lunedì 4 settembre 2023

Shane Stevens, Io ti troverò (1979)



E' dalla recensione di Io ti troverò (By reason of insanity in originale), pubblicata dal blog amico Come un killer sotto il sole che avevo in animo di leggere questo romanzo. E, sì, visto che il post ispiratore è vecchio di sette anni, puoi tranquillamente affermare che ce ne ho messo di tempo. Ma ne è valsa la pena. Non ho di proposito riportato la trama dell'opera di Stevens perchè di norma mi piace sintetizzare al nocciolo la sinossi e qui, limitandomi ad evidenziare la macro trama della caccia ad un micidiale serial killer dall'infanzia agghiacciante, non avrei reso un gran servizio ad una trama complessa, articolata e stratificata.
Questo tomo di ottocento pagine è in tutto e per tutto una sorta di "capo d'opera", una modalità diversa (per l'epoca in cui è stata scritta) di raccontare una vicenda nera di fantasia, collegata al vero tanto quanto al verosimile, diversamente non avrebbe generato un autentico culto, preso a riferimento, tra gli altri, da Harris, King ed Ellroy.

Il villain protagonista è Thomas Bishop, un serial killer spietato ed estremamente intelligente che uccide in maniera efferata tutte le donne che può, a causa degli abusi fisici e psicologici che ha subito fin dalla tenera età, per mano della madre, a sua volta abusata da Carly Chessman (noto delinquente realmente vissuto e conosciuto non solo per le sue gesta criminali - rapine, stupri, sequestri -, ma per essere uno dei casi giudiziari americani più noti), di cui, nel tempo, egli si convince orgogliosamente di essere figlio.
Attorno all'assassino, Stevens crea un vero e proprio universo popolato da editori, giornalisti, politici, psicologi, poliziotti, sceriffi di contea, piccoli delinquenti e capi mafiosi, donne qualunque con le quali il lettore ha il tempo di empatizzare grazie ad un'attenzione non comune da parte di uno scrittore nei confronti della vittime predestinate con cui ciba la propria creatura mostruosa. In questo modo, pur mancando nella storia una protagonista femminile, il genere ha un ruolo centrale nella narrazione, sebbene resti questa probabilmente l'unica lacuna della storia. In un racconto in cui si svolgono decine di brutali omicidi Stevens sceglie di lasciare quasi sempre fuori scena le descrizioni degli assassinii, mentre, in maniera un pò lasciva si sofferma in dettagli molto espliciti dei rapporti sessuali consumati dai protagonisti. 

E, a proposito di protagonisti, sono pochi quelli che escono positivamente dalla penna di Stevens, infatti, se il serial killer vive in funzione della sua "missione" di liberare il genere umano dalle donne, ognuno dei characters che in qualche modo fa perno attorno a lui è a suo modo ossessionato da qualcosa: dal proprio lavoro, dall'ambizione politica, dal denaro, dal successo, dal potere. Certo, la maggior parte di loro non uccide, ma non per questo è meno motivato ad impedire a chiunque di frapporsi tra sè stesso e il traguardo prefigurato, anche se per farlo deve mentire, ricattare, calpestare, tradire.

Un pò come fa Easton Ellis con American Psycho (anche se qui non siamo al livello di quel capolavoro), Shane Stevens usa il thriller nero per scattare una fotografia dell'America, in questo caso dai sessanta ai settanta, e, per certi versi, l'immagine in cornice fa ancora più paura delle gesta del povero, spaventoso Thomas Bishop.

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