mercoledì 24 marzo 2021

Woody Allen, A proposito di niente

 


A proposito di niente è esattamente come ti aspetteresti un racconto senza rete di Woody Allen, infarcito cioè di autoironia, comicità, cultura (ma non ditelo all'autore, perchè si schernirebbe), basso profilo e un rapporto con la propria arte cinematografica di un'umiltà che spesso manca ai registi che non hanno girato nemmeno mezzo film, ma che se la tirano manco fossero Kubrick. 
Nel corso della narrazione, che procede in ordine cronologico, dall'infanzia nel Bronx (Allen, vero nome Allan Steward Konigberg, è del 1935), passando da successi a fallimenti, l'autore mette sorprendentemente in fila i suoi interessi, il jazz, il baseball, il basket, la letteratura e il cinema, spesso in un ordine che non rispecchia quello che, superficialmente, avremmo immaginato. Così come può sorprendere, a chi non abbia mai approfondito la storia di Allen, scoprire la sua passione per le sfumature più drammatiche degli ambiti letterari e cinematografici, rivelati attraverso manifestazioni di amore assoluto nei confronti di Tennessee Williams, Ingmar Bergman o Vittorio De Sica. Allen parla del suo cinema con disinvoltura, come fosse un lavoro come un altro e sempre trattando con enorme rispetto, riconoscenza e affetto i colleghi (attori, tecnici, sceneggiatori e produttori) con i quali ha lavorato in carriera. Sembra di vederlo poi, in uno dei suoi classici monologhi, quando racconta avventure e disavventure amorose, rapporti con la parentela ebrea, vari aspetti della propria vita privata, il tutto senza mai sbagliare la freddura, la battuta spesso auto-inferta, la citazione, l'ardita metafora. 

Ovviamente Allen non si sottrae quando si arriva al capitolo delle accuse per molestie che Mia Farrow (per la quale ha sempre e solo parole al miele come attrice) gli ha pubblicamente rivolto, anzi, sicuramente coglie l'occasione per mettere in fila gli eventi che hanno portato a quella vicenda, premettendo di volersi astenere da giudizi personali e riportando solo l'oggettività dei fatti. 
Non sono un fanboy di Woody Allen, alla mia età si può dire non lo sia più di nessuno. Non esiste cioè una persona pubblica dell'ambito dello spettacolo, dell'arte o dello sport per la quale mi darei fuoco nella pubblica piazza per solidarietà, in caso di accuse infamanti come quelle rivolte al regista newyorkese, ma sta di fatto che il caso di Woody Allen è abissalmente diverso da quello di altre personalità hollywoodiane coinvolte in scandali sessuali negli ultimi anni. 
Non voglio togliervi il piacere (e l'indignazione) della lettura, ma, questo caso, davvero ha il sapore acre della peggiore delle calunnie si possa riservare ad un essere umano. Mi limiterò a riportare che nonostante Allen sia stato scagionato da qualunque accusa, data l'incredibile insussistenza dei fatti (e nonostante non sia emersa nessun'altra accusa da parte di altre donne, a differenza dei vasi di Pandora scoperchiati dopo la prima denuncia subita da altre star), ad oggi continua a subire l'ostracismo del new Hollywood order che lo tiene ben saldo in cima alle sue liste di proscrizione. 
Anche il rapporto con Soon Yi, casus belli dell'azione della Farrow, che all'epoca della sua emersione mi indignò (pensavo si trattasse della figlia minorenne adottiva di Allen) è richiamato senza censure: Soon Yi era figlia adottiva della sola Farrow e all'epoca dell'inizio della relazione con l'attore-regista era maggiorenne. A dimostrazione della solidità della relazione, la coppia è ancora assieme, quasi vent'anni dopo, e la famiglia ha adottato due bambini.

A differenza di quanti pensano che il  #MeToo sia costituito da un gruppo di esagitate accecate dal desiderio di vendetta, la mia formazione culturale e politica me lo fa ritenere un movimento importante e necessario a riequilibrare la bilancia di tanti anni di ingiustizie, sopraffazioni e soprusi subiti in particolar modo dalle attrici, ma, proprio per la credibilità del movimento, di fronte ad una serie oggettiva di fatti e sentenze che smentiscono la teoria messa in piedi dalla Farrow (che dal libro ne esce umanamente male), il movimento dovrebbe mettersi a difesa della vittima della macchinazione, anche se è un uomo, liberandolo da questa lettera scarlatta, questo ingiusto marchio di infamia che a tutto oggi gli impedisce, di fatto, di girare film, di arruolare attori (che si rifiutano di partecipare ai suoi progetti, magari confessandogli riservatamente di essere certi della sua innocenza ma di temere ritorsioni ed ostracismo del Sistema), di mantenere accordi professionali (Amazon gli ha revocato il contratto per un film e lo stesso ha fatto la casa editrice per il suo libro). 
Un trattamento ingiusto e disumanizzante al pari di quello subito da tante donne dell'industria cinematografica, con l'aggravante che a subirlo è uno dei più importanti cineasti americani di tutti i tempi, al tramonto della sua esistenza, e quindi con poco tempo per riabilitare il proprio nome.

Ma limitarsi a questo tema, benchè sia ovviamente centrale nella vita di Allen, sarebbe ingiusto e depisterebbe i potenziali lettori. A proposito di niente, per gran parte dei suoi contenuti, è soprattutto un imperdibile racconto di vita e di storia del cinema, visto da un'angolazione dissacrante, divertente e profondamente, autenticamente umile. Leggetelo oggi, non aspettate le riabilitazioni postume. Il tempo è galantuomo, ma, come direbbe Woody, a chi interessa essere il più virtuoso del camposanto?

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