sabato 30 ottobre 2010

Album o' the week / Buena Vista Social Club (1996)


Amato e snobbato con pari intensità, progenitore di una stirpe infinita di non sempre nobili figliastri, Buona Vista Social Club, il progetto cubano dell'allievo-maestro Ry Cooder, è un diamante grezzo che ancora oggi brilla di luce propria.

La strada per rendere popolari progetti che in qualche modo hanno a che fare con la musica "etnica" è trovare la chiave per renderli accessibili, fruibili a tutti. E il mucchio di artisti (in parte ottuagenari, nel frattempo scomparsi) coinvolti nell'operazione di recupero, è stato in grado di comunicare una tale empatia emotiva con l'ascoltatore da infrangere in molti casi qualunque tipo di barriera: culturale, musicale, ideologica o politica.

I cavalieri dimenticati che hanno fatto l'impresa rispondono al nome di Eliades Ochoa (classe 46), con Chan Chan, El cuarto de Tula e De Camino a La Verada; Ibrahim Ferrer (1927/2005) con Dos Gardenias e Candela; Compay Segundo (1907/2003) con Dos Gardenias e Amor de Loca Juventud; Omara Portuondo (1930) con Veinte Anos e il pianista Ruben Gonzalez (1919/2003) con Pueblo Nuevo.

Trattasi di instant evergreen, chi se lo fosse perso è sempre in tempo.

venerdì 29 ottobre 2010

Thousands are sailing

Tra una cosa e l'altra siamo arrivati a quota mille post. Aprivo il blog a dicembre 2006 parlando dei preparativi per vedere i Pogues a Londra, mi sembra coerente celebrare questo traguardo tirando in ballo ancora Shane e soci.

Tra annunci dei promoter e smentite della band infatti, pare che quello di queste festività natalizie potrebbe essere l'ultimo tour del gruppo.

In genere dispiace quando si parla di split, ma nel loro caso, visto il contesto e le condizioni di Shane, forse è davvero il momento.

Comunque sia, lo slàinte! è di rigore. Per loro e per me.

giovedì 28 ottobre 2010

Un colpo sotto la cintura


Danko Jones
Below the belt
Bad Taste Records, 2010


Con il canonico ritardo, entro anch'io, come Ale e Filo, nel club Danko Jones.

Mi fa strano, ma non avevo mai sentito nominare questo gruppo canadese, che pur è attivo sulle scene da più di una decina d'anni.

Below the belt richiama la miglior tradizione glam o street o hair - metal, che dir si voglia. Roba cafona, maleducata, personaggi da prototipo del magnaccia di quartiere (d'altronde basterebbe la copertina...). Estremamente esplicativa della mission aziendale il refrain dell'open track, I think bad thoughts: I can break your heart at the drop of a hat / Stap you in the back in two minutes flat/ Screw your girl in the back of my cadillac (...).
A me hanno fatto subito venire in mente i Motley Crue, i primi Guns e forse in qualche caso (Tonight is fine) persino gli AC/DC.

Un disco divertente, scorretto e piuttosto maschilista, da braccio fuori dal finestrino e sguardo allupato al culo delle passanti. Qualche volta ci vuole anche questo.





mercoledì 27 ottobre 2010

In loop

In più di un post ho riportato, non senza l'orgoglio tipico di un dinosauro musicofilo, i progressi in fatto di gusti musicali di Stefano.
Mai avrei pensato di arrivare a sclerare come sto facendo in questi giorni perchè il ragazzo vuole ascoltare in continuazione ed a volume impossibile sempre e solo la theme song di Space Jam. Mai avrei pensato di arrivare ad odiare (letteralmente) una canzone.
Quando si dice l'altra faccia della medaglia...
Il pezzo, per i curiosi, è questo qui:


martedì 26 ottobre 2010

Will contro tutti


Bello l'impatto di una New York post-apocalittica. Le strade deserte, le auto abbandonate, case e negozi deserti. Da libro dei sogni consumistico-adolescenziali le scene di "shopping" di Will Smith che si rifornisce dagli scaffali pieni di un megastore di dischi abbandonato. Efficace e straniante la scena che apre il film, con Smith che dà la caccia ad un branco di cervi, inseguendoli a bordo di un auto nel pieno centro di Manhattan.

Salvo giusto questi flash dal colossal Io sono leggenda, che racconta la vita sulla terra dopo che un virus ha sterminato l'umanità, riducendo i superstititi a zombie assetati di sangue che escono solo di notte perchè la luce del sole li polverizza (originale eh?). Tra i pochi esseri viventi immuni al contagio, lo scienziato militare Robert Neville (Will Smith) che si è organizzato una vita in solitaria (unica compagnia il suo pastore tedesco). Di giorno gira per la città. Di notte vive in una villa-bunker dotata di laboratorio, nella quale cerca una cura al virus. Grazie ai suoi flashback scopriamo la fine della sua famiglia e l'origine della malattia.


Una produzione costruita adosso al super ego di Smith. Con una trama impalpabile come la politica del PD. Il finale alternativo (solo su dvd) risulta più verosimile di quello ufficiale.

lunedì 25 ottobre 2010

La casa di riposo delle chitarre



Santana
Guitar heaven
Arista Records, 2010



Chi sono io per permettermi di fare lo stronzo con la più grande rockstar messicana di tutti i tempi? Tra l'altro mi sta enormemente simpatico il personaggio Carlos Santana: la sua spiritualità, la sua serenità, il suo essere in pace con l'universo (oh cribbio non ho citato la sua musica).


Perciò anche se ha voluto tornare ragazzino e togliersi lo sfizio di fare un disco con sonorità hard-rock ed è venuto fuori un prodotto scontato e bruttino, già a partire dalla copertina, autocelebrativa e da cestone delle offerte in autogrill, perlopiù riempito di brani-totemici (Whole lotta love; Smoke on the water; Sunshine of your love; Little wing) reinterpretati paro paro,fatta eccezione per la costante presenza di un tappeto di (fastidiossimi) bonghi e percussioni tribali varie, nel quale si salva solo una versione hip hop (featuring Nas) di Back in black degli AC/DC, non gliela posso mica far pesare più di tanto.

Però. Va bene il rispetto, ma pretendere anche che una clamorosa paraculata come Guitar Heaven possa anche piacere, è tutto un altro discorso...


sabato 23 ottobre 2010

Album o' the week / John Mellencamp, Dance Naked (1994)


Lo sapete, adoro John Mellencamp. Quando mi deciderò a riprendere la rubrica "Gli album della vita" di sicuro almeno un paio di suoi dischi vi troveranno consona collocazione. Tra questi non figurerà Dance Naked, che però resta un'opera improvvisa (uscita a pochi mesi di distanza dallo strepitoso Human Wheels) e sorprendente.

La tracklisting consta di nove pezzi per circa venticinque minuti di durata, il che lo rende un anomalia nei lavori dell'ex-coguaro. Apre la title-track, nel più classico sound mellecampiano, che mette quindi da parte la svolta roots (fisa-violini) avvenuta con The lonesome Jubilee.

A metà disco il pezzo migliore, Wild Night, sensazionale cover del pezzo di Van Morrison al quale partecipa (e si sente) come ospite la brava bassista/polistrumentista Me'shell Ndegeocello.

Il picco dell'album è probabilmente Another sunny day 12/25, lentaccio folk che tratta tematiche sociali blue collar. Ottime anche L.U.V. e The breakout.



A mio avviso peraltro, Dance Naked chiude la seconda e più esaltante parte della carriera del singer dell'Indiana, che era partita nel 1982 con American Fool.





venerdì 22 ottobre 2010

Una Gran Torino per l'ispettore Callaghan


Esistono diversi fattori che possono incidere sul giudizio che diamo ad un film. Averne letto e/o discusso troppo, senza prima averlo visto. Nutrire aspettative esagerate. Il nostro umore al momento della visione. Le condizioni ambientali (nel caso si guardi a casa e non al cinema).

Deve essere per un mix di questi elementi che non ho apprezzato quanto credevo (e quanto hanno fatto diversi amici che considero, senza ironia, degli oracoli in materia) Gran Torino, di e con Clint Eastwood.

Non mi è piaciuto principalmente perchè ho trovato lo svolgimento della storia molto prevedibile dal punto di vista della finzione cinematografica. Diamine, poteva andare in modo diverso la storia? Lui è un anziano reduce dalla guerra in Corea, pieno di pregiudizi, burbero e per giunta fresco vedovo, ultimo americano in un quartiere di periferia che ormai è diventato a prevalenza asiatica.

I rapporti con la confinante famiglia di "musi gialli" (così li chiama lui) sono inesistenti e improntati alla reciproca diffidenza, fino a quando dal tentativo di furto dell'auto (la Ford Gran Torino del titolo) di Clint/Kowalski, quale prova di iniziazione per il riluttante ingresso dell'ultimogenito della famiglia di asiatici in una gang, si innescano una serie di eventi che, ca va sans dir, avvicineranno il vecchio americano ai nuovi vicini, e idealmente, getteranno il cuore oltre l'ostacolo dei pregiudizi tra la cultura americana e quella dei migranti da paesi lontani.

Il film non è certo tutto da buttare,intendiamoci, ma a tratti è davvero poco credibile. Il personaggio di Clint Eastwood quando imbraccia le armi e minaccia i teppisti oppure li irride mimando con le dita il gesto della pistola, sembra più una parodia (magari anche voluta eh) dell'ispettore Callaghan, che un'ottantenne che ha imbracciato le armi sessant'anni prima. Il giovane prete irlandese che cerca di confortarlo è troppo perfettino per essere vero. L'ingresso di Clint e la sua rapida accettazione da parte di una comunità notoriamente chiusa agli esterni come gli hmong appare decisamente precoce.

Apprezzabile invece la rappresentazione delle famiglie dei figli di Kowalski, più distanti dal padre in termine di comunicazione di qualunque cultura straniera, i siparietti dal barbiere italiano e i "dialoghi" dai rispettivi portici tra il personaggio di Eastwood e l'anziana della famiglia hmong.


Una considerazione a margine. Ho visto questo film sulla la prima rete della Svizzera Italiana (RSI1) e ho scoperto un canale davvero notevole. Film recenti, spesso in prima visione tv, una bella programmazione, una sola interruzione tra i due tempi della pellicola. Rispetto per il telespettatore insomma. A forza di guardare RaiMediaset avevo quasi avevo dimenticato cosa fosse.

giovedì 21 ottobre 2010

Love and war revisited

Di cosa parliamo veramente quando parliamo di guerra e d'amore? Deve esserselo finalmente chiesto il buon Neil Young, dopo aver passato buona parte dei suoi sessantacinque anni di vita a comporre spesso meravigliose (a partire da What for it's worth) e qualche volta sbagliate canzoni antimilitariste.
Proviamo a capirlo, deve aver pensato il testardo canadese. E così a metà del suo miglior disco degli ultimi tre lustri, come un porto sicuro dagli accordi distorti che dominano con ferocia su Le noise, ha piazzato l'inquietante calma di Love and war.
A sto giro c'ha messo meno certezze e più rassegnazione, è la pancia a parlare più che gli ideali, le rughe agli angoli degli occhi a raccontare: "Sono stato innamorato e ho visto un sacco di guerre, ho visto un sacco di gente pregare Allah o il Signore, ma il più delle volte pregano per amore o guerra".

Il risultato finale è ancora un passo indietro rispetto a War di Edwin Starr (irraggiungibile) ma ben oltre moltissima insincera produzione d'opposizione.
Love and war è la canzone pacifista di questo desolante decennio. E forse anche qualcosa di più.





When I sing about love and war
I don't really know what I'm saying
I've been in love and I've seen a lot of war
Seen a lot of people praying
They pray to Allah and they prey to the Lord
But mostly they pray about love and war
Pray about love and war

I've seen a lot of young men go to war
And leave a lot of young brides waiting
I've watched them try to explain it to their kids
And seen a lot of them failing
They tried to tell them and they tried to explain
Why daddy won't ever come home again.
Daddy won't ever come home again

I said a lot of things that I can't take back
But I don't really know if I want to
There've been songs about love
I sang songs about war
Since the backstreets of Toronto
I sang for justice and I hit a bad chord
But I still try to sing about love and war
Sing about love and war

The saddest thing in the whole wide world
Is to break the heart of your lover
I made a mistake and I did it again
And we struggled to recover
Then I sang in anger, hit another bad chord
But I still try to sing about love and war

I've been in love and I've seen a lot of war
Seen a lot of people praying
They pray to Allah and they prey to the lord
But mostly they pray about love and war
Pray about love and war.

mercoledì 20 ottobre 2010

MFT, ottobre 2010


ALBUM

M.I.A. , Maya
Fabri Fibra, Controcultura
The Sword, Warp riders
Neil Young, Le noise
Isobel Campbell & Mark Lanegan, Hawk
Rolling Stones, Rolled gold

Midlake, The courage of others
John Mellencamp, No better than this
The Texas Tornados, Esta bueno!
Alejandro Escovedo, Street songs of love

VISIONI

Romanzo Criminale, prima stagione
Californication, seconda stagione
No ordinary family, prima stagione

martedì 19 ottobre 2010

Sussurri e grida


Isobel Campbell & Mark Lanegan
Hawk
V2/Cooperative, 2010


Sarà che è passato un pò di tempo dall'ultimo lavoro di mr Lanegan che mi ha entusiasmato (a occhio e croce direi Bubblegum), oppure che avevo quasi subito mollato per sfiancamento il suo sodalizio con la Campbell (ecco, invece dei Belle and Sebastian non sono mai stato fan) e cominciavo ad andare in astinenza del suo vocione, o può essere anche che a stimolarmi sia stata la notizia della presenza nella tracklist di due omaggi a Townes Van Zandt, ma sta di fatto che Hawk, quarta e ultima fatica del duo, mi sta dando non poche soddisfazioni

Il disco è strutturato in modo geometrico, tra i brani in cui Lanegan è lead vocal e la Cambbell si limita a fare dei bellissimi ricciolini alle o, quelli in cui il volante (vista la copertina...) passa alla scozzese e i duetti di rito.
Vista la premessa, mi corre l'obbligo di dire che le mie preferenze premiano decisamente le tracce eseguite dall'ex Screaming Trees.

Ma andiamo per ordine. Apre il lavoro la delicata e mistica We die and see beauty reign, giusto un sussurro sopra un leggerissimo arpeggio di chitarra. Un brano d'atmosfera disarmante, tanto semplice quanto efficace.
A seguire il primo dei grandi pezzi di Lanegan, You won't let me down again, bellissimo, trascinante, evocativo. Che riprende gli arrangiamenti essenziali di quel capolavoro che risponde al nome di Whiskey for the holy ghost.
Siamo ancora da quelle pittoresche parti per la successiva Snake song, (primo tributo a Van Zandt) chitarra acustica e slide a sorreggere un blues minimale. Ottima.

Come undone è una ballata sospesa tra il croonering (con tanto di archi) e la damned song, qualcosa nell'incedere ricorda I put a spell on you. Siamo alla traccia numero quattro e il livello si mantiene altissimo.
La traccia numero cinque (seconda cover di Townes) No place to fall è una nenia struggente, affascinante. Qui il vocione di Mark sembra irriconoscibile, e infatti a duettare con la Campbell è stavolta il giovane Wiily Mason. Get behind me chiude idealmente la prima parte del disco, e lo fa nel migliore dei modi, attraverso un rock and roll sporco, ruvido e primordiale. Altro tiro altro centro.

Time of the season è il primo brano in cui Isobel comincia a prendersi un pò di spazio, è una canzone dalle inaspettate sfumatore folk/pop. Ascoltandola è impossibile non rievocare i fantasmi di June Carter e Johnny Cash.

La title track, piazzata più o meno a metà del percorso, fa da intermezzo al passaggio di mano (e di atmosfere) del mood dell'album. E' un rythm and blues strumentale dalle parti degli Animals, scatenato e coinvolgente.

Sunrise è la prima canzone interpretata esclusivamente dalla parte femminile del duo. E' un pezzo onirico e dilatato, esattamente come ce lo si aspetterebbe da una che ha militato in un gruppo come i Belle and Sebastian. Lo stesso dicasi per To hell and & back again.
Sono ottimi pezzi, intendiamoci, ma fanno parte di quel lotto di canzoni che ne reggi al massimo due-tre, poi cominci a skippare.
Willy Mason torna a dare il suo contributo per Cool water, e io torno ad alzare all'insù il pollice. Green eyes, marcia irlandese che strizza l'occhio ai Waterboys, ci accompagna deliziosamente verso il gran finale.

Lately è infatti uno strepitoso ed imprevedibile pezzo soul a tinte gospel (con un fantastico giro di chitarra country!) che parte piano e poi si insinua subdolamente sottopelle, fottendoti senza scampo i sensi, ottenembrando la mente, spargendo gioia a piene mani. Capolavoro assoluto.

Il mio voto conclusivo è una media tra l'eccellenza dei pezzi di Lanegan più la traccia conclusiva (5 pinte) e i duetti sommati a quelli in cui la Campbell è solista (3). Viene una rispettabilissima media di quattro, nonchè un accorato appello ad accantonare i pregiudizi (che io stesso nutrivo) e a prestargli la necessaria attenzione.



lunedì 18 ottobre 2010

Who's bad?


Fuori dal duopolio del genere, costituito da Disney/Pixar - Dreamworks, la Universal ha prodotto un cartoon che non ha niente da invidiare ai più agguerriti concorrenti e che, sopratutto, fa davvero ridere a crepapelle i bambini in sala (in particolar modo nella prima mezzora).


Il protagonista è Gru, cattivo a 360° (nel senso che la sua giornata è farcita di atti di pura cattiveria a danni dell'intera popolazione), incallito e un pò sfortunato, che alla soglia dei cinquanta mette in atto il suo piano più ambizioso. Ovviamente però i personaggi più divertenti sono i suoi aiutanti, omini giallo alti trenta centimetri creati dal vecchio scenziato che da anni collabora con Gru. Il lato sentimentale è garantito da tre piccole orfane che vengono adottate dal criminale per i suoi sordidi piani.


Consigliato già a partire dai 4-5 anni.

domenica 17 ottobre 2010

p2p in crisi?

Articolo di Alessandra Longo su Repubblica


IL PEER-TO-PEER, fino a oggi il sistema preferito dagli italiani per scaricare file da internet, è in caduta libera. Ma il download (legale e non) di film e musica dalla rete non è in crisi. Solo, sempre più utenti preferiscono altri modi per accedere a questi contenuti.

La conferma arriva dai dati dell'osservatorio di ricerca Nielsen: gli utenti peer-to-peer italiani sono passati dai 6,7 milioni di luglio 2009 ai 4,9 milioni di luglio 2010. La caduta colpisce in particolare il software più usato, eMule, che a luglio 2010 è stato usato da 2,9 milioni di persone, in calo del 43 per cento rispetto all'anno prima. Cresce invece uTorrent, altro software peer-to-peer (1,3 milioni di utenti, +50 per cento anno su anno).

sabato 16 ottobre 2010

Album o' the week / The Black Crowes, Amorica (1994)


Uno dei più spettacolari casi in cui sarebbe legittimo comprare un disco esclusivamente per la copertina. Tanto basterebbe iniziare l'ascolto dell'album (Gone, A conspiracy, High head blues ) per capire di aver fatto la scelta giusta e perchè il pelo pubico che esce dal minicostume a stelle e strisce (foto recuperata da un vecchio numero di Hustler) che tanto scalpore ha fatto in patria, assuma un ruolo insignificante. E una volta terminato l'ascolto è tale l'ubriacatura di blues, rock e soul che in copertina avrebbero potuto metterci anche la Pina di Fantozzi, e nessuno ci avrebbe fatto più caso.

Con Amorica i Black Crowes chiusero il terzo lato del loro triangolo magico (gli altri erano Shake your money maker e The souther harmony and music companion), quello che ha sugellato il periodo migliore del combo.
Un disco monolitico, che non si presta ad essere un singlebuster ma che resiste massiccio nel tempo grazie alla forza del collettivo delle canzoni che racchiude.

Caso più unico che raro in cui tira più un carro di rockblues trainato dai buoi che un pelo di figa.

giovedì 14 ottobre 2010

In my ragged company

Giro di boa di una settimana di merda. In pratica tutto quello che poteva andare male, è andato male. Ho avuto una ricaduta dell'influenza che avevo ricacciato indietro a forza di Actigrip un paio di settimane fa. Questa ovviamente è peggiore. Tosse, mal di gola e un calo di voce che mi fa sembrare un molestatore telefonico. Perchè non mi sono messo in malattia? Perchè questa settimana avevo tante di quelle rogne da sbrigare che i miei colleghi avrebbero preferito gli passassi la sifilide, piuttosto che detta quota parte di casini. E manco la gratificazione di averle chiuse bene, queste vicende. Tutto storto, lo dicevo che sta andando tutto storto.

Eppure ieri mattina mi ero svegliato con la piacevole sensazione di una canzone che mi ronzava nella testa. Secondo me stava lì già nel dormiveglia, aleggiava come una sorta di dreamcatcher. Era Dead Flowers degli Stones (da Sticky Fingers), assunto a culto per una dozzina di generazioni di country/folk singers, al punto che ne esistono talmente tante versioni da perderci il conto. A me basta pensare alla sua melodia, al suo testo per trovare un pò di pace. Ha quella che chiamo una tranquilla potenza devastante.


Well when you're sitting there
in you silk upholstered chair
talking to some rich floks that you know.

Well I hope you won't see me
in my ragged company
but you know I could never be alone.


Take me down little Susie, take me down
I know you think you are the queen of the underground
And you can send me dead flowers every morning
Send me dead flowers by the mail
Send me dead flowers to my wedding
And I won't forget to put roses on your grave

Well when you're sitting back
in your rose pink Cadillac
making bets on Kentucky Derby day

I'll be in my basement room
with a needle and a spoon
and another girl to take my pains away

Take me down little Susie, take me down
I know you think you are the queen of the underground
And you can send me dead flowers every morning
Send me dead flowers by the mail
Send me dead flowers to my wedding
And I won't forget to put roses on your grave

Take me down little Susie, take me down
I know you think you are the queen of the underground
And you can send me dead flowers every morning
Send me dead flowers by the U.S. mail
say it with dead flowers at my wedding
And I won't forget to put roses on your grave
No, I won't forget to put roses on your grave




mercoledì 13 ottobre 2010

It's never too late to mend, i Midlake


Sapete no quella particolare situazione per cui puoi sentire un disco miliardi di volte senza che ti comunichi alcunchè, ma poi, all'ennesimo ascolto, quando ormai avevi rinunciato, improvvisamente tutto diventa chiaro, empatico. Si spalancano le porte della percezione, la meraviglia dilaga irrefrenabile fino ad attanagliarti completamente (il tutto senza l'ausilio di droghe, pensate un pò!).

E' proprio questo il caso di Courage of others dei Midlake, band texana (aridaje!) protagonista (così come i Grizzly Bear e i Fleet Foxes) di questo nuovo, ennesimo new acoustic movement che non so se abbia un nome ufficiale, ma che diciamo ama rimestare nel sound folk/psichedelico di fine sessanta/inizio settanta, sulla scia del movimento di
Haight-Ashbury a Frisco e su quello che tirava fuori gente come Crosby, Still, Nash & Young (il riferimento è inevitabilmente al masterpiece Four way streets).

Avevo bollato questo disco come deprimente e su questo non ritratto, quello che non coglievo però è che la struggente malinconia che lo pervade è una componente nella quale è dolcissimo lasciarsi portare alla deriva, soprattutto nella stagione che stiamo attraversando.

Courage of others è un'opera dominata dagli infiniti intrecci di chitarre acustiche e dalle armonie vocali a strati. C'è anche un'elettrica, ma per sentirla distintamente bisogna attendere fino alla traccia numero nove (The horn).

Capisco che un disco di queste fattezze, ascoltato nel periodo sbagliato può essere letale, ma se siete nel mood giusto, pezzi come Acts of men, Rulers, rulin' all things, Chidren of the grounds o Core of nature saranno l'unica cosa che vorrete ascoltare fino al termine dell'autunno.

martedì 12 ottobre 2010

Blogfest 2010

Qualche settimana fa avevo segnalato il Blogfest, che ogni anno sfrucuglia nella galassia dei web writers italiani e premia i migliori blog, dividendoli per categorie specifiche (il post era questo).

Oggi, con un pò di ritardo sullo svolgimento della manifestazione, che si è tenuta il 25 settembre a Riva del Garda, riporto i vincitori del pool 2010 limitandomi solo ad alcune delle categorie premiate; per le liste complete e le sezioni mancanti vi invito a consultare l'elenco dei risultati dal sito ufficiale del Blogfest.


Miglior Blog


Blogger dell'anno


Blog rivelazione


Miglior blog personale


Miglior post dell'anno


Miglior blog letterario


Miglior blog musicale


Miglior blog cinematografico


Miglior blog sportivo


Miglior blog erotico

All'anno prossimo.

lunedì 11 ottobre 2010

Qualcuno normale?





Fabri Fibra
Controcultura
Universal, 2010


Ricordo di aver visto un documentario tempo fa. Spiegava cosa avesse rappresentato per la cultura americana dei cinquanta la rivoluzione del rock and roll. In particolare mi è rimasta in mente la ripresa di una lezione universitaria, dove il professorone di turno strappava risate ai presenti ironizzando sul significato di testi che avevano passaggi come "tuttifrutti awrutti" o "bebobalula shesmybabe". Oggi appare impietoso evidenziare il limite di apertura mentale di certi tromboni che rappresentavano solo una cultura borghese d'elite, eppure anche nel 2010, ogni tanto ci ricaschiamo. Quel documentario mi è infatti tornato in mente ascoltando le reazioni sdegnate di molti (che probabilmente ascoltano la musica come bevono il caffè al bar, col mignolo alzato) riguardo a Vip in trip. "Ma come, ti piace quella roba? Ma che testo è perepequaqua?!?". Beh, non solo mi piace, ma lo trovo micidiale, e non riesco a cacciarlo dalla testa (come si evince da questo post e relativi commenti ) e secondo me se levaste quella scopa che avete in culo, piacerebbe anche a voi.

Fabri Fibra is back. E finalmente torna a fare sul serio.Dopo la lunga gavetta e il successo di Bugiardo (Applausi per Fibra) infatti, le sue produzioni avevano cominciato a mostrare la corda e a dare segni di ripetitività/stanchezza creativa, patologia del resto piuttosto comune nell'ambito delle carriere dei rapper. In Controcultura invece lo si capisce immediatamente che si respira un aria diversa. Già a partire da 6791, la prima traccia: enfasi nei bassi e scenari vagamente ossessivi ("la prima volta che ho sentito la parola paranoia/ero già in paranoia"). Poi ancora molto bene con Escort ("anagramma di sterco"), irriverente carrellata sui nuovi vizi italiani (non a caso, tra gli altri, sono citati Noemi Letizia e Corona).

E' bello caldo il Tarducci, non si fa pregare per smerdare ad aerografo nani e ballerine che popolano il desolato panorama di questa Italietta del terzo millennio. E se gli strali arrivano anche da un artista che politicizzato non lo è, e non lo è mai stato, significa che la misura è davvero colma.

E' in questo ambito che si colloca anche Qualcuno normale, innescata da una metafora che subito dà il senso del pezzo: " Cammino sempre con le spalle al muro / E' scomodo / Come un politico sta con Marco Travaglio in culo" che si avvale tra l'altro di un riuscito featuring di Marracash.

Tornando a Vip in trip, noto che, curiosamente è l'unico brano di tutto il disco che ha una strofa bippata (la censura copre "perchè ho paura di prendere l'Aids!", riferito alle ragioni del presunto rifuto di Fibra di fare sesso con Laura Ch...), mentre per tutto il resto del lavoro arrivano bordate a destra e manca senza troppa cautela. C'è poco da fare, è il classico singolone irresistibile, come come del resto è riuscito il relativo video, tributo ai Clash di Rock the Casbah.

Ottime anche + o -, classico Fibra's style, il riempipista Tranne te, Insensibile, In alto ("tutti vogliono che ti trovi un lavoro / come quello che hanno loro"), Troppo famoso e Rivelazione con un irresistibile featuring finale di...Topo Gigio. Non mi convincono appieno invece Tre parole, Le donne e Spara al diavolo.

Non so se attualmente Fabri Fibra sia davvero il miglior rapper su piazza. Di certo è quello che vende con più costanza (non dimentichiamo che il rap, questo rap, è anche un fenomeno commerciale di massa) e tra tutti, è forse quello che cerca con maggior determinazione una via personale, tutta italiana a questo genere, raggiungendo in scioltezza gli obiettivi di divertire, nel senso letterale del termine, e di far uscire un pò di pus dalle ferite della nostra società.

La cosa più vicina alla versione 2.0 di un cantautore. Però non diteglielo, che s'incazza.




domenica 10 ottobre 2010

Gatagetget

Continua ad essere in altissima rotazione nei gusti di Stefano il pezzo di apertura di The E.N.D. dei Black Eyed Peas. E' Boom Boom Pow, anche se lui lo chiama come il titolo del post. Se non conoscete il pezzo e volete capire il perchè bastano pochi secondi...


sabato 9 ottobre 2010

Album o' the week / Steve Ray Vaughan, Texas flood (1983)


Texas flood è il primo disco di Steve Ray che abbia mai ascoltato.
Ancora oggi è il mio preferito, nonostante, da buon dinosauro, dopo la sua scoperta mi sia dato da fare anche con tutto il resto della produzione.
Mentre gli ottanta cominciavano a impestare le onde radio e tv con sintetizzatori e campionatori, lui era in una bolla temporale dalla quale comunicava col mondo esterno attraverso suoni blues contaminati. Apriva con Love stuck baby. Quindi arrivavano Pride and joy, Mary had a little lamb. E poi ancora Testify, Lenny, I'm crying.
No, per dire eh.

venerdì 8 ottobre 2010

Americani a Roma


Veramente un brutto film, recitato male e sceneggiato peggio. Si salva solo qualche inquadratura spettacolare ai monumenti e alle architetture di Roma, ma visto il materiale a disposizione non ci voleva certo un master in cinematografia.
Non ho letto il libro di Brown, ma la storia mi sembra presenti molte analogie con Il codice Da Vinci, nel senso che parte come feroce denuncia all'istituzione Chiesa e finisce a taralluci e vino (santo).
Da evitare come la peste anche per chi, come me, apprezza i blockbusters hollywoodiani.

giovedì 7 ottobre 2010

(Last time) Across the border


Texas Tornados
Esta bueno!
Bismeaux, 2010

I Texas Tornados sono stati in passato forse il più significativo gruppo di tejano mai esistito. Nati alla fine degli ottanta come all-star band, per la levatura in ambito country-rock/roots dei singoli componenti, erano inattivi da quindici anni, principalmente a causa della dipartita dei due componenti più importanti, Doug Sham e Freddie Fender, che ci hanno lasciato rispettivamente nel 1999 e nel 2006.

Il terzo dei quattro membri storici del combo è il fenomenale fisarmonicista Flaco Jimenez, musicista per il quale nutro un'inguaribile dipendenza. L'ultimo è Augie Meyers. Sono loro che hanno reclutato il figlio di Doug Sham (Shawn) e hanno dato alle stampe questo ultimo tributo alla gloria che fu e alla memoria dei due amici scomparsi. Insieme hanno messo insieme vecchie outtakes, pezzi rimasti in canna, qualche brano della carriera solista di Meyers e alcune tracce composte per l'occasione, fino ad arrivare a comporre una tracklist che regge dignitosamente il confronto con le produzioni precedenti.

Dovessi descrivere la musica dei TT direi che di primo acchito sembra di ascoltare la colonna sonora di uno dei tanti locali finto-caratteristici di Cancùn per turisti (in genere gringos) che si sfondano di birra e tequila bum bum al ritmo di canzoni che parlano di senorite e cerveza. Mi rendo conto però che sarei ingeneroso a banalizzare e quindi aggiungo che, posto il gradimento per questo genere, in realtà c'è molto altro, vincolato in gran parte al fascino che esercita la musica di confine tra due mondi opposti.
Merito soprattutto del divino Flaco, la cui fisa è componente vitale nelle composizioni della band come la chitarra di Livio lo è per gli Estere.

Tra i pezzi che più mi hanno convinto segnalo They don't make it like i like, Esta bueno, Ahora yo voy, Another shot of ambition, In heaven there is no beer e la conclusiva Girl going nowhere, cantata da Doug Sham.

Di certo i Texas Tornados non raggiungono la profondità di band più complete e strutturate, come possono ad esempio essere i Los Lobos nella loro fase traditional, ma hanno (avuto) un loro perchè.



mercoledì 6 ottobre 2010

Perepequaqua

L'altro giorno, in macchina, canticchiavo la nuova hit di Fabri Fibra.
Dopo diversi pa pa para para pa pa para e perepè qua qua, qua qua perepè, Stefano mi si avvicina e mi dice: - dì la verità papà, questa te la sei inventata adesso... - .

martedì 5 ottobre 2010

Time to slam


L'ultima passione di Stefano è Space Jam (film sopratutto, ma anche soundtrack).

Produzione particolare, che sfrutta il binomio Looney Tunes/miti dell'NBA, con Michael Jordan addirittura protagonista del film ed alcune star del basket (Larry Bird, Charles Barkley, Patrick Ewing, Larry Johnson e molti altri) a fare da comprimari "in carne ed ossa".
Ovviamente però, i veri protagonisti sono i characters animati della Warner, Bugs Bunny, Daffy Duck & co.


Il film non è a mio avviso riuscitissimo (molto meglio Looney Tunes Back in action, successivo esperimento a tecnica mista, decisamente più divertente), però ha dei momenti godibili, che sono quasi sempre quelli in cui recita, nei panni di se stesso, Bill Murray.


La colonna sonora invece è composta da ottimo modern soul, con R. Kelly (I believe i can fly), Seal che rifà la Steve Miller Band (Fly like an eagle), e hip hop d'annata, a cominciare da una scatenata Space Jam di Quad City DJ's sui titoli di testa. Poi, tra gli altri, Barry White, Salt-N-Pepa, Coolio, D'Angelo, Jay-Z.

Complessivamente, un pacchetto che fa levitare la negritudine della famiglia.


lunedì 4 ottobre 2010

Il ritorno dello zio sonico



Neil Young
Le noise
Reprise, 2010


Un acustico suonato con l'elettrica distorta, un unplugged con la spina ben attaccata. Riverberi, delays, effetti eco sulla voce, noise vari. La formula del one man band proiettata nel terzo millennio. Un'alchimia, quella tra introspezione e rumorismo, pericolosa per molti, ma non per lui. Perchè quando tutto gira, sembra che a Neil Young venga dannatamente facile scrivere grandi canzoni, grandi album. Perchè quando è ispirato e concentrato, lui torna ad essere lo zio sonico che ha svezzato nidiate intergenerazionali di folk rockers. Poi certo, poter contare su di un coach come Daniel Lanois rende tutto più semplice.

Bastano le prime note tremolanti dell'opener Walk with me a provocare la giusta reazione epidermica, con l'ossessiva ripetizione del titolo, gli echi tipo contraerei e gli effetti distorti che, spiace dirlo, spazzano via gli ultimi 15-20 anni di produzione del canadese, riportando le lancette agli inizi dei novanta e a lavori quali Ragged glory, Sleep with angels e Mirrorball.
Anche Sign of love gioca sul contrasto tra l'esile falsetto di Neil e l'ago del distorsore della chitarra sempre sul rosso. Someone's gonna rescue you si erge sopra la già ottima media dei pezzi che l'hanno preceduta grazie ad un lercio giro di blues e la poesia semplice del testo.

Love and war e Peaceful valley boulevard sono le uniche due tracce davvero acustiche. Entrambe giocate su un arpeggio che più younghiano non si potrebbe, la prima dipana una lirica pacifista che solo chi è in malafede definirebbe banalmente buonista, mentre la seconda con i suoi oltre sette minuti di timing è una solida murder song.
In mezzo ancora i rumori ad accompagnare Angry world e Hitchiker. Chiusura per l'ossessiva Rumblin'.

Otto pezzi per trentotto minuti di durata. Un disco coeso come non mi capitava da tempo di ascoltare da parte del canadese, che sembra fatto appositamente per essere stravolto dal vivo, magari con i Crazy Horse a dilatarne i pezzi all'infinito (il pensiero corre veloce al trattamento riservato ai tre minuti di Like an hurricane in Weld).

Eh sì, stavamo perdendo la speranza, e invece a quasi sessanticinque anni, con il 2010 che volge al termine, il cavallo pazzo del rock torna a battere un colpo la cui eco risuonerà, distorta, ancora a lungo.


sabato 2 ottobre 2010

Album o' the week / The Cure, Wish (1992)


E' anche per merito di questo disco se la mia personale operazione-sdoganamento dei Cure è andata a buon fine. Pietra angolare della produzione della band, Wish ha idealmente chiuso la seconda parte della loro carriera ( a seguito del tour di supporto all'album sono infatti fuoriusciti dalla formazione inglese i membri storici Thompson e Williams,rispettivamente batteria e chitarra) e, più di qualunque altra produzione di Robert Smith e pards, è riuscito magicamente a conciliare tutte le sensibilità stilistiche espresse in precedenza.
Che sono, ragionando per macroaree, quella dark, marchio di fabbrica consolidato di lavori come The head on the door, Disintegration, Pornography e quella più pop e radiofonica che aveva raggiunto il suo acme in Japanese whisper.

Questa armonia ci consente di passare dall'allegro motivetto Friday i'm in love alle struggenti malinconie di Trust. Dalla vivacità di Open, High e Doin' the unstuck alla lunga From the edge of the deep green sea, dall'introspezione di A letter to Elise, via via fino alle astrazioni di To wish impossible things.

L'elemento che conferisce a Wish, rispetto ad altri lavori, la certificazione di eccellenza è che la band si esprime al meglio del suo potenziale su entrambi i canoni, senza riempitivi o sbavature.

Probabilmente i fans storici prediligono titoli più ostici ai comuni mortali, per tutti gli altri invece è sempre un bell'ascoltare.


venerdì 1 ottobre 2010

Major alla riscossa



Dall'Italia agli Stati Uniti riparte la battaglia ai pirati
Dopo un periodo di quiete, riprende quota l'iniziativa per contrastare il download illegale di film e musica. Da noi arrivano le prime multe agli utenti, mentre il Parlamento europeo discute norme più severe.
(...)

"Prima colpivamo solo il peer-to-peer, in Italia. Adesso agiamo ad ampio spettro contro i nuovi e sempre più popolari strumenti con cui gli utenti accedono a contenuti pirata", spiega Enzo Mazza, presidente di Fimi (Federazione dell'industria musicale italiana).

Negli ultimi tre mesi la Fimi ha fatto rimuovere 36 mila link nei "cyberlockers", cioè siti di hosting come Megaupload, Rapidshare, Hotfile. E' un modo ormai comune per scaricare film e musica pirata. Gli utenti trovano i link su community, forum e blog. Cliccando sul link, possono scaricare il file dal sito di hosting, che è esterno e indipendente rispetto alla community. L'antipirateria chiede però ai cyberlockers di rimuovere i link e l'utente quindi non può più utilizzarli (se ci clicca riceve un messaggio di errore: "il file è stato rimosso"). Prossimo obiettivo, probabilmente, saranno le stesse community che diffondono link: Fimi tiene d'occhio le più usate in Italia, come Ddl Fantasy. "E' solo questione di tempo, vengono perseguiti tutti i pirati piano piano", dice Mazza.

L'antipirateria ha iniziato a contrastare anche lo streaming illegale, cioè la possibilità di guardare film o ascoltare musica direttamente online, senza scaricarla sul proprio computer: "Abbiamo fatto rimuovere 12 mila video illegali su siti come YouTube, negli ultimi tre mesi". A settembre c'è stato il primo caso di utenti multati, 154 euro, per aver visto film in streaming su Vedogratis.com. Il sito stesso è stato bloccato dalla polizia postale di Genova e i suoi gestori denunciati. Sono stati multati gli utenti più assidui, una ventina sulle centinaia di migliaia di visitatori del sito. Allo stesso modo, Fimi persegue i più assidui utenti peer-to-peer: coloro che condividono molti album, quelli che scambiano le pre-release (opere ancora non uscite nei negozi) e tutti quelli che gestiscono servizi utilizzati a scopo pirata.
(...)

Qui l'articolo di Repubblica per esteso