Dopo averlo minacciato varie volte, riprendo questa rubrichetta a quasi due anni di distanza dall'ultimo post. E lo faccio con una raccolta, consapevole del fatto che sono in molti a non apprezzare questo tipo di operazioni discografiche, ritenendole esclusivamente commerciali. Io la penso diversamente. A me, nel caso non si fosse capito, le antologie sono sempre piaciute e poi questa è stata proprio essenziale, basilare, propedeutica, (nel bene e nel male) alla mia educazione musicale.
Correva l'anno 1985. In quel periodo mi attaccavo come una cozza allo scoglio ad ogni persona in grado di allargare la mia neonata, ma già vorace passione per il pop-rock. In quel periodo non ero esattamente pieno di amici, per i pochi che bazzicavo la musica non aveva il peso che ormai gli avevo attribuito io e comunque quella che ascoltavano non riusciva a saziare la mia curiosità di roba nuova ed eccitante. Colui che da lì a poco sarebbe diventato mio cognato invece qualche dritta provava a darmela, ad esempio con questo doppio album (da lui rigorosamente registrato su C90, per evitare l'usura del vinile) di un tizio con gli occhi sporgenti e i capelli arruffati che si chiamava Billy Joel. Ricordo di avergli chiesto (a mio cognato ovviamente, non a Mr. Joel) che tipo di musica facesse e che l'imprecisa risposta fu chiosata da un "vabbeh, fai prima ad ascoltarlo".
Normalmente a sedici anni si è fisiologicamente orientati ad una musica di rottura verso gli adulti, io invece, già allora, mi appassionai ad un'artista che, se fossero stati madrelingua inglese, sarebbe di certo piaciuto anche ai miei. Sì perchè Billy Joel aveva questa straordinaria capacità di assimilare in salsa popolare ingredienti soul, rock, cantautorali, jazzy, errebì. Di questo Greatest hits, all'inizio mi colpirono i pezzi più grandiosamente radiofonici come Just the way you are; My life; Big Shot; Honesty; It's still rock and roll to me e Uptown girl, ma poi, in secondo momento, furono quelli meno immediati ad emergere, scolpendosi indelebilmente nel mio immaginario. Piano man, la canzone-manifesto dei primi anni di carriera. Poi The stranger, New York state of mind, la zuccherosa ballata She's always a woman, la pomposa Goodnight Saigon.
Con l'avvento del Compact Disc l'album è stato ovviamente rieditato con l'aggiunta di altri pezzi (e che pezzi: Scenes from an italian restaurant; Captain Jack; The entertainer; She's got a way), guadagnandosi così un altro lungo giro sulla giostra dei miei ricordi.
Ma la raccolta è una fotografia importante anche dal punto di vista storico per la carriera dell'artista newyorkese, che nei successivi trent'anni perderà decisamente la strada della migliore ispirazione, arrivando a pubblicare solo altri tre album di canzoni (abbastanza prescindibili, con una piccola eccezione per Storm front) ed uno di composizioni pianistiche classiche originali (nel 2001). Anche dal punto di vista esteriore Billy risulta oggi quasi irriconoscibile, appesantito, stempiato e con il pizzetto imbiancato, sembra più un reduce che una rockstar che sfida il tempo curando maniacalmente il suo aspetto. Elemento questo che, proprio per la sua autenticità, fa simpatizzare ancora di più con l'autore di Cold spring harbor. E poi in ogni caso lo sguardo insolente Billy l'ha conservato. Magari dietro le profonde occhiaie provocate da tante notti in bianco o da esose parcelle per l'avvocato divorzista , però c'è.
Con mio cognato invece le parti si sono invertite. Come tanti altri, per i quali la musica è un affare esclusivamente legato ad una fase giovanile della vita, lui si sarebbe anche fermato al Greatest hits di Billy Joel, se il sottoscritto, negli anni a venire, non lo avesse regolarmente foraggiato con massicce e continue proposte.
Che se sono diventato music alcoholic un pò è anche colpa sua. E di Billy Joel.
Che se sono diventato music alcoholic un pò è anche colpa sua. E di Billy Joel.
Billy Joel
Greatest Hits Volume I & II (1985)
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