venerdì 31 dicembre 2010

Mboh



Che senso ha portare sul grande schermo un romanzo, se per farlo bisogno ridurre così all'osso storia e ramificazioni colletarali da renderlo praticamente inoffensivo?
Nessuno, secondo me.
E' però quello che si verifica con il secondo capitolo dell'adattamento cinematografico della Millennium Trilogy di Larsson.
Si guarda perchè la curiosità è bastarda, ma di certo esistono modi più efficaci di sprecare il proprio tempo.

giovedì 30 dicembre 2010

2010: a year in music / 2

E' la volta di Mojo, rivista inglese orientata al classic rock.

10 Doug Paisley – Constant Companion
9 The Coral – Butterfly House
8 Phosphorescent – Here’s To Taking It Easy
7 Midlake – The Courage of Others
6 Paul Weller – Wakes Up The Nation
5 The Black Keys – Brothers
4 Edwyn Collins – Losing Sleep


3 MGMT – Congratulations
2 Arcade Fire – The Suburbs
1 John Grant – Queen of Denmark




mercoledì 29 dicembre 2010

Newche?!?


Stavolta la faccio più breve rispetto all'ultima.

A mio avviso ci sono degli elementi contrattuali che possono eventualmente diventare oggetto di negoziazione (attenzione non dico rinuncia), se contestualizzati, dandogli una scadenza temporale legata ad una determinata congiuntura e "scambiandoli" con adeguati riconoscimenti a compensazione. Metto in questa categoria alcuni aspetti del recente accordo della newco Fiat con Cisl e Uil, come le pause, gli straordinari, il pagamento della malattia e la durata dell'orario di lavoro. Tutte cose già fatte anche dalla Cgil, certo non come consuetudine ma di fronte a situazioni eccezionali.


Quello che non è derogabile, e spero che la premessa di cui sopra faccia percepire questa dichiarazione non come slogan demagogico o vuotamente idealista, è che un sindacato o presunto tale (mi riferisco a Cisl e Uil) accetti che un lavoratore venga licenziato perchè partecipa ad uno sciopero. Questa è roba che si faceva nel fascismo, quindi applicarlo nel 2010 è deriva fascista. Chiamatala banale, ma a me sembra un'equazione diretta.


Quello che non è accettabile è che un sindacato o presunto tale accetti senza reagire che si cancelli il contratto nazionale e al suo posto firmi un accordo a condizioni peggiori rispetto a quello che è stato creato per costituire almeno il livello minimo di regole e diritti


Quello che non è democratico (oltre a modificare l'intesa nazionale sulla redditività del 93) è che un sindacato o presunto tale acconsenta che non vengano più eletti delegati sindacali in fabbrica e che al suo posto siano nominati dei rappresentanti, ma solo delle organizzazioni sindacali firmatarie dell'accordo di nascita della newco.


Male ha fatto, a mio avviso la Camusso a criticare l'atteggiamento Fiom, che in questo caso mi sembra l'unico possibile all'interno del contesto, mentre Fassino ha perso l'ennesima occasione per tacere, dimostrando di nuovo il vuoto politico assoluto e la mancanza di progetti che caratterizza il PD.


A questo punto oltre allo schifo comincio a provare paura. Voi no?


2010: a year in music

Come consuetudine passo in rassegna gli album dell'anno premiati dalla critica discografica. Ecco i migliori dieci della rivista britannica Q.


10. MGMT, Congratulations
09. Paul Weller, Wake up the nations
08. The National, High violet
07. Gorillaz, Plastic beach
06. John Grant, Queen of Denmark
05. Vampire Weekend, Contra
04. Laura Marling, I speak because i can



03. Plan B, The defamation of Strickland Banks
02. Robert Plant, Band of joy
01. Arcade Fire, The suburbs



Qui la classifica completa, con le posizioni dall'undici al cinquanta

martedì 28 dicembre 2010

Who's baddest?!?


Okay, è il momento dei cattivi. Dei villains. O meglio dei super-villains. Dopo l'irresistibile Gru di Cattivissimo me anche la Dreamworks scende in campo con la sua parodia della malvagità fatta uomo, giocandosi un mingherlino extraterrestre blu con tanto di testone, registrato come Megamind.


Anche in questo caso direi che il bersaglio è centrato, magari con un punteggio giusto un pò più basso rispetto al diretto concorrente.
Il film è infatti godibile e ricco di riferimenti all'immaginario supereroistico dei fumetti e del cinema in generale(Superman su tutti, ma anche Viale del tramonto e Il padrino). Megamind (che ricorda molto un nemico "minore" di Hulk, the Leader) Minion, Metro Man, la giornalista Roxanne e Titan sono tutti characters riusciti, la storia non si perde come spesso accade in questi casi dopo la prima mezzora (anche se comincia a venire a noia l'inflazionatissimo balletto finale) ma il problema è che si sorride, più che ridere di gusto e il target più adeguato alla pellicola sembra essere quello dell'appassionato di super-eroi stagionato piuttosto che un bambino delle elementari.
Trascinante la colonna sonora, costruita perlopiù su spettacolari pezzi hard rock(Back in black, Welcome to the jungle), fatto salvo l'inevitabile finalone sulle note di Bad di Michael Jackson.



A Stefano è piaciuto, ma la notizia di maggior rilievo è che per la prima volta ha colto, da solo, una citazione cinematografica. Ha collegato infatti la scena in cui Metro Man (il Superman del caso), volando, batte il cinque alla folla adorante all'analoga sequenza vista in Spiderman 3.

E sò soddisfazioni...

sabato 25 dicembre 2010

Album o' the week / Frank Sinatra, Christmas songs (1948)


Sarà anche per colpa dell'inarrestabile deriva filo-americana (mi riferisco solo alla musica eh) nella quale ormai mi sono rassegnato a fluttuare, ma non trovo musica più congrua dello swing per le festività natalizie.
E anche se il disco di swing natalizio più venduto di sempre è quello di Bing Crosby, io sto sempre dalla parte di Frankie. Nessuno come lui per ricreare atmosfere di cartapesta, colorati sfondi di compensato, luccichii buoni solo per le falene.

Tanti auguri.

venerdì 24 dicembre 2010

RC2


La seconda stagione di Romanzo Criminale riprende le fila del discorso esattamente là dove era stato interrotto. Con il Libanese steso sull'asfalto dopo essere stato colpito a morte da un commando in motocicletta e la banda che cerca di trovare il responsabile dell'agguato e al tempo stesso capire se è in grado di sopravvivere senza il suo leader carismatico. Una mano a scegliere gliela daranno mafia e camorra, che hanno già individuato nello scaltro Dandi il successore al titolo di re di Roma della mala.

Il periodo storico coperto va dal 1981 al 1989 e i fatti che si intrecciano con gli affari della batteria, sono la vittoria dell'Italia al Mundial di Spagna, l'ascesa dei palazzinari, l'arresto di Buscetta, il malaffare dietro alle grandi opere per Italia 90, l'avvento del flagello dell'AIDS, il crollo del muro di Berlino. All'interno della banda della Magliana, laddove c'era voglia di rivalsa sociale, spirito cameratesco e un codice d'onore, per quanto deviato e violento, s'insinuano invece sospetti, doppi giochi, tradimenti, defezioni, lotte e vendette intestine.
La batteria, tra uccisioni e galera, perde i pezzi, la forbice rappresentata dalle personalità del Dandi e del Freddo diverge sempre più, provocando in pratica l'implosione del gruppo. Il destino non farà sconti a nessuno, senza guardare in faccia a buoni o cattivi e alle sfumature che stanno in mezzo.


Tiene botta la seconda stagione di Romanzo Criminale. Tiene botta nonostante l’inevitabile calo di tensione causato dall’assenza di un personaggione come il Libanese (Francesco Montanari) e nonostante a sto giro venga narrata la fase meno "esaltante" delle gesta di questi delinquenti. Ha ragione da vendere Stefano Sollima (il regista) quando definisce la season 2 più come il secondo tempo di un film piuttosto che una canonica seconda stagione di un telefilm. Concetto questo dimostrato anche dall'epilogo della storia, che ci rivela l'identità del personaggio visto, ai giorni nostri, nel prologo della prima serie.

Il livello rimane dunque significativamente alto, rispetto al panorama medio, non solo televisivo, italiano. Alcune sequenze sono infatti girate con una maestria e una professionalità tutta cinematografica, cito come esempi la scena del regolamento di conti tra il Freddo e un doppiogiochista della banda nelle campagne fuori Fiumicino, con i passaggi degli aerei che entrano nei dialoghi come a congelare il tempo; la scena d’amore tra il Freddo e la new entry Donatella, nella quale la macchina da presa indugia sulle dita dei due che scorrono, sfiorandole, le cicatrici che marchiano i rispettivi corpi nudi, mentre a livello di spettacolarità è impossibile non segnalare il capolavoro di tecnica rappresentato da un piano sequenza che si conclude con l'esplosione di un auto che sbalza un uomo a metri di distanza.

Di nuovo mi piace evidenziare anche l'eccezionale utilizzo di canzoni pop a completamento delle immagini. Il prologo che narra l'origine del nick name del Bufalo si apre ad esempio sulle note di You really got me dei Kinks, le ultime immagini che portano ai titoli di coda sono sorrette da Liberi Liberi di Vasco Rossi. In mezzo si va da Lilli di Venditti a Shout dei Tears for Fears.

Volendo cercare una morale nella storia di una sanguinaria associazione criminale che ha flagellato l'intero paese mi farei aiutare da un'immagine che è probabilmente una metafora semplice ma efficace delle istituzioni non corrotte di quell'epoca: il commissario Scialoia (per lui, cavaliere senza onta e paura, un finale davvero sorprendente) pestato fino a subire menomazioni permanenti e gettato agonizzante in un'immensa discarica di rifiuti. Volendone cercare un'altra, i criminali più pericolosi e spietati sembrano essere quelli che si vedono solo di sfuggita, sempre eleganti, a stringere mani e firmare progetti di edilizia, gli intrallazzati, i palazzinari, quelli che, per citare il Dandi, "i soldi li fanno firmando dei pezzi di carta e no cò e pistole".

Da vedere.


martedì 21 dicembre 2010

Che suono fa il sole?


Michael Franti & Spearhead
The sound of sunshine
Capital, 2010


La parte più complicata che mi tocca nel recensire questo disco (co-prodotto da Sly & Robbie) è evitare di definirlo abusando dell'aggettivo solare. Fatto questo il resto del lavoro è tutto in discesa, d'altro canto la cover sarebbe già di per se esplicativa dei contenuti.

Atmosfere delicate stese perlopiù su battiti in levare, strumentazioni ridotte al minimo indispensabile con la chitarra acustica a farsi carico dell'ossatura dei pezzi. Liriche che accantonano (senza abbandonarli) temi politici o di denuncia sociale e si concentrano maggiormente su composizioni d'amore o che comunque tendono alle good vibes.

Apre con una struttura semplice e un ritornello arioso The sound of sunshine, poi il ragamuffin si palesa, sfociando anche nella black, con Shake it e Hey Hey Hey, mentre con Anytime you need me emerge abbastanza esplicito un richiamo agli Specials.
I beat aumentano dopo la metà dell'album, con Love don't wait e The thing that helps me get through, che strano a dirsi, mi ricorda gli INXS.
I due lenti successivi (Gloria e soprattutto la bellissima Headphones) sono forse i punti più alti del disco, che si chiude con una versione alternata della title-track.

Anche in queste vesti disimpegate il grande Franti riesce a comunicare empatia, a scaldare e a coinvolgerci, peculiarità questa propria solo dei grandi artisti. Solo dio sa quanto servono dischi così solari in periodi così freddi (da tutti i punti di vista). Ups.


venerdì 17 dicembre 2010

I giorni dei morti viventi, finale di stagione



Dopo una prima parte più sbilanciata sul canone horror, che si conclude con la carneficina nel quarto episodio, The walking dead vira improvvisamente sull'introspettiva. Il gruppo di superstiti fa il bilancio di un improvviso attacco degli zombie al loro campo, ognuno piange i suoi morti, qualcuno aiutando gli altri a “trattare” i cadaveri in modo che non risorgano, altri invece vegliando fino alle estreme conseguenze un familiare contagiato.

Dopo Michael Rooker, nelle ultime due puntate della mini serie esordisce un altro volto noto del cinema: Noah Emmerich nei panni di uno scienziato barricato all'interno di un modernissimo centro di ricerca nel quale il gruppo di fuggiaschi cerca rifugio. Molto toccante l'epilogo del quinto episodio, in bilico tra disperazione e sollievo, e anche l'amara conclusione della puntata finale.

C'è qualcosa di più abusato e sterile nello sviluppo di un film sugli zombie? No, in teoria. In pratica invece gli autori di questa serie riescono nell'operazione di colpire nel segno, spostando progressivamente l'attenzione dello spettatore dall'azione splatter fine a se stessa alla psicologia dei personaggi, traguardandoci nell'immedimazione con i protagonisti, con le loro terribili angosce e le loro flebili speranze. Il tutto senza dire praticamente nulla sulle cause del flagello apocalittico che rischia di estinguere l'umanità.


The walking dead è riuscita nell'impresa di emergere come inaspettata e tostissima outsider nella galassia delle produzioni americane, imponendo all'attenzione dei grandi network la AMC, emittente fuori dal grande giro di tv.
Si attendono indicazioni sul lancio della seconda stagione.
Per ora comunque, thumbs up!

mercoledì 15 dicembre 2010

De profundis

Stavolta è finita, siamo al capolinea. Come per i cavalli azzoppati del vecchio west cinematografico, è giunto il momento che piazzi una pallottola in testa alla mia vecchia e gloriosa Renault Clio dci.
Dopo nove anni e duecentotrentamila chilometri di impeccabile, e per certi versi strabiliante servizio, gli acciacchi hanno cominciato ad essere troppo frequenti e la spesa di alcune centinaia di euro l’anno per rimetterla in sesto appariva sempre più un investimento a perdere. L'ultima fermata di una settimana fa è stata decisiva.

Con rassegnazione ho cominciato a girare concessionari alla ricerca di un'occasione in pronta consegna.
Con il cuore ammantato di mestizia (beh cazzo, anche perchè in teoria non c'avrei un centesimo...) mi accingo a darle l'ultimo saluto (non prima di averla cannibalizzata di radio e casse, naturalmente).
Addio mia fedele compagna, non eri la Chevy del 69 di Racing in the Streets o una macchina altisonante come quelle di Cadillach Ranch, ma nessuna sarà mai come te.

lunedì 13 dicembre 2010

Natale senza rete

Come già riportato, da un paio di settimane sono senza linea adsl.
Per questioni burocratiche legate al cambio di operatore, i tempi per riaverla si stanno allungando, al punto che molto probabilmente se ne parlerà solo a gennaio.

Devo ammettere che questo evento mi ha inizialmente gettato in un leggero stato di panico, alimentato ulteriormente dalle reazioni di alcuni amici ( “sei senza adsl?!? Per un mese?!? E come fai, io sarei morto!!!”) che hanno fatto del loro meglio per non farmi pesare la cosa, e dalla paranoia per l’interruzione forzata della mia attività di blogger e di musicofilo compulsivo (and you know what i mean).

Poi però, più trascorrevano i giorni e più mi scoprivo immune da crisi d'astinenza. Verificavo che:

- non avere l’assillo di aggiornare questo blog (un piacere derivante da un’esigenza comunicativa che a volte però sfocia nel postare finalizzato a se stesso) mi svuotava piacevolmente l’hard disc cerebrale

- non avere ogni settimana decine di files nuovi nella chiavetta mi permetteva di godermi pochi titoli musicali e di ripescarne di trascurati

- anche senza la mail si può campare felicemente

- il tempo sottratto al web si può impiegare leggendo di più, recuperando film e serie in sospeso da secoli

- nel tempo libero si può anche semplicemente oziare un po’ (in assenza della famiglia, che altrimenti ha la priorità rispetto alle altre attività).

Resta il dispiacere di non poter seguire le evoluzioni degli amici sui rispettivi spazi virtuali, perché, contestualmente, al lavoro gli impegni sono tanti, e quasi sempre fuori sede, per cui le possibilità di collegarsi dall’ufficio si assottigliano.

Non mi sono mai considerato un malato di internet, dopotutto l’unico momento del giorno nel quale non mi facevo mai mancare l’ingresso nel web era la mattina (un appuntamento fisso)col caffè e la prima cosa che facevo tornando a casa dal lavoro non era certo connettermi, anzi, l’esatto contrario.
Però in qualche modo l’utilizzo di questo strumento si prendeva il suo spazio, sia in termini di tempo d’utilizzo, sia in quelli di ingombro mentale.

In sostanza vivo questa breve fase come una vacanza, inaspettata, ma tutto sommato gradita, dalla solita routine.
E come ogni vacanza che si rispetti accarezzo buoni propositi per il futuro, in attesa di avvertire, immancabile, il desiderio di tornare a casa.

giovedì 9 dicembre 2010

1707: la vergogna

Dal giro delle mail:

VIOLENZA SESSUALE "LIEVE" AI MINORI: ECCO I NOMI DEI SENATORI FIRMATARI

Si commenta da sé. Si erano inventati un emendamento proprio carino.
Zitti zitti, nel disegno di legge sulle intercettazioni avevano infilato l'emendamento 1.707, quello che introduceva il termine di "Violenza sessuale di lieve entità" nei confronti di minori.
Firmatari alcuni senatori di Pdl e Lega che proponevano l'abolizione dell'obbligo di arresto in flagranza nei casi di violenza sessuale nei confronti di minori, se - appunto - di "minore entità". Senza peraltro specificare come si svolgesse, in pratica, una violenza sessuale "di lieve entità" nei confronti di un bambino.

Dopo la denuncia del Partito Democratico, nel Centrodestra c'è stato il fuggi-fuggi, il "ma non lo sapevo", il "non avevo capito", il "non pensavo che fosse proprio così" uniti all'inevitabile berlusconiano "ci avete frainteso".
Poi, finalmente, un deputato del Pd ha scoperto i firmatari dell'emendamento 1707.
Annotateli bene (e ricordate le facce):
sen. Maurizio Gasparri (Pdl),
sen. Federico Bricolo (Lega Nord Padania),
sen. Gaetano Quagliariello (Pdl),
sen. Roberto Centaro (Pdl),
sen. Filippo Berselli (Pdl),
sen. Sandro Mazzatorta (Lega Nord Padania)
sen. Sergio Divina (Lega Nord Padania).

Per la cronaca: il sen. Bricolo era colui che proponeva il "carcere per chi rimuove un crocifisso da un edificio pubblico" (ma non per chi palpeggia o mette un dito dentro ad una bambina o un bambino);
il sen. Berselli è colui che ha dichiarato "di essere stato iniziato al sesso da una prostituta" (e da qui si capisce molto...);
il sen. Mazzatorta ha cercato di introdurre nel nostro ordinamento vari "emendamenti per impedire i matrimoni misti";
mentre il sen Divina è divenuto celebre per aver pubblicamente detto che "i trentini sono come cani ringhiosi e che capiscono solo la logica del bastone" (citazione di una frase di Mussolini).
...e adesso cominciamo a riflettere se essere sempre politically correct con chi li ha votati sia una mossa che paga...
fatela girare se avete voglia e tempo..l'informazione da oggi è un dovere quasi etico... anche per ciascuno di noi.

martedì 7 dicembre 2010

Good old boy




Eric Clapton
Clapton
Reprise, 2010



Contrariamente all'immagine da paggetto bolso che ci fissa dall'inguardabile copertina, Clapton ci consegna uno dei migliori dischi di Slowhand degli ultimi lustri. Il chitarrista inglese, tra i più sottovalutati/sopravvalutati di ogni tempo, sforna, tra vecchie cover e pezzi inediti, una manciata di canzoni calde e ispirate, perlopiù acustiche, nelle quali sembra voler ricreare quel sound confidenziale con il quale riacciuffò il grande riscontro commerciale con l'unplugged di MTV del 1992.
Lo fa chiamando attorno a se un manipolo di amici fidati, dal ritrovato Steve Winwood all'amico JJ Cale, a Wynton Marsalis a Sheryll Crow, passando per il "nuovo che avanza" Dereck Trucks.

La prima parte dell'album è probabilmente la migliore, dopo l'open track Travelin' alone, ci sono le placide Rockin chair e soprattutto l'ammaliante River runs deep (di Cale). Non sono da meno Judgement day e How deep is the ocean, dolcemente avvolgenti come spire di marshmallows.

Con Milkman si cambia registro e ci si ritrova improvvisamente proiettati negli anni trenta in un club fumoso di New Orleans. Il dixieland prende il sopravvento, pianoforte e tromba guidano le danze.
Superata la boa della metà della tracklist si perde un pò di qualità, ma si recupera degnamente sul finale, grazie a When somebody thinks you're wonderful, Run back to your side e Autumn leaves, composizione ispirata a una poesia di Jaques Prèvert.


Che siano state le tournee con i Cream e Winwood a restituire fiducia e voglia di suonare ad Eric Clapton non è dato sapere, accontentiamoci di avere tra le mani un disco che fa ben sperare per l'ultima (per ragioni anagrafiche) parte della carriera del più noto bluesman inglese. Pur mettendo in conto alti e bassi di una vita con la Fender a tracolla , a quasi mezzo secolo dall' esordio negli Yardbirds un lavoro così è un traguardo di tutto rispetto.









venerdì 3 dicembre 2010

RC


Ormai la fantasia ha messo la freccia e superato la realtà storica. Quello che è stata la banda della Magliana nell'Italia di trent'anni fa si perde nelle cronache, nelle nebbie di periodi oscuri, dissolta in giorni di inaudita violenza. Quello che abbiamo oggi sono le gesta di un gruppo di criminali entrati a far parte dell'immaginario collettivo degli italiani al pari di don Vito Corleone, il più noto boss mafioso cinematografico di ogni tempo, per gli americani. Il Libanese, il Freddo, il Dandi e gli altri sono assunti, in molte parti d'Italia, al ruolo di veri e propri anti-eroi. Non mi stupirebbe se, analogamente a quanto raccontato da Saviano in Gomorra, i giovani criminali moderni dormissero con il loro santino sulla parete della camera da letto.

Tutto è cominciato con il libro di Giancarlo De Cataldo, poi è venuto il film di Michele Placido e infine Sky, che ne ha ricavato una serie televisiva, realizzata anche con il contributo del magistrato/scrittore (per il soggetto) e dell'attore/regista (come consulenza).

La storia è quella ormai nota, ma ovviamanente, potendo contare su circa dieci ore di prodotto contro le due e mezzo del film ( e mettiamoci anche che al cinema venivano "coperti" tutti gli eventi mentre la prima stagione del telefilm si ferma più o meno a metà) , la narrazione si prende il suo tempo, amplia il respiro, aumenta le "licenze" rispetto al plot di partenza, indugia nelle "origini" dei personaggi.

La scena d'apertura nasce da una grande intuizione. Mentre il prologo del film di Placido era affidato ad un flashback nel quale si vedevano i futuri gangster da ragazzini, la serie di Stefano Sollima (un padre regista, e qualche episodio di serie televisive ) parte con un flashforward nella Roma di oggi. Assistiamo ad un violento pestaggio da parte di un branco di ragazzi ai danni di un uomo di mezz'età che reagirà in maniera ancora più spietata al sopruso subito, insinuando nello spettatore un collegamento (da definire) con i protagonisti della storia di trent'anni prima.

Poi si parte con la storia della scalata del potere criminale di Roma da parte del Libanese, ambizioso e dotato di grande personalità, di una naturale predisposizione alla leadership, ma anche privo di valori morali, spietato e senza scrupoli. La sua batteria (è così che chiamavano le bande nella capitale) si unisce per un avvenimento casuale a quella del Freddo, taciturno e carismatico, a capo di un suo gruppo delinquentelli. Il primo atto, che consolida il capitale economico della banda, è il rapimento che finisce in tragedia di un nobile della borghesia romana, poi la decisione di investire nello spaccio e di allargare, di quartiere in quartiere, il proprio dominio su tutta la città, fino a controllarne totalmente il traffico. A differenza delle abitudini della mala locale, i nostri acquisiscono potere e rispetto attraverso l'uso indiscriminato della violenza, "parcheggiando" (è il sinonimo che sta per omicidio) indiscriminatamente chiunque si metta sul loro cammino. Arriveranno in seguito rapporti con camorra, mafia e "obtorto collo" con i servizi segreti (deviati?), Moro, la strage di Bologna. Parallelamente si svolgono le indagini di Scialoja, un commissario tanto isolato (per le sue idee politiche di sinistra) quanto abile e di Borgia, un magistrato che va lealmente controcorrente rispetto alla linea fascista della gestione delle forze dell'ordine.
Col tempo la solidità della banda comincia a sfaldarsi, molti dei suoi membri diventano cocainomani e di riflesso ingestibili. Lo stesso Libanese, onnubilato da coca e alcol, si perde in un deliro di onnipotenza e paranoia, fino all'inevitabile atto finale. Degli altri due capi, il Freddo decide di mollare tutto e rifugiarsi all'estero mentre il Dandi, scaltro e cinico, cerca di capire come mantenere il potere.

Non se questa serie, come qualcuno ha affermato, sia davvero la migliore mai prodotta in Italia. Di certo risulta evidente lo sforzo di farne un prodotto d'eccellenza, dal taglio adulto, cinematografico. Un grande impegno è stato profuso nella ricostruzione del contesto del periodo storico, nello slang dell'epoca, nelle location, nei costumi (ecco, forse un eccesso di "falso vintage"). Ancora di più è stato speso (in tutti i sensi) nella costruzione della colonna sonora. I settanta sono magistralmente rappresentati dalle popolari hits italiane (Tutto il resto è noia, Figli delle stelle, Pazza idea, Albachiara, Sabato pomeriggio) e internazionali (Le freak, You meake me feel mighty real, Knock on wood, Disco inferno, Please don't go), quasi sempre usate come congruo accompagnamento alle immagini, e spesso, a farne da contrasto.

Tutti queste scelte alzano il ivello dell'opera oltre la media dei competitors italiani. Così come risultano azzeccate alcune scene di chiaro tributo al primo Tarantino. Su tutte, ad esempio, quella di un'efferata esecuzione camorristica all'inizio del secondo episodio, che si svolge con lo spensierato sottofondo musicale di Gianna (Rino Gaetano), e che sembra stare a Romanzo Criminale come Stuck in the middle with you sta a Le iene, nella scena delle sevizie al poliziotto. E poi le discussioni sulle preferenze musicali dei membri della banda, fatte all'interno dell'alfetta poco prima di un colpo, con il Dandi che adora la disco music (Sylvester, Kool and the gang, Diana Ross) e gli altri che lo accusano di "froceria" per poi ammettere però di apprezzare Baglioni, sono anch'esse squisitamente tarantiniane.

Due parole sugli attori, tutti pressochè sconosciuti (almeno per il sottoscritto). Seppur con qualche eccesso di ghigno malefico che a volte sfocia nel caricaturale, ottimo lavoro di Francesco Montanari (il Libanese), così come di Vinicio Marchioni (il Freddo), Alessandro Roja (il Dandi) e del resto della banda (su tutti un nome: Andrea Sartoretti aka Bufalo), qualche perplessita in più su Marco Bocci (Scialoja), penalizzato dal look da fotoromanzo e su Daniela Virgilio (Patrizia, la prostituta/maitresse/donna del Dandi). Le scene e i dialoghi tra i due sono forse il punto più basso dell'intera serie, poco credibili e prive di ogni intensità.


Per concludere una considerazione. Si è tanto polemizzato (da molte parti senza nemmeno aver visto il film) sull'opera, in uscita, di Placido su Vallanzasca. Il motivo può anche essere condivisibile: evitare di enfatizzare troppo l'opera di un criminale assassino, non farne un esempio, un simbolo. Ma allora ci sarebbe molto da dire sulla trasposizione di quella, che a detta di tutti (a proposito, in questi giorni su History channel c'è un documentario sulla vera storia della banda) è stata una delle associazioni criminali più spietate e colluse con il malaffare e la parte oscura dello stato, che viene invece rappresentata come un gruppo di gangster sì violenti e senza scrupoli, ma con un solido codice d'onore e che agisce quasi esclusivamente contro altri criminali, lasciando in qualche modo che nello spettatore maturi una sorta di assoluzione morale, visto che "s'ammazzano tra loro" e che gli innocenti non ci vanno mai di mezzo. Nella realtà questa gente ha sparato in testa a persone comuni solo per una risposta sgradita o uno sguardo di troppo, sicuri della propria impunità.

Ma lo dicevo in premessa, questo prodotto ormai con la realtà dei fatti ha poco a che fare. Ha molto invece in comune con le grandi produzioni anglosassoni di serial, con la professionalità che li contraddistingue e con il coinvolgimento/fidelizzazione che riescono a creare nello spettatore. Non mi sembra poco, in questi tempi di stucchevole buonismo da Squadre e Distretti di Polizia.


P.S. Su Sky è da poco iniziata la season 2.

lunedì 29 novembre 2010

Problemi di linea


Torno da Roma (tutto bene, bel clima tra la gente, forse un pò meno persone del solito, sta affiorando stanchezza) giusto in tempo per constatare che il modem dell'adsl è partito, andato, rotto, inoperativo.

Ne deriva che starò per un pò senza internet da casa. Magari ne approfitto anche per cambiare operatore (finora avevo telecom/tiscali) e unificare le bollette,vediamo un pò se riesco a risparmiare qualcosa.


Nel frattempo se mi vedete meno da queste parti sapete il perchè.

sabato 27 novembre 2010

Album o' the week / Billy Bragg, Talking with the taxman about poetry (1986)



Programmo questo post e penso che quando sarà pubblicato mi troverò su uno dei pullman partiti venerdì sera per raggiungere la manifestazione nazionale della Cgil a Roma. Penso che, nonostante sarò solo all'inizio della giornata, avrò già il culo piallato e la schiena a pezzi. Dopo il percorso che ci porterà verso piazza San Giovanni e ritorno, verso la mezzanotte di sabato, il bus ci restituirà alla foschia (oddio spero non alla pioggia o alla neve) di una Milano novembrina.

Negli ultimi anni partecipavo quasi per dovere e senza molto entusiasmo a queste mobilitazioni d'organizzazione, ma stavolta è diverso. Forse il vaso è davvero colmo, o magari c'è bisogno di stringere i ranghi, la necessità di stare in mezzo al mare di bandiere rosse. C'è l'illusione di contribuire a dare una spallata definitiva a questo esecutivo-azienda del cavaliere nero. Probabilmente non sarà così, ma la speranza mi basta a caricarmi di sano entusiasmo lottaiolo e perciò mi preparo, berretto rosso calcato in testa e Billy Bragg nel lettore mp3, a marciare.

Talking with the taxman about poetry è dell'ottantasei, praticamente un concept album socialista, un invito alla rivolta contro la politica della Tatcher. Impegno sociale, denunce alla società inglese, anti-imperialismo, inni da corteo.

A rischio di sembrare un pò superficialmente sentimentale, There is power in a union mi fa sempre palpitare come la prima volta.


There is power in a factory, power in the land
Power in the hands of a worker
But it all amounts to nothing if together we don’t stand there is power in a union

Now the lessons of the past were all learned with workers’ blood
The mistakes of the bosses we must pay for
From the cities and the farmlands to trenches full of mud
War has always been the bosses’ way, sir

The union forever defending our rights
Down with the blackleg, all workers unite
With our brothers and out sisters from many far off lands
There is power in a union

Now I long for the morning that they realise
Brutality and unjust laws can not defeat us
But who’ll defend the workers who cannot organise
When the bosses send their lackies out to cheat us?

Money speaks for money, the devil for his own
Who comes to speak for the skin and the bone
What a comfort to the widow, a light to the child
There is power in a union

The union forever defending our rights
Down with the blackleg, all workers unite
With our brothers and out sisters from many far off lands
There is power in a union.



venerdì 26 novembre 2010

Il santo


Raul Malo
Sinners and Saints
Fantasy, 2010
 
Finalmento è tornato Raul Malo, quello vero. Dopo lo split con i Mavericks di inizio decennio (al netto di una breve reunion nel 2004/05) e l'ottimo esordio solista di Today, il singer nato a Miami da genitori cubani aveva smarrito un pò la strada maestra, perdendosi in dischi in stile modern crooner che, limitandola ad un registro, umiliavano la straordinaria versaltilità della sua voce (oltre a, diciamolo francamente, ammosciare notevolmente le palle).

Con Sinners and saints si risente invece il sound senza confini che mi ha portato a definire i Mavericks come i Creedence Clearwater Revival degli anni novanta. Si capisce subito dalla prima canzone del disco (la title track) che si respira un'aria diversa rispetto al recente passato. Una lunga introduzione di tromba mariachi in stile Herp Albert ci conduce al cantato ed ad un'accattivante composizione che oscilla tra melodie arabe e sudamericane. A seguire il rhythm and blues di Living for today con i fiati che pompano sangue nelle vene e nella successiva San Antonio baby la fisa sorregge uno scatenato tex mex.

Dopo il canonico slow 'Til i gain control again, Malo va in modalità Elvis Presley (una delle mie preferite!) e attacca Staying here, un bel midtempo soul. Tequila e birra tornano a scorrere a fiumi con Superstar, mentre Sombras timbra un altro gradito comeback, quello alla melodia sudamericana.

Ma non c'è festa per ritorno a casa che si rispetti senza la conclusione di effetti pirotecnici e fuochi artificiali. E infatti gli ultimi colpi sono garantiti da Better in Texas che, a dispetto del titolo, è un altro vorticoso omaggio alla musica messicana. Mrs Brown, fiati e cori che maramaldeggiano, è una bonus track che avrebbe meritato di essere titolare.
In controtendenza rispetto alla stagione, un disco da camicie a fiori, shorts e fetta di limone infilata nella bottiglia di birra.


giovedì 25 novembre 2010

I giorni dei morti viventi 1-3



E' partita da qualche settimana su Fox la serie horror The Walking Dead, tratta dall'omonimo fumetto della Image Comics.

Il serial, la cui prima stagione consta di soli sei episodi, mette in scena un presente alternativo popolato, per cause misteriose, da eserciti di zombie che vagano affamati per le strade alla ricerca di carne viva (umana o animale) di cui nutrirsi.

Rick Grames è uno sceriffo della periferia di Atlanta che rimane ferito in uno scontro a fuoco prima del contagio, e che si sveglia dal coma giusto in tempo per trovare l'ospedale e la città invasi dai non morti e la sua famiglia scomparsa da casa. Si mette allora in marcia, e dopo aver scovato qualche sparuto essere umano che è sopravvissuto perlopiù nascondendosi, scopre la regola principale per restare vivo: evitare ogni tipo di rumore, gli zombie ne sono attratti come falene dalla luce. Ne consegue che usare le armi da fuoco per eliminarli è un'azione mortalmente controproducente.


Devo dire che ho cominciato a guardare The Walking Dead con molta diffidenza. Lo spunto di partenza infatti mi interessava quanto a Mourinho giocare la Mitropa Cup. Col tempo però mi sono ricreduto. Certo, gli zombie a volte provocano effetti di involontaria comicità, ma nel complesso la tensione regge, e ci sono alcune trovate davvero riuscite (ad esempio il protagonista e un socio che per non farsi annusare dagli zombie, si spalmano addosso budella, sangue e resti vari di un morto vivente e percorrono la strada che li separa dalla libertà mischiandosi a queste spaventose creature) oltre a dei congrui cliffhanger al termine di ogni puntata.


Da segnalare la presenza di Sarah Wayne Callies (la dottoressa Tancredi di Prison Break) e gli interessanti cameo dei fratelli Dixon, beceri e razzisti, interpretati dal sempre ottimo Michael Rooker e dal bravo Norman Reedus (Boondock Saints, Blade 2).

Three to go.

martedì 23 novembre 2010

Forti coi deboli / 2

L'elemento che ha avuto più visibilità nel pacchetto di provvedimenti del collegato lavoro è senza dubbio l'introduzione del limite di sessanta giorni per impugnare i contratti a termine e in genere di tutti i contratti precari illegittimi.

Cosa succedeva prima del DDL 1441?
Il lavoratore aveva la possibilità di contestare un contratto irregolare anche molti mesi dopo la sua conclusione, nel momento in cui aveva la certezza di non essere più chiamato per un ulteriore periodo di impiego.

Oggi, grazie a questa legge, è stato introdotto un limite di tempo di sessanta giorni, trascorso il quale il lavoratore perde ogni diritto di impugnare il contratto, anche se irregolare.
Perchè è gravissima questa nuova norma?
Perchè tra un contratto stagionale e l'altro passano spesso più di due mesi, e al lavoratore, all'atto della scadenza, viene di frequente promessa una futura assunzione o almeno la stipula di un nuovo contratto di lavoro a tempo determinato.

Questo impegno informale dei datori di lavoro condiziona pesantemente le scelte dei precari. E' ovvio che rischiare una causa contro un'azienda significa compromettere ogni potenziale rapporto futuro, e con esso ogni possibilità di essere stabilizzato regolarmente, senza cioè conflitti legali.
Prima questa strada veniva infatti scelta solo nel momento in cui vi era la certezza assoluta di non essere più richiamati, l'esempio più classico è il datore di lavoro che ti lascia a casa con l'approssimarsi del tetto dei trentasei mesi di utilizzo, superato il quale diviene obbligatoria l'assunzione.

Beffa nella beffa, il termine di sessanta giorni vale anche, dal 25 novembre, giorno della sua entrata in vigore, anche per i rapporti di lavoro a tempo determinato conclusasi in precedenza.

Bel traguardo per un esecutivo che si era presentato, subito dopo il suo insediamento, con il noto colpo di spugna contro le cause dei precari delle Poste.

lunedì 22 novembre 2010

MFT, novembre 2010

In famiglia ci siamo scambiati le macchine (la Clio a duecentoventimila chilometri sta cominciando ad avere qualche cedimento strutturale ed è consigliabile risparmiarle i miei cento km al giorno) e io, pur avendoci guadagnato in comodità (una station wagon di tre anni vs un'utilitaria spompata di dieci) ho perso, spero temporaneamente, la possibilità di ascoltare musica in mp3, giacchè la radio di detta SW non supporta il formato.
E quindi, non volendo inquinare il pianeta con tonnellate di plastica (ed è quello che avverrebbe se registrassi su cd qualunque album mi passasse tra le mani) sto centellinando le novità e andando un pò a recupero su cose di repertorio. Si spiega così questa lista di titoli un pò anomala.


ASCOLTI

REM, Document
Tim Buckley, Morning Glory
John Mellencamp, Worlds and music
Lady Gaga, The fame monster
Iggy Pop and the Stooges, Raw power
Afterhours, Germi
The Cult, Pure Cult
Robert Plant, Band of Joy
Raul Malo, Sinners & saints
Eric Clapton, Clapton
Bruce Springsteen, The promise
Dalla De Gregori, Work in progress

VISIONI

The Walking Dead, prima stagione
Romanzo Criminale, prima e seconda stagione


LETTURE

Paolo Sorrentino, Hanno tutti ragione

Problemi col ferro

In un solo giorno, nel giro di poche ore, mi si è spezzata la chiave nella serratura del cancello elettrico dei box (non mi avete sentito smadonnare alle sei e mezza del mattino?) e si è tranciato di netto il moschettone della tracolla della borsa (ovviamente mentre ero sotto al diluvio).
Sarà questo che intendevano quando mi hanno detto che ho carenza di ferro?


domenica 21 novembre 2010

That's life!

L’ amore oggi nel 2002
è un apparecchio momentaneo
infilato sotto il petto
Forse perché da quella data di settembre
è aumentato il senso
corrisposto del sospetto
Dal cielo arrivano le bombe
garantite intelligenti
che feriscono i sopravvissuti
e comunque crean carie ai denti

Che vita!
Ah, puoi dirlo, sento sempre il peso
di un controllo appeso al collo
Che vita!
Si direbbe fuori dal contesto
su nell’universo nello spazio…

Infatti forse un po’ per punizione
che ci batte in testa il sole
nonostante la tettoia
Non credo che nessuno ormai si stupirebbe
se un bambino gli chiedesse
a cosa serve una grondaia?
A cosa servono i palloni
incastrati sotto le marmitte
a ricordare quando fuori
si giocava fra le 127

Che vita !
Ah puoi dirlo sento sempre il peso
di un ricordo appeso al collo
Che vita !
Pietro Mennea e Sara Simeoni
son rivali alle elezioni…

Però sul ponte fra Messina e Reggio
gli operai a gettoni sono progettati dalla Sony
Alla mafia han dato in cambio un Tamagochi
e il monopolio nazionale
del settore videogiochi!

E mentre inaspettatamente
comincio a perdere i capelli
Ho visto in giro i miei gemelli
pettinati ancora uguali-guali

Che vita!
Ah, puoi dirlo, sento sempre il peso
di un controllo appeso al collo
Che vita!
Si direbbe fuori dal contesto
su nell’universo nello spazio
Che vita !
Ah puoi dirlo sento sempre il peso
di un ricordo appeso al collo
Che vita !
Pietro Mennea e Sara Simeoni
son rivali alle elezioni…




sabato 20 novembre 2010

Album o' the week/ REM, Document (1987)


Document è la pietra angolare nella storia dei REM. Ultimo album con la I.R.S. e il primo ad avere avuto un considerevole riscontro commerciale anche grazie a singoli quali It's the end of the world o The one i love.
Quest'ultima canzone, pur non essendo io un gran fan del gruppo di Stipe, costituisce con ogni probabilità il manifesto dei miei vent'anni. Il tempo non mitiga questa sensazione e non mi toglie l'emozione di riascoltarla. E' nostalgica come il ricordo della tua fidanzatina, concreta come un'erezione improvvisa.

Intorno a lei è edificata una solida struttura compositiva che non si fa mancare i pezzi catchy (The finest worksong; Welcome to the occupation); quelli politici, attraverso un attacco alla presidenza Reagan (Exhuming McCarthy); l'esplosione inaspettata d'improvvisazioni jazzistiche (nel mezzo della splendida Firehouse); una cover colta (Strange degli Wire, sebbene stravolta) e non sono echi di U2 quelli contenuti nel proto-anthem Lightnin' Hopkins?

Aridatece quella band.

venerdì 19 novembre 2010

La fine dell'innocenza



Il Texas del sud degli anni trenta è un posto affascinante e pericoloso come un serpente a sonagli. Da quelle parti le contraddizioni sociali sono lo specchio dell'America. La gente dorme senza chiudere a chiave la porta di casa, tutti si conoscono e si aiutano a tirare avanti dentro una povertà agghiacciante (il contesto è quello descritto da Steinbeck in Furore, la grande depressione è iniziata e gli oakies muovono verso ovest) e al tempo stesso vengono consumati atti di spregevole violenza contro i neri, che vivono perlopiù in ghetti, nel terrore di essere linciati anche se solo soffermano lo sguardo troppo a lungo sulle ragazze bianche.


Harry ha dodici anni, vive con i genitori e la sorellina di nove ai margini della cittadina di Marvel Creek, in una casa a ridosso della palude. Il padre Jacob è un uomo severo ma giusto, che rispetta tutti (neri compresi) e da tutti è rispettato, svolge l'attività di agente di polizia (pur non avendo divisa e non essendo uno sceriffo) oltre ad occuparsi del negozio di barbiere del paese.

I boschi, il fiume e la palude attorno alla casa di Harry sono naturalmente il campo da gioco suo e della sorella, li conoscono profondamente e non hanno problemi ad avventurarcisi da soli.


Proprio durante una di queste scorribande Harry e Tomasina (Tom) fanno una scoperta agghiacciante: il cadavere di una donna orribilmente seviziato.

A questo raccapricciante delitto ne seguiranno altri che faranno da miccia alle tensioni sociali della piccola comunità, deflagrando in atti di inaudita violenza e prevaricazione.

Tra gli omicidi e la caccia ai negri considerati colpevoli a prescindere, Jacob cerca di innalzare una barriera di equità e di rispetto della legge tanto giusta quanto destinata ineluttabilmente a frantumarsi. Harry invece, nella tipica incoscenza dei bambini, vivrà un estate terribile e meravigliosa, che gli resterà marchiata a fuoco per tutta l'esistenza e segnerà la fine della sua innocenza.



Joe R. Lansdale è un autore straordinario, unico e impossibile da limitare nel recinto di un genere letterario. Dico cose risapute se ricordo che la sua arte spazia dal noir alla fantascenza al western al fantasy fino al cosidetto pulp fiction, riuscendo quasi sempre a mantenere la qualità a livelli d'eccellenza.

In fondo alla palude racchiude in se le diverse anime dello scrittore,è un noir, un romanzo storico ma anche un opera di formazione, nel solco, per dire, di Mark Twain.
Attraverso gli occhi di Harry osserviamo infatti un pezzo di storia americana. Quello delle diseguaglianze, della violenza, delle sopraffazioni. Che però, seppur allo stato embrionale, è anche quello della lunga strada per la conquista dei diritti.

La violenza che si respira nel libro non è solo quella del serial killer, anzi, quella probabilmente è la meno paurosa, perchè fa parte dell'anormalità dell'essere umano, della malvagità che si manifesta attraverso l'opera di un singolo essere che diviene mostro (e infatti il mistero riguardo l'identità dell'assassino non è il punto di forza del racconto, visto che si intuisce abbastanza presto).
Quello che terrorizza nel profondo è invece la violenza del sottotesto, della mancanza di un autorità giusta, di un clima da costante sopraffazione da parte del più forte, o del branco, nei confronti dei più deboli. Contro questa cattiveria, reale, palpabile e documentata, gli atti di coraggio sono sparuti e destinati a fallire.


Tutto torna. Citando Ellroy, l'America, a differenza del piccolo Harry non può perdere l'innocenza, semplicemente perchè non l'ha mai avuta.

mercoledì 17 novembre 2010

Raisin' emotions


Robert Plant
Band of joy
Decca, 2010



Classe. A quintalate. E non mi riferisco solo a quella di Plant, stranota anche se un pò dissipata nel periodo post Zeppelin. Ma all'atmosfera complessiva che emerge da Band of joy. Al contributo di un eroe oscuro della chitarra, vero genio delle produzioni indipendenti della musica country-folk che risponde al nome di Buddy Miller. A Patty Griffin, altra eroina dimenticata del genere roots, entrambi arruolati per questo progetto.

Dopo il grande riscontro di critica avuto con Raisin sand, l'album del 2008 registrato insieme alla Krauss, Robert Plant torna, novello hobo, con un viaggio a piedi lungo i binari della tradizione popolare americana, succhiando fino in fondo le radici del rigoglioso albero musicale statunitense. Lo fa attraverso undici cover e un brano originale.

Si apre con con Angel dance, e nonostante il pezzo sia del repertorio dei Los Lobos risulta evidente il richiamo alla classica progressione irish folk . House of cards è invece un arioso soul, originariamente composto da Richard Thompson, ex componente dei Fairport Convention.

Central two-o-nine, la traccia numero tre, è l'unica di proprietà di Plant (insieme a Miller). Si tratta di un affascinante blues acustico che mi rimanda alle prime cose da solista di Mark Lanegan, mentre con la successiva Silver rider siamo ad uno degli acme del disco, canzone splendida, struggente, capace di grande fascinazione. L'inizio non è lontano dalla tradizione dei migliori slow dei Led Zeppelin, ma poi muta di forma, mantenendo sempre alta l'emotività e regalandoci un palpitante contributo della Griffin al controcanto.

Il rock and roll di You can't buy my love e sopratutto la ballatona crooning Falling in love again non possono non riportarmi agli Honeydrippers, strampalato progetto di cover partorito con Jimmy Page pochi anni dopo lo split degli Zeppelin (ricordate Sea of love?). I peli del collo tornano a rizzarsi su Monkey, altro grandissimo duetto con Patty Griffin, poi c'è spazio ancora per un'efficace cover di prezzemolino Townes Van Zandt, la non notissima Harm's swift way, e per due traditional del diciannovesimo secolo riadattati da Plant e Miller (Cindy i'll marry you someday e Satan, your kingdom must come down, gospel rurale che avrebbe potuto tranquillamente stare nella ost di Brother, where art thou?).

Plant si sta ritagliando quasi fuori tempo massimo una seconda giovinezza attraverso il recupero di una tradizione classica che quando era un martello degli dei aveva solo sfiorato, senza immergersene. L'ispirazione e la voce sono a livelli di maturazione eccezionale, e così la determinazione nelle interpretazioni.

Un lavoro fuori dai circuiti mainstream delle grandi produzioni, circondato da musicisti semplici ma straordinari, un lavoro di classe cristallina, appunto.



martedì 16 novembre 2010

Forti coi deboli / 1

Dopo la sua approvazione in via definitiva, avvenuta alla Camera il 19 ottobre, tra pochi giorni sarà ufficialmente in vigore il disegno di legge n.1441 quater F, meglio noto come collegato lavoro.

L'obiettivo dichiarato di questo insieme di norme è quello di intervenire sulla materia del diritto del lavoro semplificandone alcuni aspetti, in realtà, concettualmente si riprende la strada della destrutturazione dei diritti già iniziata con la legge 276/03 (che molti ancora chiamano legge 30 o legge Biagi) e che verosimilmente proseguirà con l'attacco allo Statuto dei lavoratori (da sostituire con lo "statuto dei lavori"), già iniziato con il tentativo di aggiramento dell'art. 18, smascherato (dalla Cgil) e cancellato dal testo di legge.

La parola d'ordine quindi è depotenziare il diritto del lavoro. Un diritto, vale la pena ricordarlo, nato sul principio di considerare il lavoratore parte debole e come tale meritevole di tutela attraverso la legge e la contrattazione collettiva, rispetto all'altro soggetto chiamato in causa, il datore di lavoro.

Con gli interventi di questo esecutivo, dal suo insediamento fino al collegato lavoro, non sarà più così.
I nodi che si stringono intorno al collo della classe lavoratrice si chiamano contratto certificato; nuove norme sugli arbitrati; nuove norme sull'impugnazione del licenziamento e sui ricorsi in merito alla validità dei contratti a tempo determinato.

continua (purtroppo)

lunedì 15 novembre 2010

Work in progress

A pensarci bene era inevitabile. Anche se fino adesso a prevalere erano stati i sentimenti puri, il quadretto tipo spot del Mulino Bianco (che comunque nel mio caso era autentico, s'intende). E invece dopo i lucciconi del primo giorno di scuola, la curiosità nello sfogliare i testi didattici e la meraviglia di osservare ogni giorno i progressi nell'apprendimento, sono cominciati i primi trouble in paradise.

I problemi si chiamano "compiti a casa". Anche qui m'immaginavo una situazione idilliaca, padre e figlio che sbrigano in armonia le faccende di prima elementare, ma non avevo fatto i conti con l'iper dinamicità di Stefano, che a stare fermo una mezzoretta per ripetere le sillabe, leggerle o compilare una paginetta di nove non ci pensa proprio.

Per farla breve, giorno dopo giorno parto con una scorta di pazienza tipo escort che aspettano che a mr B. faccia effetto il viagra, e finisco con sclerate epocali.
In questa difficoltà a concentrarsi Stefano ricorda dannatamente me stesso da bambino e io che alla fine perdo le staffe somiglio troppo a mio padre.
Couldn't be different, i guess.

domenica 14 novembre 2010

Web alla francese

La ricetta antipirateria alla francese, basata sul concetto di “risposta graduale” alle violazioni di copyright commesse in rete dai file sharers, piace all’Autorità italiana per le Telecomunicazioni: secondo Punto Informatico, la Agcom si è fatta promotrice di un pacchetto normativo modellato sulla cosiddetta legge Hadopi in vigore Oltralpe: in tal caso il Garante delle Comunicazioni si assumerebbe il compito di vigilare sulla tutela della proprietà intellettuale sul Web, attivandosi su segnalazione dei titolari dei diritti (produttori e autori rappresentati dalla SIAE) per reprimere le infrazioni di legge: a tale scopo sarebbe necessaria la piena collaborazione degli Internet Service Providers, chiamati a fornire all’Autorità gli indirizzi di posta elettronica dei “pirati”. La legge Hadopi francese, come noto, prevede l’invio di due avvisi ai trasgressori di legge prima di comminare, su intervento del Tribunale, l’eventuale sanzione rappresentata dalla sospensione della connessione Internet.

sabato 13 novembre 2010

Album o' the week / Ministry, KΕΦΑΛΗΞΘ (1992)



Un recupero doveroso, quello di KΕΦΑΛΗΞΘ (noto anche come Psalm 69) quinto album della ragione sociale Ministry, dietro alla quale si cela sostanzialmente il solo Al Jourgensen, coadiuvato, nel corso degli anni, da diversi collaboratori.

Capolavoro del genere battezzato industrial metal (la cui genesi appartiene ai Killing Joke e che vede la leadership dei Nine Inch Nails), il disco è sostenuto da ritmiche ossessive e chitarre lancinanti, mentre i testi si schierano sovente su posizioni politiche radicali.
Come nel caso della open track N.W.O., esplicita critica anti-militarista nella quale vengono campionati alcuni stralci di un discorso di Bush senior, preso di mira per la guerra del Golfo.
Ottime anche Hero e Jesus built my hotrod.
Da segnalare infine la collaborazione dello scrittore della beat generation William Burroughs nel pezzo Just one fix. Il brano tratta dell'altra grande passione della band, passione per la quale alcuni componenti della band verranno in seguito anche arrestati: la dipendenza dalle droghe.

venerdì 12 novembre 2010

Photobook

Da qualche giorno mia sorella ha regalato a Stefano una vecchia e pesante fotocamera digitale che lei non usava più. Lui ha apprezzato al punto da aver già scattato in poco tempo centinaia di foto. Ecco in esclusiva alcuni esempi della sua arte...






"Tentativo di autoritratto"




"Dal letto della cameretta guardando il soffitto"


"Action Man e Hulk(particolare)"




"Relaxin'"

continua...

giovedì 11 novembre 2010

Promesse in anteprima

E' attesa febbrile tra i fans di Bruce Springsteen per l'uscita di The Promise, mastodontica opera più volte annunciata (è almeno dal 2005 che se ne parla) che non solo presenta in una versione rimasterizzata Darkness on the edge of town, ma si allarga al punto di offrire tre dvd e tre cd di materiale.

Uno dei tre dvd contiene la riproposizione dell'intero album del 1978 risuonato in un Paramaunt Theater deserto, durante la tappa di Asbury Park del tour dello scorso anno. Il Corriere on line, a partire da lunedì lo presenterà per intero sulla tv del sito, dove si può già ascoltare l'inedito Save my love.

Anche mettendo in conto le scontate difficoltà di collegamento al sito, un bell'antipasto di quella che sarà l'indigestione dell'anno.

martedì 9 novembre 2010

Why them Lord?


Ray Charles
Rare Genius
Universal (2010)




Dopo il treno merci di roba uscito a seguito della sua morte (2004), i duetti, il film biografico e le mille antologie, c'è ancora musica di Ray Charles che vale la pena ascoltare?
Diamine, la risposta è sì.

Sì, se il lavoro di recupero nei suoi archivi porta alla luce brani dalla bellezza cristallina, che coprono quasi un trentennio (70/95) di stili e influenze.
Così si gode dello swing di Love's gonna bite you back e di It hurts to be in love, del croonering in Sinatra's style di Wheel of fortune, del soul classico di I'm gonna keep singin'.

Come fosse un prezioso vino d'annata, si assapora la voce di Ray, il suo stile pianistico, di ogni singola nota distillata dalla band, come nel lentaccio There'll be some change made, di un irresistibile midtempo quale Isn't wonderful, della contaminazione tra modern e classic soul di I don't want no one but you, del quasi country di She's gone.
Rare genius è un gran bel disco anche perchè quando ormai pensi che abbia dato tutto quel che aveva da dare e ti resta solo l'ultima traccia da ascoltare, ti piazza il colpo definitivo che ti fa stramazzare. Un duetto, l'unico dell'album, con Johnny Cash. Il brano è lo splendido Why me Lord (di Kris Kristofferson, già in American Recordings) e per la verità Ray si limita a fare il controcanto, lasciando campo libero al suo pianoforte e alla voce dell'uomo in nero.
Brividi, groppo in gola e tanta malinconia garantiti.

E' anche a questo, dopotutto, che servono dischi così.