componenti agghindati da monaci incappucciati. 

La musica che propongono trae ispirazione da certo hard-rock settanta-ottanta coi suoni puliti e la voce cristallina, piuttosto in contraddizione quindi con i testi "satanici" che propugnano che prevederebbero growling e  oscuri rumorismi o rdf. Il lato blasfemo della band (liriche a parte) si limita insomma a qualche break di organo o ai cori in latino.
In buona sostanza pezzi come Con clavi con Dio o Ritual penso possano piacere a chiunque apprezzi il gran incedere delle sezione ritmica, la chitarra che macina mono-riffoni, le aperture poderose dei refrain tipiche del rock duro d'annata. Stand by him potrebbe addirittura essere considerato un pezzo pop-rock, non fosse per le liriche e per qualche inserimento della doppia cassa e dell'organo.

Il disco è piuttosto breve (trentacinque minuti che arrivano a sfiorare i quaranta nell'edizione giapponese che include la cover di Here comes the sun dei Beatles) e consta di nove pezzi (con due strumentali in apertura e chiusura del lavoro). 
Personalmente, al netto di tutte le menate sataniche, che considero come ho sempre fatto un elemento sensazionalistico per far parlare di band che altrimenti non si cagherebbe nessuno, ho apprezzato il dischetto, anche se aspetterei il secondo lavoro (Infestissumam, annunciato per la primavera di quest'anno) per capire se ci sia vita oltre al make up e al citazionismo di Papa Emeritus e soci.




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