Paradossalmente manca nella discografia di Springsteen un disco dal vivo epocale che abbia saputo riprodurre cos'è stato Bruce in concerto. Il quintuplo (parlo dell'edizione in vinile) del 1985 è un ottimo report antologico, ma imperfetto per la non sempre felice scelta dei pezzi . Dalla reunion con la E Street Band del 1999 poi, è uscito in pratica un cd e/o un dvd per ogni tour effettuato. Anch'essi eccellenti, ma ancora nessuno definitivo.
E' con queste premesse che mi metto davanti alla tv per godermi London Calling, l'ultimo dvd registrato all'Hyde Park di Londra in occasione dell'Hard Rock Calling festival, il 28 giugno dell'anno scorso. La prima cosa che salta all'occhio è l'eccezionale qualità video (è stato girato in hd). Per quanto concerne la performance invece, basta l'attacco del primo pezzo per capire che Springsteen, nella solitudine della sua camera d'albergo, ha elaborato una scaletta finalizzata a rompere scientificamente il culo ad ogni singolo spettatore nel raggio di dieci chilometri.
Il pezzo scelto per aprire lo show davanti a non so quante decine di migliaia di persone, è infatti London Calling dei Clash. Una versione non scevra da difetti per la verità, ma tanto basta. Quando il pubblico riconosce il riff iniziale, impazzisce in un boato che manco un gol di Rooney in finale della coppa del mondo. Il coro che sovrasta la band su ...I live by the riveeeer... è colossale, da togliere il fiato. A seguire Badlands e poi quel capolavoro a lungo trascurato che è Night. Dopo tre pezzi la missione è già compiuta, il boss li tiene tutti per palle. E il bello è che lui si è appena scaldato.
Del fatto che gli show di Springsteen siano diventati con gli anni eccessivamente autocelebrativi ho già detto, così come mi sono già espresso criticando l'idea biagioantonacciana dei fans che richiedono le canzoni per iscritto, ma ciò non toglie che non esiste al mondo uno che interpreti a questo modo la professione di stare su di un palco.
Del fatto che gli show di Springsteen siano diventati con gli anni eccessivamente autocelebrativi ho già detto, così come mi sono già espresso criticando l'idea biagioantonacciana dei fans che richiedono le canzoni per iscritto, ma ciò non toglie che non esiste al mondo uno che interpreti a questo modo la professione di stare su di un palco.
Tra l'altro, il fatto di celebrare consapevolmente il proprio mito, non impedisce a Bruce di improvvisare siparietti ironici ed esilaranti, come alla fine di Out in the street quando annaspa nel risalire le scale che vanno dal passarella di fronte al pit al main stage, e recuperato il microfono, si lamenta in modo teatrale della faticaccia di fare dieci gradini alla sua età, esclamando: ...gimme an elevator...i'm fuckin' sixty!!!
Bruce è cresciuto (invecchiato) al pari dei suoi fans, lo spettacolo che oggi porta in giro, da un certo punto di vista, si può definire in senso lato "intrattenimento rock per famiglie", vista la presenza ormai fissa di bambini, anche piccoli, trascinati nella ressa da papà sfegatati. Ed è proprio un imbarazzatissimo bambino nelle prime file il protagonista di un'altra scenetta divertente , con Springsteen che gli porge il microfono per fargli cantare il refrain di Waiting on a sunny day.
E' una festa gioiosa insomma, l'happening con cui il boss coinvolge gli spettatori, ma non mancano i momenti di riflessione, uno per tutti è rappresentato dal trittico Seeds/Johnny 99/Youngstown, tre pezzi splendidi, dalle forti connotazioni di denuncia sociale, messi in fila e suonati ferocemente, con i fiati e le chitarre che creano un wall of sound così solido che quasi si tocca con le dita.
E poi certo, i classici, Promise land, Bobby Jean, Racing in the street, The rising, Born to run, Glory days (siparietto con un ridanciano Little Steven), Dancing in the dark, ma anche Outlaw Pete, che ribadisco essere, al netto delle accuse di plagio rispetto a I was made for lovin' you dei Kiss, un pezzo strepitoso, interpretato vocalmente in maniera magnifica. Su No surrender Bruce ricambia l'ospitata ai Gaslight Anthem, per i quali era stato membro aggiunto nel pomeriggio per l'esecuzione di The 59 sound, chiamando sul palco il loro singer, Brian Fallon. Il tatuato leader degli Anthem è visibilmente emozionato, e non ha neanche a tracolla una chitarra dietro a cui nascondersi. Ad ogni modo se la cava bene, e archivia con onore una serata da raccontare agli amici.
Discorso a parte merita purtroppo la E Street Band, sempre più a margine del concerto dal punto di vista dell'apporto scenico. Bravi, non sbagliano un colpo, vengono avvisati dieci secondi prima su quale brano suonare e lo eseguono in scioltezza, ma che ci volete fare, vedere un tizio col triplo mento che si spaccia per Little Steven e Clarence Clemons a mezzo servizio che non ce la fa a muovere un passo m'immalinconisce terribilmente. Per fortuna ci pensa il violino di Soozie Tyrell e l'abbuffata irish di American Land a risollevarmi.
In sintesi, London calling è un ottimo prodotto, sia dal punto di vista tecnico (qualità immagini / audio) che artistico e riesce a riprodurre una fotografia fedele (anche nei difetti quindi) di ciò che sono ancora capaci di fare una manciata di fottuti sessantenni in quello che potrebbe essere stato il loro ultimo tour insieme.
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