lunedì 31 agosto 2020

Pearl Jam, Gigaton

Gigaton: Pearl Jam: Amazon.it: Musica

Magari non ce ne siamo accorti, ma i Pearl Jam, che hanno iniziato quando eravamo giovani, belli e spensierati, trent'anni fa, sono ormai assunti allo status di grande rock band storica, al pari, fatte tutte le differenze stilistiche del caso, di gruppi come gli U2, gli Stones o i Deep Purple.
Ho citato questi artisti, ne avrei potuti elencare molti altri che difficilmente riusciranno più a raggiungere i livelli qualitativi dei loro periodi migliori, ma che ormai hanno un loro brand musicale definito e marcato, e pertanto la differenza in una nuova produzione la fa la capacità di scrivere e suonare brani nuovi che riescano a coniugare l'illustre passato con un'ispirazione convincente. Che ci siano insomma Le Canzoni, anche dentro dinamiche autoreferenziali e, inevitabilmente, visto l'approssimarsi più ai sessanta che ai cinquanta dell'età dei componenti,  un pò di mestiere.

E allora vado un pò controcorrente ed affermo che per buona parte di questo Gigaton, uscito a sette anni di distanza dal precedente Lightning bolt, le canzoni ci sono.
Infatti, la prima sezione del disco gliela ammolla, con qualche pezzo che soffia via la polvere dal sound dei nostri attraverso tracce come Who ever said ; Seven o' clock e It's alright, oltre ad una classicissima Quick escape, che potrebbe essere uscita dalle session per No code
C'è poi il rocchettone Superblood wolfmoon che una volta si sarebbe definito radiofonico, una traccia che riesce nel suo scopo, cioè essere mainstream senza far perdere la dignità al gruppo (non è, per intenderci Get on your boots degli U2) e c'è, soprattutto, Dance of the clairvoyants apprezzatissimo tentativo di far uscire i PJ dalla propria confort zone con una composizione che ha tutto per arrivare, attraverso un'ipotetica macchina del tempo, dalla new wave inglese dei primi ottanta, a partire dallo stile di batteria gate reverbed e dal sintetizzatore, che battezzano i primi istanti della canzone. 
Fin qui tutto bene, dunque, poi, inevitabile, arriva il calo, che non sarebbe nemmeno traumatico (un paio di onesti filler: Never destination; Take the long way, una Buckle up sul filo della nostalgia), se non fosse che in coda al disco si entri in zona Vedder, con l'esagerazione di quasi venti minuti (in pratica un terzo della durata complessiva dell'opera) di folk ballad suddivise in tre tracce, che farebbero crollare l'attenzione anche del più bendisposto ascoltatore.
Sarebbe bastato, a mio avviso, sacrificare due di queste canzoni su tre (io avrei lasciato Comes than goes a dispetto di Retrograde e River cross, ma sono gusti) per chiudere la tracklist a dieci pezzi, avere un lavoro più coeso e strutturato, anche nella durata.

In questo modo invece rischia di perdersi anche quanto di buono c'è in un disco sicuramente onesto e decoroso, con più di una traccia che potrebbe davvero funzionare dal vivo, al netto del rinvio dei concerti a causa del covid e del fatto che i fan vogliono sempre ascoltare le canzoni più datate, di quando erano giovani, belli e spensierati.

giovedì 27 agosto 2020

Watchmen (serie tv, 2019)

Watchmen: un easter egg nel teaser poster ha anticipato il finale ...

Trent'anni dopo gli eventi che hanno visto coinvolto il team di super-eroi chiamati Watchmen la storia dell'America (e del mondo intero) ha preso una piega ovviamente diversa da quella che conosciamo nella realtà.
A partire dalla geografia politica, completamente stravolta, perchè, ad esempio, gli USA, ora alleati con l'URSS, e vittoriosi in Viet-Nam grazie all'intervento del Dr Manhattan (che tutti sanno essersi auto esiliato su Marte) si sono annessi il Paese asiatico. Sul piano interno, il presidente è Robert Redford e gli stati del sud (tanto per cambiare) sono attraversati da profonde tensioni razziali (che hanno radici antiche e che fanno da drammatico prologo al pilota con un massacro di neri avvenuto all'inizio del secolo) incarnate soprattutto dal Settimo Cavalleria, versione moderna del KKK, che in molti sospettano di godere di alte protezioni politiche.
A Tulsa, Oklahoma, gli agenti di polizia sotto il comando di Judd Crawford (Don Johnson) nascondono la loro identità con delle maschere gialle a causa di un altro evento tragico del recente passato che ha visto il Settimo Cavalleria attaccare i poliziotti nelle loro abitazioni, massacrandoli. Esistono ancora esseri con abilità superiori alla norma. Una di essi è Angela Abar (interpretata da Regina King), che cela due identità segrete, quella di poliziotta e di super eroina, Sister Night.
E i protagonisti superstiti degli anni ottanta? Detto del mistero attorno al Dr Manhattan, ci viene mostrato il destino di Ozymandias (Jeremy Irons) e di Laurie Blake (Jean Smart), vedova de The Comedian ed ex Silk Spectre, oggi agente dell'F.B.I. specializzata proprio nella caccia ai vigilantes mascherati.

Serie mostruosamente bella, che riconcilia con le produzioni televisive, Watchmen in un colpo solo, grazie ad un magistrale screenplay di Damon Lindelof da insegnare nelle scuole di giovani autori,  riacquisisce l'originale, fortissima, identità politica e di denuncia sociale, propria dell'opera di Moore, e completamente omessa nel film/videoclip di Snyder.
Un connubio vitale, quello tra i personaggi di Moore e la critica sociale, manifestato attraverso un futuro distopico ma dannatamente credibile ed illustrata magnificamente per mezzo di una perfetta sceneggiatura ad orologeria.
Straordinarie le prove attoriali, al netto di quelle dei protagonisti principali, Regina King (Angela Abar/Sister Night), Jean Smart (Laurie Blake), troviamo uno strepitoso Jeremy Irons (l'anziano Adrian Viedt, il miliardario/super eroe Ozymandias responsabile dell'apocalisse che pose fine alla guerra fredda, ma al prezzo di milioni di vite), che nel suo ruolo maramaldeggia letteralmente, per passare a Don Johnson, che, come già scritto, in questa fase della sua carriera si è ritagliato piccole ma memorabili parti. Accompagna congruamente le immagini sullo schermo la colonna sonora del duo Trent Reznor/Atticus Ross, assecondando l'angoscia della narrazione con ritmiche ossessive.

Su queste pagine in passato mi è probabilmente sfuggita un'affermazione sul sorpasso qualitativo  delle serie tv sul cinema. Si tratta ovviamente di una sciocchezza se asserita in senso assoluto. Tuttavia davanti a produzioni superlative come questa e a certo cinema d'azione o superoistico divenuto ormai loffio e scontato davvero non c'è partita.

Imperdibile.

lunedì 24 agosto 2020

Steve Earle, Ghosts of West Virginia

√ Recensioni | Dischi | Steve Earle - GHOSTS OF WEST VIRGINIA su ...

Regolare nelle sue uscite, Steve Earle lo è sempre stato. Ma negli ultimi due decenni non ha davvero perso un colpo, realizzando dieci album, equamente divisi tra gli zero e i dieci.
Per non perdere l'abitudine, il sessantacinquenne artista della Virginia, saluta gli anni venti con un nuovo disco, a soli quattordici mesi di distanza dal precedente tributo a Guy Clark.
Earle, che nella terra delle opportunità e delle contraddizioni ha subito la sua bella dose di ostracismo per essersi sempre apertamente dichiarato socialista, con questo Ghosts of West Virginia ha convintamente sposato la causa di una immane tragedia del lavoro capitata nella miniera di Upper Big Ranch, appunto nel West Virginia, dove, nel 2010, a causa di un crollo, trovarono la morte ventinove tra minatori e operai. Da quella terribile vicenda, rimasta sostanzialmente senza colpevoli, è stata tratta una piece teatrale che deve aver impressionato Steve al punto di amplificarla attraverso una sua nuova produzione che esce durante la sordida presidenza Trump ma che è un pugno  in faccia anche ad Obama, visto che all'epoca dei fatti era il presidente in carica.
E probabilmente avere un fil rouge così spesso, intenso e intriso di sangue innocente a collegare i dieci pezzi della tracklist (per ventinove minuti, ecco che torna quel numero tragico) deve aver riportato dentro l'ispirazione di Steve tutto il proprio songbook sociale, sempre orientato a favore delle persone alla deriva, che vivono alla giornata, tra bar, strade e posti di lavoro insalubri e precari.

L'apertura di Ghosts of West Virginia (Heaven ain't goin' nowhere) da subito restituisce all'ascoltatore il senso del dramma, si tratta infatti di un pezzo "a cappella" con un coro che risponde al canto di Earle creando un'immediata empatia con il tema trattato. Il mood del pezzo successivo rompe la tensione dell'opener, ma è solo apparenza, infatti per mezzo di un classico country-blugrass veloce, ancora una volta viene fatta emergere la condizione quasi disperata delle persone a cui è dedicata l'opera, che non hanno nulla se non il Sindacato, Dio e il Paese (Union, God and Country).
L'opera (a tema, ma non concept) è in perfetta continuità con tanta musica americana dedicata ai più disperati e bisognosi, difficile ad esempio pensare che questi Fantasmi della Virginia dell'Ovest, non siano in qualche modo un tributo al Fantasma di Tom Joad di Springsteen (a sua volta ispirato dal romanzo simbolo della Grande Depressione, Furore di John Steinbeck). E se è così ha perfettamente senso filologico la ripresa del personaggio mitologico John Henry, cantato anche da Pete Seeger, e qui ripreso in maniera molto coerente (John Henry was a steel drivin' man).

E' davvero difficile sottrarsi da un'analisi traccia per traccia di questo disco, ogni singola canzone è talmente indispensabile alla sua struttura che si ha paura, non citandola, di far crollare l'insieme. E allora ecco la disperata consapevolezza che non c'è speranza o futuro (Time is never on our side; Black lung) e l'architrave sulla quale si regge tutto l'impianto (non il pezzo migliore, ma il più importante), quel It's about blood, vagamente mellecampiano, che nei suoi ultimi settantacinque secondi mette in fila i nomi di tutti i ventinove martiri del lavoro di questa orribile tragedia, uno dietro l'altro, in un crescendo emotivo vibrante ed emozionante.
A seguire l'unico pezzo non cantato da Earle, ma dalla incantevole voce di Eleanor Whitmore (metà artistica ed affettiva del duo The Mastersons), che accende un riflettore sulle famiglie, le madri e le mogli, che ogni volta in cui i propri cari vanno a lavorare non hanno la certezza di rivederli tornare, attraverso un'interpretazione magica ed un pezzo (If I could see your face again) se vogliamo anche semplice ma struggente da morire.
Gli fa da contraltare il rocchettone Fastest man alive, con un attacco che più Springsteen anni ottanta non si può, per poi concludersi con un altro lento evocativo, The mine.

E' difficile fare una graduatoria dei dischi di Steve Earle, visto che ognuno di essi è un tassello che tiene in vita l'enorme mosaico della old time music americana ed è costruito con coerenza e passione, ma penso di poter dire che con questo Ghosts of West Virginia, l'autore di Guitar town sia tornato a fare quello che dagli ottanta fino ai primi anni del duemila gli riusciva in maniera esemplare, coniugare cioè gli stili più rurali della tradizione con un afflato tipicamente rock , attraverso un equilibrio che trovava il suo senso compiuto dentro liriche dal forte impatto politico e sociale.  In questo senso, Ghosts of West Virginia è forse il suo disco di inediti migliore dai tempi di Washington Square Serenade (2007).

giovedì 6 agosto 2020

The collector (2009)

The Collector (2009) - Film - Movieplayer.it

Un operaio, brav'uomo ma strozzato dai debiti, decide di rapinare la cassaforte di una casa borghese da lui appena ristrutturata, approfittando del fatto che i ricchi possessori sono partiti per le vacanze. Mai idea si rivelerà più sbagliata, visto quello che troverà all'interno dell'abitazione.

The collector è un film che vorresti mollare già ai titoli di testa, che sembrano quelli di un telefilm tipo CSI, o quando è chiaro che, complessivamente, la messa in scena lascia a desiderare. 
Resistendo alla visione, pur tra incongruenze ed illogicità tipiche degli slasher, emerge un onestissimo B movie, sadico e crudele, con un villain azzeccato e ovviamente inarrestabile, ettolitri di sangue e un finale magari già visto, ma cattivissimo.
Nonostante le apparenze da prodotto direct-to-video, il film è uscito nelle sale americane ed ha avuto anche un seguito (The collection), forse perchè il regista, Marcus Dunstan, si "è fatto un nome" girando gli ultimi capitoli di Saw, franchise di cui questo The collector avrebbe potuto essere il prequel, se la produzione non avesse accantonato l'idea.

Per una serata a pop corn e jumpscare.

lunedì 3 agosto 2020

Liberato, Liberato (2019)

Liberato : CD album di Liberato | LaFeltrinelli

Ha creato e sta tutt'ora creando molto hype l'elemento mistero attorno al progetto Liberato, visto che non è nota l'identità della persona che si cela dietro il nome dell'artista. Per quanto mi riguarda, la cosa non mi tange minimamente, come direbbe il buon Danny Glover in Arma letale: sono troppo vecchio per queste stronzate, e ne ho viste troppe per trattenere il respiro di fronte ad un'operazione di marketing studiata a tavolino.
Non è questo ciò che conta, così come la modalità di rilascio delle tracce, anche questa in linea con un'attenta strategia moderna, che ha visto pubblicare su youtube i singoli pezzi a partire dal febbraio del 2019, con interesse e successo sempre più crescenti.

La cosa importante è sempre e solo la proposta musicale, e in questo senso Liberato fa centro, grazie ad un elegante confezione musicale in ambito modern errebì, con sconfinamenti dichiarati nel dance floor o nel reggaeton, se non nella canzone napoletana. Da un punto di vista lessicale, Liberato fa sua, enfatizzandola, la commistione tra dialetto e lingua inglese lanciata dalla posse di Pino Daniele più di quarant'anni fa, aggiungendo occasionalmente anche qualche sconfinamento in America Latina. 

Le liriche abbracciano esclusivamente temi legati a relazioni sentimentali, sia che si soffermino su idilli amorosi che, viceversa, su abbandoni. La forma canzone si prende tutte le libertà del caso, fuori dai recinti di strofe e ritornelli il cantato viaggia in libertà su beat quasi sempre rilassati, ripetendo ossessivamente alcuni mantra lirici, quasi delle nenie che subdolamente ti si inchiodano in testa.
Succede così che ti trovi come un pirla a canticchiare in continuazione Nove maggio; Tu me faje ascì pazz'; Intostreet o Tu t'è scurdat' 'e me.
Produzione e arrangiamenti molto trendy e contestualizzati ai mood d'oltreoceano, il che fa pensare a tutto meno che ad un parvenu.

Indubbiamente degno di attenzione.