Il pattern che fa da filo conduttore alla storia è quello abusato da un pò tutti i biopic, e in particolare da quelli attenenti figure della cultura pop. Tuttavia il film della Hardwicke (probabilmente il migliore della filmografia della regista) cattura efficacemente un attimo fuggente, quello in cui, a metà settanta, lo skateboarding, da mezzo di trasporto poco impegnativo dalle evoluzioni scolastiche, diventa simbolo di libertà selvaggia e incontrollata. I tre protagonisti Stacy, Jay e Toni (skater famosi in USA), interpretati da John Robinson, Emile Hirsch e Victor Rasuk, si alzano all'alba per andare a surfare in un postaccio di Venice Beach (la Dogtown del titolo), ma vengono regolarmente rimbalzati dagli "anziani" che godono del diritto di cavalcare le prime onde del mattino. I tre allora ripiegano sullo skate, adattando lo stile della tavola da surf a quella con le rotelle, e accompagnando le quotidiane, selvagge scorribande di gruppo con occupazioni abusive di piscine vuote per provare evoluzioni sempre più ardite. A rompere il legame di fratellanza arrivano i capitali che piegano il movimento alle logiche del mercato e all'inarrestabile impulso a fare soldi con la novità del momento. L'abbiamo già sentita con il punk, il rock and roll, la pop art, la letteratura che nasce indipendente questa storia ma, anche grazie all'approccio realistico ai limiti del documentario della Hardwicke - unito alla buona prova del cast di giovanissimi (un ruolo che lascia il segno è anche quello di Heath Ledger) - , il film colpisce nel segno, mettendo bene in chiaro come un afflato che nasce come massima espressione di libertà, diventi un prodotto analogo a tanti sullo scaffale del consumismo.
Colonna sonora, da Hendrix ai Black Flag (interpretati con un cameo dai Rise Against), memorabile.
Colonna sonora, da Hendrix ai Black Flag (interpretati con un cameo dai Rise Against), memorabile.
Nessun commento:
Posta un commento